Ottobre
Era
d’estate quando della vita
riflessero
i barbagli. Allora vissi
la
fantasia che esplose lucentezza.
Poi
giunto è ottobre a mietere le foglie
di
una stagione che ha reciso il sole.
La
vigna saccheggiata lascia i resti
dell’ultimo
raccolto. Muta e scarna
nei
suoi colori morti mi dà il senso
di
un suo perpetuo addio
- l’autunno
mio trabocca di ricordi
che
evadono invecchiati all’imbrunire -.
Niente
di più vicino, ora che freme
sulla
distesa vana del mio piano
il
tramonto del gelso, a me risulta
che
il palpito ottobrino. Scorre languida
dei
riflessi marciti sotto il platano
l’acqua
che è sonnolenta. Va a scurire
all’ombra
della volta abbandonata
del
suo vecchio mulino. Il frutto cade
del
giorno ormai maturo ed è la notte.
Un ottobre languente, privato di uve e colori, in cui "freme...il tramonto del gelso", diventa simbolo di una condizione e di un'età della vita, quella "provetta", per dirla col Leopardi.
RispondiEliminaIn un quadro sostanzialmente pessimistico e desolato (che ha accenti forti perché ottobre è contrapposto alla luminosa estate della giovinezza)risalta tuttavia un " palpito ottobrino". La vita, dunque, al di là di ogni possibile negatività.
Per questo esistono i poeti: per far risorgere, sempre e in ogni modo, la speranza.
Pasquale Balestriere
Nazario Pardini ha un dono(sempre più raro nella poesia contemporanea): la musicalità del verso.
RispondiEliminaDetto così, potrebbe apparire quasi scontato E,invece, questa poesia sta a dimostrare l'esatto contrario.
E' l'esempio, "Ottobre", di quale catarsi si realizzi nell'animo affidandosi totalmente all'armonia del dettato.
Allora, "la vigna saccheggiata", "le foglie / di una stagione che ha reciso il sole", diventano un altro autunno: invisibile, inimmaginabile persino, se non fosse che "niente di più vicino" - ci viene confidato - può essere avvertito.
Certo "il frutto cade / del giorno ormai maturo" ma prepara una notte che non si veste di buio bensì del chiarore delle stelle.
Sandro Angelucci