Antonio
Crecchia: Nei risvolti del tempo,
Ediemme -Cronache Italiane, SA, 2012
Luisa Martiniello
Questa raccolta è connotata dallo scorrere del tempo, visto
come “maledizione” che divora le stagioni, le insegue. Il loro transitare ha
“la fretta/dei lampi che sfidano i temporali”. Le rughe portano il poeta a
ritrovarsi “sconosciuto a me stesso,/con lo sguardo nel vetro/che mi legge
nell’anima/la trasparenza d’una vita/al sole della malinconia” .Egli si perde
tra una “gramigna di giorni piatti…nel groviglio di una dolente stagione” e ,
mentre trionfante passa un’altra estate
“sulle macerie dell’anima”, la sua solitudine
si rispecchia in quella dei monti “piegati/al martirio d’una solitudine
senza fine”. Il biancore del gelo e della neve non sono altro che ferite alla
terra “colta nel sonno disteso dell’inverno” e il loro peso pare faccia sentire
il gemere degli ulivi, l’angoscia dell’ essere “crocefissi al letto
dell’inedia”, la precarietà nell’ evento registrato nella sua “furia insana”.
Nel suo furore il vento imprime altri
strazi :“lividi letali/su cespi di begonie/lasciate a morire /sul granito dei
davanzali” al chiarore di in una folgore che
la notte “sbrindella”, così come
la tempesta di un’ora. Altrove il vento quale respiro del tempo “divora
l’agonia delle foglie”. Scorre la melodia dell’acqua da una rupe
e il poeta ripropone la sua
tristezza con l’analogia di “brandelli dell’anima” quali “morbide bende/ sul
vuoto insonoro dei pensieri.” Quando
pare che sia raggiunta una situazione di pace ecco che i sogni ,ormai con ali frante, sono “sulla roccia franosa
del Nulla”. La stagione fredda ritaglia “l’eco rugginosa del ruscello” nel
mentre la vita tenta di risollevare il capo di una primula “alla meraviglia del
giorno” o tenere gemme ansiose si affacciano al “chiarore dell’alba”. Gli
sterpi “secchi e rugginosi” fanno da sfondo al ricordo di nomi e volti che
avevano la parola “fresca chiara loquace”, nomi che non si trovano neppure più
sulle croci, “fuscelli travolti dall’onda gelida/dei venti di tramontana”. Lo sguardo
del poeta si posa su un rio che
“sprofonda nella guazza/della malinconia mattinale” o su
le foglie lungo i viali che
“migrano il respiro della morte,/l’effigie della mia tristezza/addossata alla
corteccia/rugosa di vecchi platani,/perpetua la solennità d’un rito/che unisce
l’alfa all’omega.” Se il “monotono dondolare di rami/negati al colloquio con
gli uccelli” colgono la Natura in una distesa solitudine, anche il papavero è
colto alla fiamma del sole e “reclina il capo ai giorni maturi dell’estate”, la
testa piegata dei girasoli nella stagione in declino e il giorno appena sorto
portano all’assorta adorazione del cielo azzurro “tempio antico/di vergine
solitudine e meditazione”. “La parabola della vita declinerà come raggio di
sole” ,ma l’autore nei suoi versi reclama una voce che “avrà la timida afonia
dell’eterno”.
La vita è oltre la dimora di pietre e cemento nella sera
“brunita”, ma le case di fronte sembrano “loculi serrati”, hanno l’ingresso
sbarrato dalle “catene di silenzio” . Il silenzio opprime, ma lascia spazio ad
ascoltare la “risonanza di vuoti stellari, la segreta armonia /oltre le
stimmate dell’Io”. La sera riporta la tristezza che fa sanguinare antiche
ferite e reclama “un lento morire /alla soglia sbarrata del divenire” .La solitudine
è un’altra parola chiave, voce di solitudine ,di pena è la voce della terra
affannata dal “catrame dei secoli”: mani insanguinate, olocausti, risse,
vanità, ingordigia portano ad una agonia lenta. Il cuore del poeta è gravato
dalla solitudine ,assente “quella musica umana” ,alacre, che inondava la sua
valle. Un canto dalla limpidezza del cristallo lo porta a condannare la farsa,
a snidare “serpenti viscidi e squamosi”, eredi di una “retorica trita e
adusata”, intrisi di insania. Nella “bara dell’anno” c’è “la lista nera di
infamie e miserie,/l’elenco delle croci ancora da piantare”. Nella palude dei
giorni emergono la dialettica di Pilato,
il fervore agnostico dei farisei e i “feroci rottweiler della violenza gratuita”. Il poeta rimpiange la perduta la saggezza dei
padri “incisa sulla pietra, sigillo del
tempo”.
