Luca
Buonaguidi: HO PARLATO ALLE PAROLE. oèdipus edizioni. Solofra (AV). 2014. Pp.
72
Vorrei danzare
come una nuvola
per infrangermi nella tua luce
all’aurora coprirti
di onirico velo, crepuscolo,
infine baciarti
nell’abbandono notturno.
Questo
è il canto di Luca Buonaguidi. Un canto i cui versi, di polisemica struttura,
abbracciano ora con vigoria e dolcezza, ora con espansioni e rattenute, gli
abbrivi di un’anima tutta volta alla verità per la strada della realtà. Un canto che racchiude nella sua eufonica
sonorità i ritmi della vita: l’amore, il
dolore, l’inquietudine, il sogno, la fede, il volo. Sì, il volo verso ambiti
surreali, anche, tali da poter trasferire
le nostre ambasce in sfere di edenica natura, dove poter danzare come
una nuvola “per infrangersi nella tua luce”. Un dipanarsi poetico di verticale
intimità, di autoptica analisi introspettiva, dove il Poeta è alla ricerca di
se stesso, del suo mondo fatto di certezze, ma anche di tanti interrogativi di
difficile soluzione:
In un fosco bosco
ho seminato germogli di
parole,
nebbia fra le gote,
un bacio che non è amore,
il passo d’un brivido breve,
una scintilla lieve,
ombra desta nella fitta
aurora,
un nerogrigio di cui non so
godere.
Un
dire che, scorrendo sul filo di una sottile e arguta metaforicità, offre
contaminazioni di polisemica significanza. E lo fa con un’architettura compositiva
attenta e perspicace; con valori
semantici che si prolungano oltre il senso della comune morfosintassi per una
simbiotica fusione di nessi fonosimbolici atti a scavalcare il dubbio verso un
grido di luce:
Tutto è ora chiaro e puro
come nelle belle poesie,
coscienza d’un attimo
che già si perde nel
cogliersi:
viola vertigine di perfezione,
scoglio che accoglie le onde,
nodi di pelle che formano
nuvole.
Ecco la mia smisurata
bestemmia.
Tu che entri irradiami
perché ora so riflettere la
tua luce.
Un
azzardo verso mete oltre, verso cieli che tanto sanno di azzurro. Quelli di un Poeta
che conosce il valore della Poesia, che sa quanto l’armonia sia oltre il
cammino, oltre a questo canto, oltre a questo fiore che spacca la roccia.
Sono poeta
e sollevo in aria
un cuore che saluta.
Ho capito che l’armonia
è oltre il giardino
e dentro il cammino
con un fantasma
che mi cammina accanto,
mio unico e possibile
atto di presenza,
oltre a questo canto,
oltre a questo fiore
che spacca la roccia (Oltre
a questo canto).
Quanta
spiritualità in questi versi, quanta pienezza ontologica, quanta ricchezza
umana e sovrumana che assurge a cime sfolgoranti, a risposte con la tenerezza
degli altari che dichiarano l’eterno. E lo fa con assonanze, allitterazioni,
con nessi di iperbolica sonorità (e un
sogno suono solca il suolo solo) per accentuare il significato con
importanti significanti metrici:
Crespe
creste del creato
e
riverberi di segni
ricevono
la visione primigenia
carezza
d’una quiete piena
che
s’affolla di domande.
Crescono
poi le risposte
con
la tenerezza degli altari
che
dichiarano l’eterno
e
un sogno suono
solca
il suolo solo,
ci
guardiamo i piedi mescolati
cogliendo
la via senza nome
distanti
come
mille soli esiliati
che
danzano fantasmi
nuotando
nell’aria (Again, to drift).
Un
poetare vario e articolato, pregno di vita e di energia spirituale, di urgente
ricerca del tutto, dove la novità del campo semantico-verbale aiuta il
dispiegarsi dell’anima verso sponde che sanno tanto d’infinito; dove
l’incertezza del futuro si aggrappa ai progetti del passato facendo di un
iperbole un dittico di grande resa
poetica:
Ho grandi progetti
per il mio passato.
E
dove la natura assolve ad un compito polifonico e plurale nel ritrarre le
impennate emotive (pioggia settembrina, l’estate, la cera della sera), in
quadri in cui l’Autore riesce a definire il compito di un poeta con folgorazioni
panico-intuitive:
Compito dei poeti
è infine cantare
l’avvenuta sventura del grano
che s’oppone al deserto,
il ritirarsi dei mari
scavalcati dalla terra negra,
il nascer spezzato del giorno
con la sventura del tatto.
