venerdì 14 settembre 2012

Recensione su Sergio Zavoli


Il ragazzo che io fui, di Sergio Zavoli, Mondadori, 2011

di Ninnj DiStefano Busà

Un viaggio lungo la vita, quello di Sergio Zavoli, che nel narrare la sua avventura personale ed esistenziale coglie a 360° tutto il panorama attuale della nostra epoca: ribelle, fatua, dedita all’utile, all’interesse, contraddittoria, votata all’automazione visionaria di un vivere ai margini della vita stessa, non più all’interno, non da protagonisti, ma da controfigure di noi stessi. Il nostro periodo storico riflette molte mancanze, dà segnali di uno scenario disabitato dalle coscienze, dalle emozioni, dai sussulti intimi. Tutto è dilacerato e mercificato, ustionato, reso inagibile da una sorta di ridimensionamento frustrante, passivo, azionato da conflitti e da contraddizioni ineludibili, che spesso cancellano ogni traccia di umanità, di intelligenza e di bellezza. Il mondo è in subbuglio, ma è un disorientamento, uno smarrimento da perdita di contatti reali, da amnesia, da abuso di stravaganze.
Il tempo dell’informatica, dei canali satellitari, dell’usa e getta, del superfluo, si è rivelato un “mostro” raccapricciante che ingoia i suoi cultori. Camuffato da necessità vi è il “nulla”. La vita non è più irrorata da bellezza, da verità, dal sogno, ma è azionata da una sorta di idrovora che disattiva ogni ragione di “normalità” intesa come raziocinante. Tutto è eccesso, esaltazione dell’ego che dà e, in contemporanea, nega ogni sorta di bene. “Una contraddizione in termini”, quasi letale, ha invaso le vie della ns. spiritualità, le condizioni morali più qualitative dell’uomo, quelle che portano all’intelletto e al cuore. Così, l’amarcord di Sergio Zavoli è una riflessione mirata alla comparazione tra due mondi opposti che appaiono due  -epoche- , ma invece si riferiscono a “ieri”. La vita quotidiana, gli stili, le consuetudini, i sentimenti – tutti annullati – nel breve volgere di una generazione, la “sua”: uno scempio di ciò che eravamo e quel che “siamo”. Paradossale la distanza tra i due “modus”, perché risente di una nostalgia contenuta che riprende l’assenza quasi totale dell’emozione.
Un primo attacco ci viene dal razionalismo “ante litteram” del secolo scorso nel quale i valori venivano messi da parte, per dar spazio alla concezione nietzschiana del super-io. Una forte tendenza a porre in evidenza l’ego al posto del plurale “noi”. “Il ragazzo che io fui” è un’opera che dovrebbe essere adottata nelle scuole. Ha il tono didattico, non accademico né sentenziale, senza indottrinamento, scritta sul filo della continuità logica, si avverte il senso dell’umanità ferita e dolorante, la quale può mutare col “ravvedimento” il destino delle cose e del mondo. Pensare con l’obiettivo dell”utile” è stato il modo meno ontologico e più irresponsabile di vivere. Perciò, Zavoli vi affonda a piene mani e ci dà il responso del suo parere, che nel riflettere il senso del disordine morale e sociale ai quali siamo giunti, ci indica una via di riscatto, un ripensamento, forse una salvezza “possibile”.

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