Ecco, per quello che può valere:
La conoscenza poetica appartiene al mondo del singolare, dell’individuale, non è facilmente estensibile né generalizzabile. In fondo non mi pongo il problema di far partecipare l’altro, il lettore, al mio vissuto ma solamente di manifestarlo, di pronunciarlo. Si può dire – paradossalmente – che non cerco l’empatia ad ogni costo e che forse questa neanche mi interessa. No, l’empatia non mi interessa. E la ragione è quella dichiarata di un interesse per la gnosi. Non scrivo poesia pensando al lettore o mosso dal desiderio di accattivarmelo. Il così detto pubblico non ha mai un gusto proprio. Se mai risponde distrattamente a un orientamento imposto dalla moda del momento e va dietro al vago impulso che gliene deriva, che è un impulso disturbato proprio come per tutti i bisogni indotti, per i quali non c'è mai felicità anche quando vengano soddisfatti. L’idea che il pubblico ha della poesia si lega alla più noiosa pratica scolastica dell’esegesi, del riassunto, della parafrasi, delle note a piede di pagina. È un’idea di oscurità, di fatica, di inutilità. Le pochissime persone che, tra il pubblico, si imbattono poi per caso nella poesia restano stupite di incontrare qualcosa che in realtà non conoscevano affatto e che non assomiglia all’idea scolastica che gli era rimasta addosso. Io sento la poesia come un dettato che sfugge a qualsiasi strategia comunicativa, il che non vuol dire, evidentemente, l’adesione al codice cifrato. La conoscenza appartiene sempre al mondo del singolare, anzi, quanto più appartiene al mondo del singolare, tanto più ha valenza universale. Ma il parteciparvi da parte del lettore necessita di una scelta individuale, come una forza attiva decisiva. Il lettore deve decidere di entrarvi e lo farà, magari, avendo avvertito un input rispetto al quale provvederà lui stesso a realizzare l'empatia. Ogni percorso di gnosi è sempre una pratica esoterica. E, in poesia, qualsiasi argomento per me è buono.
Paolo Ruffilli
condivido tutto...
RispondiEliminagordiano lupi