C’è
proprio tutto in questa plaquette. Tutto ciò che riguarda l’uomo ed il suo
percorso terreno. Il rapporto con il
Supremo, la forza del memoriale, l’inquietudine del vivere, la ricerca del
Bello, la coscienza della precarietà del
tempo e dello spazio, e la convinzione
che “il primo errore del mondo/ è credere che all’abisso/ si scenda; e non si
ascenda” (Arthur Rimbaud). E sono la cultura, la frequentazione di un lessico
medio-alto, quella di conoscenze storico-letterarie, che, oltre a non appesantire
il dettato poetico, si fanno substrato
di un verseggiare nuovo, ricco di immagini rinate, dacché, rimaste nell’animo a
decantare, fuoriescono sapide di vita.
Ma
quello che emerge alla fine è soprattutto il grande amore per la Poesia: Epica
del cuore, chiave per aprire le porte. Per questa antica arte alla quale il
Poeta dà tutto se stesso, affidandole il compito di tramandare la sua storia; quella
travagliata di un essere umano, di un essere che scopre i limiti del suo
esistere:
Epica del mio cuore,
la poesia è la chiave
per aprire le porte,
(…)
Le parole sono la mia casa
e questi vuoti
lunghe camminate
che conducono al bosco sacro:
così mi dono alla macchia.
Come un baratro
abita in me la vita
che si disperde gioiosa
nella strada verso casa.
(…)
il mio spirito riscopre
d’essere niente.
Nazario Pardini
BIO-BIBLIOGRAFIA
Luca
Buonaguidi (Pistoia, 1987) ha pubblicato in poesia I giorni del vino e delle
rose (2010, Fermenti), Ho parlato alle parole (2014, Oèdipus) ed è in uscita
INDIA – complice il silenzio (Italic
Pequod),
diario di un viaggio in solitaria e via terra di sei mesi tra Sri Lanka, India,
Bhutan, Nepal e Tibet. In prosa ha pubblicato un racconto ne La sagra è vicina
(2013, Beltempo) ed è in uscita la
biografia
immaginale della storica band Franti col collettivo di scrittura Cani Bastardi
Franti.
Perchè
era lì – Antistorie da una band non classificata (Nautilus). Suoi testi o
commenti ad essi si leggono su varie riviste di letteratura e poesia (Poesia,
La poesia e lo spirito, La Recherche...) e raccoglie le sue scritture
eterogenee sul suo blog anarco-autistico www.carusopascoski.com.
Scrive/ha
scritto reportage, opinioni e approfondimenti di cultura e società nelle sue
varie forme per Altracittà, Cani Bastardi, CineFatti, Comunità Provvisorie,
i.OVO, Il Tirreno, Impatto Sonoro,
KonSequenz,
L'EstroVerso, Mola Mola, Stordisco, Vai a quel paese! - Go face yourself e
altre. I suoi reading vengono ospitati in tutta Italia e
sonorizzati/accompagnati da musicisti come Elias Nardi,
Trucupas,
Jacopo Salvatori, Chris Yan, Collective Nimel, Gianni De Angelis e collabora
come autore di testi dei prossimi dischi di Girolamo De Simone, Maisie,
Elephant. In corso d'opera si segnalano in particolare un saggio di psicologia
del linguaggio poetico dal titolo Poesia e Psiche - L'enigma, la storia e
l'incontro del mondo poetico con la psicologia che annovera vari interventi esterni
d'autore; la biografia del cantante (ex Diaframma) e artista Miro Sassolini;
l'opera multimediale Alphabet Series/Salvezza che cade col pittore belga Pol
Bonduelle; un poema di cui custodisce gelosamente i contenuti e un nuovo libro
di poesia. Laureato in Psicologia Clinica, già tutor per studenti disabili e
operatore presso una comunità terapeutica, conduce seminari esperienziali sul
carattere antropologico, espressivo e terapeutico della poesia e progetti di
scrittura creativa con utenza caratterizzata da disabilità cognitiva e motoria.
Vive oggi in un paese di una decina di anime sull'Appennino tosco-emiliano per
riscoprire l'importanza di essere piccoli.
DA: "HO PARLATO ALLE PAROLE"
L’uomo
alle porte
Le
strade note son già state battute
non
restan che sentieri di senso
e
tacere certi della furia
evocando
il respiro nuovo
infermo
su un’informe finestra.
