Claudio Fiorentini collaboratore di Lèucade |
Charles Baudelaire |
La
poesia oggi è un prodotto di massa. Basta avere un diario e provare a scrivere,
basta vivere i tormenti dell’adolescenza per iniziare ed ecco un poeta in più,
uno dei milioni di poeti che affollano le strade, le piazze, i locali, le città
e, dato che per pubblicare basta avere un po’ di soldi, uno in più che pubblica
un libro, e abbiamo migliaia di raccolte che, dopo aver affollato le tipografie
convenzionate con gli editori a pagamento, dopo aver soddisfatto l’ego del
neopoeta, non raggiungono gli scaffali delle librerie e puntualmente vanno a
finire al macero!
Non
è certo un danno per il PIL, ma un danno per la cultura, questo sì!
Infatti,
molti editori scelgono la via più facile e non fanno più né la revisione dei
testi, né la selezione delle raccolte. Pubblicano perché l’autore paga,
sminuendo il lavoro prezioso dell’editore. Il risultato è che si producono migliaia
di libri di dubbio valore, il che non giova alla crescita dell’arte poetica e diseduca
i pochi potenziali lettori al godimento della vera Poesia. Con questo
meccanismo massificante la poesia ne fa le spese, e con essa i molti validi
poeti che trovano sempre maggior difficoltà a far sentire la propria voce. Non
solo: il poeta che pubblica poesie immature, brucia il suo lavoro e la sua
prospettiva di crescere. Insomma, il mercato è malato.
Omero |
Intendiamoci,
c’è anche molta poesia di grande valore, ma naviga a vista, immersa nella
materia non filtrata che di nuovo dice ben poco.
Altro
problema, la moda del momento, e si vedono tantissime opere che trattano temi
di attualità (per i quali basta leggere un giornale) o temi erotici, perché si
crede, erroneamente, che se si segue la scia si trova uno spazio in questo
affolato mercato. Anche qui, succede che spesso si scambia per arte un lavoro
mediocre, si crede che sfruttando un tema caldo si troverà qualche lettore in
più. Niente di più falso, perché la creatività guarda oltre, si specchia con
l’anima e non sfrutta correnti effimere.
Eugenio Montale |
Insomma,
la poesia che passerà alla storia deve beneficiare del filtro dell’editoria, e
l’editoria deve ridiventare seria, deve curare l’opera per venderla non
all’autore, ma al lettore.
I
poeti di oggi affolleranno le enciclopedie on line, le raccolte a pagamento, le
agende pubblicitarie, avranno un trafiletto dedicato in qualche pubblicazione
pseudo-specialistica, e si illuderanno di aver raggiunto la celebrità, ma si
tratta di un successo autocelebrativo, uno specchio di Narciso a pagamento.
Gabriele D'Annunzio |
C’è
da chiedersi, se dovessimo mandare un CD nello spazio che contenga dieci poesie,
ci sarà anche un solo autore contemporaneo, tra i dieci scelti, per comunicare
con gli alieni?
Con
questo non voglio dire che non ci sono grandi poeti o ottimi editori, semmai
voglio segnalare che sono troppe le pubblicazioni scadenti e che i cataloghi
sono pieni di carta da macero e, con tutto il rispetto per poeti ed editori,
questo è un danno gravissimo alla poesia e in generale alla cultura! Se solo si
facesse maggiore selezione, sarebbe anche più facile promuovere opere di valore
e segnalare le nuove promesse.
È
anche vero che molti autori e critici si sono adoperati per trovare in questo
marasma i talenti rappresentativi della poesia contemporanea. In questa
direzione un lavoro straordinario è stato fatto da Ninnj Di Stefano Busà e da
Antonio Spagnuolo, che hanno cercato, selezionato e trovato poeti validi, tra i
milioni attivi negli ultimi vent’anni. Ne è venuta fuori un’antologia pregevolissima
che raccoglie molti validi esempi di poesia prodotta nell’ultimo ventennio
(edita da Kairòs).
