Dopo l'omaggio a Petrarca, ho voluto
cimentarmi con il non semplice metro scelto da Ugo Foscolo nella sua ode
ALL'AMICA RISANATA.
Stesso numero di stanze per un
componimento molto distante, dati i tempi, da quello foscoliano....
il metro è:
a
b sdr
a
c sdr
d
D
....eccetera
mi sono concesso una ripetizione di rima a
distanza comunque tale da non risultare (almeno credo) disturbante per chi
legge e l'ho rivista metricamente sanando le sbavature della prima stesura.
Non è altro che un esercizio di stile…
Eccola:
Ode al perduto amore
(omaggio a Ugo Foscolo)
Quando
del mare il canto
sale
tra fosche tenebre
illumina
d'incanto
quell'ombra
ch'è di Venere
e
splendono sul mare
di
luci accese in ciel, le stelle chiare
ed
il ricordo torna
muove
in silenzio, tiepido
e
dalla mente storna
ogni
residuo fremito
d'antico
mio dolore,
che
il cuor mi falcia, mio perduto amore.
Nasce
dall'onda un suono,
mentre
nel vento un palpito
muove
e mi sembra un tuono,
che
con lucente folgore
esplode
dentro il cuore
e
poi si frange, viene meno e muore.
Vien
dal silenzio l'eco
quando
silenti volano
parole
a cui son cieco;
dentro
di me non termina
ogni
restante duolo
che
ferma il passo e fa tremare il suolo.
Son
scosse le radici
e
il mal raggiunge il culmine
a
quello che tu dici
e
nella mente tornano
tutti
i momenti amari
che
corrono e giammai son pochi e rari.
Trema
l'antico amore,
le
mani sue si stringono
attorno
al mio dolore;
muovon
ricordi nitidi,
che
persero i contorni
quando
vennero meno i nostri giorni
in
cui per aspri colli
io
me ne andavo pavido,
temendo
quel che volli,
ma
il tuo pensiero illumina
ora
le notti terse,
asciugando
le lacrime che ho perse.
Ora
tu torni e siedi
e
mi sollevi in spirito,
mentre
ti cado ai piedi:
da
quest'amore scioglimi
e
dal tormento, diva,
dell'esister
mio ferma la deriva.
Disciolgo
al vento un canto
nato
da mente immemore
d'ogni
bugiardo incanto:
tu
che di lava e cenere
copristi
la mia vita,
e
l'hai distrutta con le stesse dita.
Muovi
nell'acqua i fianchi
di
chiare perle roridi,
ed
io di colpo sbianco,
davanti
al seno niveo
che
splende all'aria chiara:
si
spegne luce e vien la notte amara.
Sale
una nube e fugge
mentre
si perde un battito
l'anima
mia si strugge:
a
quello sguardo torbido
alzo
le mani al cielo;
si
ferma l'occhio e poi discende il gelo
e
non so più che fare,
corre
lo sguardo rapido,
ma
non mi può salvare.
Spirano
al vento e fuggono
momenti
di tempesta,
questo
d'amore è quello che mi resta?
Donna,
t'amai sì tanto,
t'avrei
voluto cingere
in
un abbraccio santo,
invece
solo lacrime
bagnarono
il mio volto,
quando
speranza tu dal cuore hai tolto!
Or
si trascina e vaga
triste
la vita indocile,
segnata
da una piaga,
niente
i miei occhi vedono
che
un poco ti somigli:
t'avrei
voluta madre dei miei figli;
così
si scioglie e muore
l'amore
che pur tacito
ruggiva
nel mio cuore,
muto
nell'onda scivola
quell'ultimo
sospiro
che
il tempo arresta, insieme col respiro.
Si
perde anche la fede
quando
nell'aria mormora
sommessa
voce e chiede
ragione
di quel fulmine,
che
mi colpisce al petto
e
che uccide in me, ogni mio diletto.
Maurizio Donte
Grazie mille, professore
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