Saluto
la Regina morente
e
chiarità di velo che nasce
nel
resto che dorme,
piccola
luce che proietta
infine
una grande ombra.
La
dolente prua
- Ombra,
siedi -
Tutto
ritorna nella casa che dorme
avvolta
nel mantello del dubbio
percosso
da gioia e dolore,
l’umano
sentire.
Consonanze
d’eterno
sigillano
la visione
in un
risuonar di docili quote
ora
raggiunte, ora cadute.
Sono
la dolente prua
che
scivola sul mare
sono
la coscienza della prua
che
solleva onde bianche.
La
nebbia del nostro naufragare,
battito
d’ali che schiude le ciglia
della
mia visione chiara e dolente:
non
siamo niente.
Un
elevarsi che cade
da
spirto grigio per cui il grigio
evoca
tutti i grigiori,
il
grido lento delle stagioni.
Non
esser niente,
doppia
negazione che afferma
il
lungo corso delle ore,
il
giardino della disintegrazione.
Il
Comando senza volto
Ogni
passo perde
la sua
forma abituale,
la
scure abbatte
il
respiro versato
ad
altrui propizi
scogli,
abissi.
Osservo
il clamore lunare,
la
processione che avanza
e mi
specchio
nei
sorrisi assenti
di un
timido ubriaco.
Smarrite
le chiare parole,
il
gesto che unico
s’erge
sui mori coni
allineati
per far notte.
Fuggono
avverse
supernova
anonime
che
esplodono senza
consone
effusioni
di
luce e rumore;
stelle,
vi ho scambiate
per
ignominia silente.
Chiudo
le porte,
osservo
le rotte
della
luna e della notte.
Il
petto poi risuona
questa
caldae la soffia sul foglio.
Sale
come un ritmo
la
fiamma della visione:
non
siamo solo carne
e a me
piace ciò che brucia.
- L’incendio. Ci
sarà. - estasi.
Requiem
per ieri trascorsi
Un
orologio a pendolo
trattiene
il polso al tempo
che
fugge circolare
e
invade le vene
di
giorni inesauditi
nella
fitta matassa della vita
che
freme e scorre fra le dita.
Sarò
il bambino del sabato
che
arriva dalla ferrovia,
sarò
l’uomo nuovo
che
invoca una via,
sarò
l’oscura aurora
e il
livido crepuscolo
e
ancora altre parole
che
non potrò trovare mai
con
una penna in mano
mentre
la pagina bianca
tende
il fertile amo
a cui
niveo bevvi
come
latte di seni
d’una
moltitudini di madri
che mi
tesero carezze
certe
nell’incerto,
profumate
in un incenso
di
nebbia e fuoco terso
perché
per essere son sempre stato
e
vivrò ieri domani.
Nuvole
di fumo
Aspetto
soffiando nel buio
le mie
nuvole di fumo
in
attesa di luce e rivoluzione
ma
invoco solo due occhi
con
una luce un poco più intensa,
io,
che mi innamoro sempre
di chi
è gentile
con
me.
Appetito
di fiori selvaggi
ed
estasi notturne
vestite
a festa
e dal
nefasto alone
eppur
mi muovo in un deserto
con
oasi di equilibri
che si
perdono
con
l’illusione di ritrovarsi.
I
gomiti che reggono
lo
sguardo che scruta
la
strada, la piazza
e non
arriva nessuno;
la
mente lontana,
le
sigarette si accumulano
e le
domande non si dissolvono
come
nuvole di fumo.
Il Dio
sorridente
La
parola perfetta non esiste,
è
l’etereo canto
dentro
al silenzio notturno,
lo
scoglio che contempla
l’assalto
bianco della marea,
il Dio
sorridente
richiamato
dall’antica domanda:
Di
tutto questo amore
qualcuno
prende nota?
I
poeti muoiono,
i
musici invecchiano,
i
filosofi incespicano,
l’alba
ha il suo costante termine
e la
sua costante rinascita
e
questa mia notte del cuore
sarà
eterna?
Vorrei
danzare
come
una nuvola
per
infrangermi nella tua luce
all’aurora
coprirti
di
onirico velo, crepuscolo,
infine
baciarti
nell’abbandono
notturno.
Tu che
entri, irradiami
Il
cuore
geme,
langue, grida
le
verdi asprezze,
la mia
deriva.
In un
fosco bosco
ho
seminato germogli di parole,
nebbia
fra le gote,
un
bacio che non è amore,
il
passo d’un brivido breve,
una
scintilla lieve,
ombra
desta nella fitta aurora,
un
nerogrigio di cui non so godere.
