domenica 24 maggio 2015

MAURIZIO DONTE: "ODE AL PERDUTO AMORE"

Dopo l'omaggio a Petrarca, ho voluto cimentarmi con il non semplice metro scelto da Ugo Foscolo nella sua ode ALL'AMICA RISANATA.
Stesso numero di stanze per un componimento molto distante, dati i tempi, da quello foscoliano....
il metro è:

a
b sdr
a
c sdr
D
....eccetera

mi sono concesso una ripetizione di rima a distanza comunque tale da non risultare (almeno credo) disturbante per chi legge e l'ho rivista metricamente sanando le sbavature della prima stesura.
Non è altro che un esercizio di stile…

Eccola:

Ode al perduto amore
(omaggio a Ugo Foscolo)

Quando del mare il canto
sale tra fosche tenebre
illumina d'incanto
quell'ombra ch'è di Venere
e splendono sul mare
di luci accese in ciel, le stelle chiare

ed il ricordo torna
muove in silenzio, tiepido
e dalla mente storna
ogni residuo fremito
d'antico mio dolore,
che il cuor mi falcia, mio perduto amore.

Nasce dall'onda un suono,
mentre nel vento un palpito
muove e mi sembra un tuono,
che con lucente folgore
esplode dentro il cuore
e poi si frange, viene meno e muore.

Vien dal silenzio l'eco
quando silenti volano
parole a cui son cieco;
dentro di me non termina
ogni restante duolo
che ferma il passo e fa tremare il suolo.

Son scosse le radici
e il mal raggiunge il culmine
a quello che tu dici
e nella mente tornano
tutti i momenti amari
che corrono e giammai son pochi e rari.

Trema l'antico amore,
le mani sue si stringono
attorno al mio dolore;
muovon ricordi nitidi,
che persero i contorni
quando vennero meno i nostri giorni

in cui per aspri colli
io me ne andavo pavido,
temendo quel che volli,
ma il tuo pensiero illumina
ora le notti terse,
asciugando le lacrime che ho perse.

Ora tu torni e siedi
e mi sollevi in spirito,
mentre ti cado ai piedi:
da quest'amore scioglimi
e dal tormento, diva,
dell'esister mio ferma la deriva.

Disciolgo al vento un canto
nato da mente immemore
d'ogni bugiardo incanto:
tu che di lava e cenere
copristi la mia vita,
e l'hai distrutta con le stesse dita.

Muovi nell'acqua i fianchi
di chiare perle roridi,
ed io di colpo sbianco,
davanti al seno niveo
che splende all'aria chiara:
si spegne luce e vien la notte amara.

Sale una nube e fugge
mentre si perde un battito
l'anima mia si strugge:
a quello sguardo torbido
alzo le mani al cielo;
si ferma l'occhio e poi discende il gelo

e non so più che fare,
corre lo sguardo rapido,
ma non mi può salvare.
Spirano al vento e fuggono
momenti di tempesta,
questo d'amore è quello che mi resta?

Donna, t'amai sì tanto,
t'avrei voluto cingere
in un abbraccio santo,
invece solo lacrime
bagnarono il mio volto,
quando speranza tu dal cuore hai tolto!

Or si trascina e vaga
triste la vita indocile,
segnata da una piaga,
niente i miei occhi vedono
che un poco ti somigli:
t'avrei voluta madre dei miei figli;

così si scioglie e muore
l'amore che pur tacito
ruggiva nel mio cuore,
muto nell'onda scivola
quell'ultimo sospiro
che il tempo arresta, insieme col respiro.

Si perde anche la fede
quando nell'aria mormora
sommessa voce e chiede
ragione di quel fulmine,
che mi colpisce al petto
e che uccide in me, ogni mio diletto. 


Maurizio Donte

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