Sicuramente
ci saranno altre operazioni di valore come questa, ma non basta, occorre andare
oltre, incoraggiando gli editori che escono dalle logiche di mercificazione dei
servizi editoriali, promuovendo le opere di valore che danno lustro alla poesia
italiana contemporanea, e soprattutto non pubblicando qualsiasi cosa (tanto
paga l’autore).
Occorre
pubbicare meglio, e forse pubblicare meno!
Claudio
Fiorentini
Lei, Prof. Fiorentini ha fatto una fotografia nitida della realtà attuale relativa alla cultura poetica contemporanea Italiana. Complimenti per la visione globale di tale realtà. Credo di far bene allora non partecipare, con la frequenza di una volta, a premi di poesia; di non lasciarmi abbindolare dalle lusinghe delle case editrici che mi sollecitano a pubblicare con i loro rispettivi tipi poichè a naso mi sanno di speculazione editoriale chiedendomi un più o meno cospicuo contributo o, in deroda l'acquisto di un certo numero di copie ma lungi da loro la validità o meno del mio dettato poetico. In Italia da questo punto di vista siamo messi veramente male. In quest'Italia dove siamo quasi tutti poeti, dove si creano migliaia di concorsi poetici e dove in questi partecipano centinaia e centinaia di poeti ( tutti autoritenuti con la -P- maiuscola, quando e come emergerà un nuovo Ungaretti, Saba, Pascoli, Leopardi? Solo la spinta emotiva mi induce ancora a scrivere versi, diversamente non ne vale la pena. Pasqualino Cinnirella.
RispondiEliminaTrovo condivisibile il pensiero del prof.Fiorentini quando dice: "... la creatività guarda oltre, si specchia con l’anima e non sfrutta correnti effimere". La Poesia non deve comunicare, ché per questo ci sono i media, ma trasmettere, nel senso etimologico del termine. Trasmettere da persona a persona, da un tempo a un altro tempo, da generazione a generazione. Se i grandi del passato non avessero compiuto questo fattivo atto di trasmissione, si sarebbe perso, nel tempo, il senso vero e alto della Poesia. Il poeta non deve informare, che è proprio della comunicazione, ma esprimere, trasmettendo significati.
RispondiEliminaLorena Turri
Vi invito a leggere il Manifesto culturale "Il Bandolo", di
RispondiEliminarecente
pubblicato anche su Léucade, che è un grido contro il sistema
dell'arte.
Intendiamoci, esistono realtà virtuose, ma sono poche e l'accesso ad
esse è limitato. Inoltre abiamo grandi difficoltà per identificarle. Se
non ci riusciamo, è meglio non pubblicare.
Sembrerà strano, ma scegliere di non pubblicare, oggi, è diventato quasi
un gesto rivoluzionario (e saggio). Apriamo gli occhi: la diffusione che
risulterebbe dalla pubblicazione è minima: un editore anche di qualità,
considera che la vendita di 200 o 300 copie di un titolo sia già un buon
risultato. Troppe pubblicazioni affollano il mercato, cosa ne viene
fuori? L'eccessiva frammentazione dello stesso mercato. Questo è un
danno gravissimo alla nostra cultura che, invece di essere promossa, è
resa invisibile dalle molte case editrici che si professano tali. La
nostra sfida è identificare chi opera nella giusta direzione, e non
cedere al fascino degli specchi per allodole.
Claudio Fiorentini
A volte mi sono chiesto: ma chi pubblica a pagamento un libro cosa vuole? La risposta è complessa e degna di un testo a se, non di un breve commento. Io però penso che chi scrive non vuole necessariamente essere un letterato, a volte vuole solo attenzione, bisogna riflettere su questo perchè qui risiede una grande chanche per l'arte: proviamo a trasformare i sedicenti poeti in lettori partecipi. Non è facile ma sarebbe una rivoluzione.
RispondiEliminaLuca Giordano