giovedì 6 settembre 2012

Umberto Cerio, inediti




TERRA MADRE


Il tuo gesto, lontano,
profondo mi scava nel cuore
un abisso che racchiude memorie
e silenzi di sere
ed urli di gabbiani all’imbrunire,
quando i colori perdono l’anima.

Ma a Larino i silenzi
sono diversi -sono solitari-
non hanno sapore di sale,
hanno il sapore della terra madre,
del sole e dell’erba bruciata
e delle strade della storia,
di macerie nascoste e di ruderi
antichi, sotto lo sguardo di stelle
dove si perdono i nostri pensieri.

Non dirmi che la notte è vicina
se batte l’ora dell’attesa,
se il tempo è più scosceso
del buio che sull’anima dirupa.

Si sposta il filo di orizzonte,
l’assicella dell’ostacolo:
raccogliere memorie di una vita
e poi volare in alto,
-morire, forse, ancora, nella luce-
quando nel volo dei gabbiani
si legge il sogno e la dolcezza
-come di aruspice il presagio-
lontano, più lontano
come nel vento l’aquilone.

   
(inedita da La luce)






SCENDE LA SERA


Ho raccontato favole antiche
alle mie tenere solitudini
per vivere ancora il tempo rimasto,
ma nel cuore si è fatto
il gelo lungo di un inverno.
Ora c’è un sole di tramonto
o d’alba ancora oscura
-un occhio che mi guarda
da un quadro semiastratto alla parete-
e sogna attese sconfinate
senza più spazio e tempo umani.
Ho percorso le strade
più impervie, sassose e tormentate
senza di un’Itaca dove approdare.
Sono salito per ripide scale
dove spesso un piolo mancava
e sentivo per strano sortilegio
la primavera venir meno
-incompiuta crisalide essiccata
a un sole moribondo-
e scoscesa la strada del ritorno
come il tempo dei giorni
della vita da cui ancora aspetti
un compimento, il giunger di un evento,
un essere farfalla,
un volo di gabbiano sul tuo mare.
Ed ora feroce scende la sera.

  
(inedita da La luce)






AIRONE


     Più non abbiamo gli spazi stellari
né infiniti respiri
della terra prima dell’abbandono,
ma albe di sogni smarriti.
Abbiamo rose di pietra consunta
e memorie in frantumi.

     Ascolta il buio della notte,
la tempesta infinita del tuo canto,
i limiti della tua disperata
attesa del giorno dell’ira.

     E quando nel silenzio
avrai consumato la tua ultima
solitudine e l’urlo
del vento accompagnerà la cetra
per un canto d’amore
e sarai stanca di lune e di ombre
-nel vento inseguirai
immagini solo a te visibili-
io sarò erba di luce
e dolore d’anima
per le amare assenze,
per il mondo buio contaminato
dalla stolida insipienza dell’uomo.
Sarò vento errante di tramonto.
Per esodo inesorabile
sarò volo di airone sconosciuto.



(inedita da La luce)







Nota biografica

    Umberto Cerio è nato a Larino, dove vive ed opera. Ha compiuto gli studi medi al Liceo classico di Larino. Laureato in Filosofia, ha insegnato Materie letterarie e Latino nei Licei. La sua apertura ai problemi contemporanei ed il suo impegno nel sociale, iniziata nei primi anni dell’adolescenza, ancora vivi, segnano tuttora le sue opere. Scrittore di formazione classico-umanistica, si distingue per la limpidezza espressiva del suo stile e per il vigore dei contenuti poetici. Spesso usa il mito con cui cerca di cogliere l’universalità dell’uomo nello svolgersi della storia. Di lui Raffaele Di Virgilio ha scritto: “ Leopardianamente, e in misura maggiore che in Leopardi, la materia poetica in Cerio è fatta di miti, da intendere (al pari degli Idilli) come situazioni, affezioni, avventure storiche del suo animo”.
E Massimo Pamio, nelle sue note a Dialogoi, lo definisce “ avvertito cantore della crisi e del dramma della civiltà occidentale”.
Così, Neuro Bonifazi nell’introduzione a “ Solitudini”: “Sembra proprio che Umberto Cerio sia ritornato alle radici stesse della solitudine dell’uomo, e abbia tentato seriamente, con la forza incalzante e fascinosa della sua poesia, e sull’eco dotta delle sue letture degli antichi greci, da Sofocle ad Euripide, di far rivivere non solo i grandi miti dell’antichità come il luogo perduto dall’uomo, ma abbia così tanto amato quelle ritrovate “dolci solitudini antiche”e quegli eroi e quei poeti orfici, da riuscire a sentirli, le une e gli altri, dentro la sua fantasia e nel suo animo come presenti, come portati dall’onda del mare meridionale.”
E Nazario Pardini, in occasione del XXXI premio nazionale Il Portone ha scritto – per la giuria – riguardo a Solitudini …. “ con grande maestria di simbiotica fusione tra versificazione e contenuti, costruisce dei veri poemetti che spaziano dall’umano al mitologico, facendo di quest’ultimo una vera attualizzazione di supporto esistenziale ….Proprio in Itaca si attua la magica esplosione della parola fattasi poesia”.
Ha pubblicato nove libri di poesia: Metamorfosi (1971), Arcipelago (2002), Dialogoi (2004),
Oltre il mare (2005), Il gabbiano bianco (2006), Il mio exodus (2006), Solitudini (2009), Diario del prima (2011), il poemetto Terra (2007). Ha curato l’edizione scolastica di Epistolario collettivo di Gian Luigi Piccioli (2003). Ha in preparazione Il poeta non muore e La luce. Ha al suo attivo numerosi e importanti premi e vari riconoscimenti in concorsi nazionali ed internazionali. È presente in parecchie antologie letterarie, in saggi critici , in Storia della Letteratura italiana,  Milano, Miano (2009), in Letteratura italiana contemporanea, Arezzo, Helicon (2011), in Poeti italiani scelti di livello europeo , Milano, Miano (2012).


e. mail : mythos@umbertocerio.com

Nessun commento:

Posta un commento