Poi la
lieta stanchezza
sulla
cima di un
picco
inesplorato
e i
cupi versi passati
ora
passi d’una distanza percorsa:
sono
io questo o chi?
La
ricerca del vento
già
muove l’aquilone.
Tutto
è ora chiaro e puro
come
nelle belle poesie,
coscienza
d’un attimo
che
già si perde nel cogliersi:
viola
vertigine di perfezione,
scoglio
che accoglie le onde,
nodi
di pelle che formano nuvole.
Ecco la
mia smisurata bestemmia.
Tu che
entri irradiami
perché
ora so riflettere la tua luce.
Oltre
a questo canto
Sono
poeta
e
sollevo in aria
un
cuore che saluta.
Ho
capito che l’armonia
è
oltre il giardino
e
dentro il cammino
con un
fantasma
che mi
cammina accanto,
mio
unico e possibile
atto
di presenza,
oltre
a questo canto,
oltre
a questo fiore
che
spacca la roccia.
Pioggia
settembrina
Pioggia
settembrina
che
chiudi l’estate;
sulla
brace
si
spengon le faville
dopo
un ricco desinare.
Il mio
tempo
insegue
nuovi istanti
eppur
sopito nei vent’anni
che
lenti obliano lungo
la
smarrita via
del
perdersi per ritrovarsi,
la
strada che porta
all’uomo,
dal ragazzo.
Il
bambino
ivi
deposto dal feto
per
viver sospeso
su
questo ponte d’infinito
si
sveglia solo nella stanzetta
rilucendo
delle gote il pallore
d’un
principio di candore
che si
affaccia sulla vita
nella
scura cera della sera.
Pioggia
che s’alza e si quieta
d’un’inquietudine
serena;
sorgi
verso
dal
mio cuore
ma
abbracciarti non so.
Compito
dei poeti
A
volte credo di pensare:
se non
avessi più niente da dire,
-
niente -
potrei
scrivere del niente che non dice?
Compito
dei poeti
è sì
osservare la candela
e
attendere la rêverie,
ma
compito dei poeti
è
anche esser sentinella
del
niente che ci forgia,
la
falce non richiesta
nel
buio che ci accade.
Compito
dei poeti
è
infine cantare
l’avvenuta
sventura del grano
che
s’oppone al deserto,
il
ritirarsi dei mari
scavalcati
dalla terra negra,
il
nascer spezzato del giorno
con la
sventura del tatto.
Percorro
il fitto grano opaco
e
riconosco il compito affidato:
ci
vorrano parole di morte
e
vomiteremo il cielo indigesto
e
tutte le visioni
e sarà
tutto infinitamente poetico
perchè
la morte
saltella
sul verso
con
gambe di cavalletta
ed
assalta il grano in terrore
lo
morde e lo depone
ronzando
la Rovina
che
arriva ed arriva
decisa
a morire
a sua
morte.
Arthur
Rimbaud
Sogno
versi
che
non so scrivere,
sogno
dimore
che
non so abitare,
sogno
le Splendenti Città,
Rimbaud,
che non so raggiungere.
Tu sei
l’altissimo
insulto
a ciò
che è più basso di te
e il
primo errore del mondo
è
credere che all’abisso
si
scenda; e non si ascenda.
Quale
visione se non quella
del
cielo rovesciato?
Poesia
La
poesia
mi ha
salvato la vita
e in
quella estrema salvezza
il
verso si è fatto carezza
poi
turbine d’assenza
ora
ragionevolezza d’estinta.
Poesia
è
violenza-carezza-destrezza
del
polso inchiostro
sul
patibolo biancastro,
bestemmia
d’un nuovo senso
che
non aspetta l’evoluzione.
Demone-Dio,
poesia
è ciò
che
non sono io
e se
pensata è già svanita
perché
non si può parlare
di Dio
con Dio.
Poesia
è
un’erezione dell’anima,
animalità
d’umano,
feroce
distruzione d’ogni ismo
e una
ferita d’eterno
nella
sordità del cielo feto.
La
poesia
nasce
sconfitta
le
interessa la salita
non
per dominare la vetta
ma per
sentirsi sopraffatta
dalla
cara visione intatta.
Poesia
è testimonianza
della
parola primordiale
e del
silenzio
e del
canto dentro il silenzio,
di ciò
che io non so dire
ed
eppur attendo.
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