C’è un sonno che non ignora “i battiti che scandisce il
tempo”, è quello de “l’arcano richiamo dell’Eterno” che serra tra le sue
braccia gli amici di una vita :Rita , Romelia, Nicola, Emerico Giachey :
“quella penna che tante pagine/ha ricamato con un filo d’oro,/inossidabile alle
ingiurie del tempo”, il dantista Corrado Gizzi.
L’inverno strappa via col vento le foglie gialle dei pioppi
che “ se ne vanno leggere/come anime di morti” e “nel furore d’un inverno senza
fine” l’autore ricorda l’aspra lotta di Pasquale Martiniello contro “un abusivo
tiranno” che credeva di avere snidato, poeta “fiero, austero guerriero che
muore /con l’arma in pugno e il cuore puro”, dai versi “creati a sfida di aquile/rapaci, in
segno di riscatto e redenzione /per tempi nuovi”. Di lui “resta la parola, il
farsi del pensiero,/…il canto…/in cui saetti…/scansi i veli a paravento di
vergogne,/ipocrisie, inganni, scandali e menzogne;/sollevi il bastone della
giustizia divina/contro le odiate bestie assurte a casta/di pavoni d’oro, con
lingue sciolte,/occhi cupidi e artigli di sparvieri razziatori…”.Nell’altra
lirica “Quis custodiet custodes
?”,sempre a lui dedicata ,il poeta Crecchia, sembra voglia aggiornarlo sulla
misura ormai stracolma delle nefandezze che si sono verificate dopo la sua
dipartita e amareggiato gli confessa che il suo biasimo non ha impedito alla
casta di “saccheggiare ”in spregio alla vis della morale tante volta
richiamata, anzi come api moleste col ronzio delle loro mani abili e moleste
non ha preso a stimolo nessun suo verso per “inibire/voglia di potere e
appetiti” e “preme con piede di porco fiscale/sulla pelle rinsecchita/di chi non sciala/ma vive alla giornata”.
L’autore invita come novello Dante l’Italia dalla mani “incallite e vigorose” a
snidare e scacciare “dalle poltrone dorate/gli scoliasti canterini di bugie,”
che falsano “la tormentata democrazia”.
Se l’inverno “sparge chiodi di tristezza” non è spenta la
fede e le mani del poeta “mordono/il legno della croce” che apre a nuove sfide
nel giorno nuovo che “si salda alla vita” e la poesia è l’arma da usare per
scacciare il tedio, inveire contro “la vecchia dinastia di Caino che continua a
rivoltare “fango nella palude del tempo” e “il balsamo del sole” dopo la notte
razziatrice di gazze e faine ricorda che “la poesia è un rivolo d’acqua
chiara/che brilla alle radici del divenire” e che solo il pensiero può condurci, smagliata la trama, oltre il “ buio lordo del tempo”.
Crecchia non rinuncia a innalzare un vessillo a difesa di
memorie e parole e in questo testo attraverso il canto della perdita e del
dolore ,pur nutrendosi di malinconia, accumula il furore proteso a schiudere
versi toccanti e pungenti contro una parabola del vivere che non può avere come
fine la rassegnazione agli eventi e giorni senza scopo. La parola è scolpita,
incisa nel foglio- marmo del tempo e pulsa in uno stile di forte intensità e pregnanza.
Luisa Martiniello
La recensione di Luisa Martiniello ha un taglio di grande impatto ed efficacia che poggia sulla scelta di parlare della poesia lasciando la parola all'autore, il quale si esprime attraverso le numerose citazioni, intelligentemente individuate e giustapposte. Una lettura, dunque, che vede il poeta come protagonista che interloquisce direttamente con il lettore. In tale ottica la recensione (peraltro molto viva e fervida) assolve in pieno il suo compito di informare e proporre.
RispondiEliminaE dunque complimenti a L. Martiniello e al poeta A. Crecchia!
Pasquale Balestriere
Mi sembra una pregevole interpretazione delle valenze più recondite dell'anima di questo autore che personalmente, non conoscevo anche se ne ho sentito parlare. Complimenti.
RispondiEliminaAntonio Crecchia, si distingue soprattutto per il suo vigore letterario, come fa notare e sottolinea la curatrice di questa critica Prof. Martinello.
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