Nazario Pardini
Carmelo Consoli. L'ape e il calabrone. Edizioni del Leone. Venezia. 2012. Pp. 80. Euro 10
Un testo, L’ape e il calabrone, di grande
nervatura umana ed ultra/umana. Commovente fino a lacerarti la carne, ma, al
contempo, rasserenante in quel perpetuo connubio dell'ape e il calabrone che
signori del verbo e del creato continuano in una salda e nutrita sacca d’anima
a vivere fra giardini e profumi di bucolica memoria. Elegia di grande respiro.
Calvario di sofferenza, ma reazione memoriale. Di una memoria, sì!, che cerca
di far suo ogni avvenimento in cui la bella regina dominava (e domina!) incontrastata
per bellezza e per amore. E ritornano luoghi, tramonti, paesaggi, incontri,
progetti; ritornano vivi. E la natura si mescita in questo dipanarsi di sogni,
di affetti, di propositi, di amore, di vita. La natura si fa disponibile e
collabora a che questa fiumana di acqua cristallina prenda forza e si faccia
corpo visivo, icona di stati d’animo. :
"Vorrei portarti
ancora e ancora/ alle spiagge bianchissime di Cuba,/ ai tramonti stellati di
Kelkam,…” (Pp. 45). “Sai Franca c’è una casa di baci e carezze,/ la nostra
arnia dismessa di voli e ronzii/ dove muore il giorno e risorge a interi
silenzi…” (Pp.44). “Franca ti porto la lista dei progetti,/ per domani, la
vita, l’amore/ come fosse cofanetto di diamanti,/ scrigno di cose preziose da
respirare.” (Pp. 47). E spesso è l’uso del presente a tradire
l’ineluttabilità del tempo. E’ la grande forza che l’animo trova per rendere
reale la perpetuazione di un miraggio, la resistenza all’azzeramento. E Consoli
riesce in maniera magistrale a dare consistenza a questo magma interiore con un
verbo di grande timbro evocativo. La parola si dilata, s’intreccia, si
ammorbidisce, si rattiene, si prolunga per assecondare i ritmi ora nostalgici
ora figurativi, ma sempre saturi di un’anima tornata a rivivere: “Sappi che qua nulla è cambiato della
terra che sognammo,/ lo stesso orizzonte arcobaleno, l’uguale fragranza dei
giardini/ c’è nella luce che ora m’avvolge” (Pp. 71). Quanta
voglia di dire in questi versi estesi fino all’impossibile! quanto spazio
necessita allo spirito per diluirsi in corpo! E forse Consoli, nel suo
tentativo di azzardare lo sguardo oltre i confini, non è detto che non riesca a
fare di un’immagine una presenza forte, reale e impossibilmente possibile per la
sua vita. A volte è tanto grande un desiderio, è tanto prepotente da squarciare
le nubi dei dubbi, da tramutare un mero sogno in ciò che veramente è: “Ah! Amore mio sarebbe come
rinascere/ tra campi di lavanda e spianate di sole/ se tu ritornassi e mi
parlassi/ come sanno fare gli angeli/ con una carezza dolce/ e uno sguardo
d’amore/…" (Pp. 69).
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