Vito Lolli collaboratore di Lèucade |
Franco Campegiani collaboratore di Lèucade |
"Oltre", mostra di pittura del Maestro Vito Lolli
La memoria profonda
Il Circolo Artistico
La Pallade Veliterna" ha
recentemente promosso in Velletri (Roma), presso la Sala Marcello De Rossi - Polo Espositivo Juana Romani, una mostra di pittura del Maestro Vito Lolli.
Intitolata Oltre, l'esposizione è
stata inaugurata il 10 maggio e resterà aperta fino al 31 dello stesso mese. Pittore
appartato e fuori da ogni moda, da ogni circuito ufficiale, Vito Lolli compie
percorsi del tutto inediti e innovativi, per comprendere i quali può essere
utile (non indispensabile) farci accompagnare da lui stesso nel processo
mentale da cui sgorgano le immagini che nella mostra vediamo.
Conosco da anni l'autore
e devo dire che, oltre ad essere l'artista di sorprendenti qualità creative che
qui mostra di essere, egli è uno studioso formidabile che porta avanti una
ricerca estetica di cui risulterà utile una rapida informazione. I lettori di
questo blog hanno già avuto modo di avvicinarsi all'orizzonte della sua
pittura, leggendo recentemente un suo saggio dal titolo Cos'è l'arte, dove filosofia, mistica, scienza e analisi del
linguaggio si fondono in modi insoliti tra di loro.
Quale è la matrice
delle visioni artistiche, si chiede Vito Lolli? Da dove nascono le immagini che
si animano nella mente del poeta e dell'artista? Da una Memoria, egli dice,
anteriore alla nascita del Tempo, una Memoria dimenticata (e addirittura
"fatta per dimenticare") che è una sorta di Eterno Presente o di
Coscienza Cosmica: quel Logos che, secondo l'etimo, raccoglie e tiene unite
tutte le cose prima della loro caduta nello spaziotempo, ovvero prima del loro
smembramento.
Da qui l'esigenza
del rimembrare, del riunire gli elementi dispersi, che è tipica del fare
artistico. Non è vero, infatti, che lo sguardo dell'artista e del poeta si
distraggano nelle variazioni del molteplice, che si perdano nella frivolezza
del mondo esteriore, come aveva creduto Platone. L'artista, al contrario, ha
sguardi tutti puntati sull’unità del molteplice, o sulla molteplicità dell’uno.
Ciò che gli interessa è di immergersi nel mondo fenomenico per prendere
contatto con la radice da cui la vita viene.
E’ la cosiddetta cosa in sé a catturare le sue
attenzioni: quell’inseità che
giustamente Kant ha dichiarato inaccessibile alla ragione, ma che tuttavia è alla
portata dell'esperienza creativa quando sappia immergersi nel processo
universale della creatività. Non in linea con la cultura visiva dei nostri
tempi, questi dipinti sono tuttavia legati all’uomo d’oggi, alla sua imprescindibile
esigenza di ristabilire un contatto con l'Essere. Una figurazione inusuale, un
simbolismo misterico che irrompe dall’Oltre e che spiazza gli abituali labirinti
mentali.
Non dobbiamo
chiederci pertanto che cosa significano
queste immagini. Non significano niente, perché questo non è un discorso
razionale, e neppure un discorso onirico, un miraggio della fantasia. Qui la
mente razionale ed inconscia è posta totalmente fuori giuoco. Scavalcata, per
tornare alle scaturigini della Coscienza universale. L’artista, rivelatore di
miti, torna a farsi ispirare dalla Musa. Quello che lui dipinge non è costruito
a tavolino, non è il frutto di una sua elaborazione, ma è la riproduzione di
immagini accese nella mente da una memoria profonda, caduta in oblio.
Non è memoria del
tempo passato, ma è risveglio di un tempo che è fuori dallo scorrere del tempo:
l'eterno presente, l'alfa e l'omega, le origini originarie e sempre originanti.
Tutto ciò è detto splendidamente nel mito di Mnemosyne (la Memoria),
che è anche il nome di una delle due fonti cui è d'obbligo bere per avere
accesso agli Inferi. Lei consente di ricordare ciò che si è visto nell'aldilà,
mentre l'altra fonte, intitolata a Lete
(la dimenticanza), fa scordare le
cose del passato.
E' esattamente questa
la condizione di spirito necessaria per avvicinarsi ai dipinti di Vito Lolli.
Bisogna fare tabula rasa di ogni
sovrastruttura e di ogni pregiudizio. Ed è questa la salutare lezione del
Nichilismo: l'azzeramento di tutti quei valori ripetuti a pappagallo che non
nascono dalla macerazione interiore e che pertanto non possono essere autentici.
"Ciò di cui non si può essere certi, è meglio tacere", ammoniva
Wittgenstein. Giusto monito, ma c'è da aggiungere che il silenzio è la patria
di quelle certezze da cui ogni linguaggio viene.
Osserviamo il teatro
del Vuoto di Giorgio De Chirico. Gli ideali sono ridotti a manichini e gli dèi
sono fuggiti dal mondo. E' l'intero percorso della cultura occidentale,
metafisico e nichilistico nello stesso tempo, a crollare miseramente. Non a
caso il nichilismo dechirichiano ha preso il nome di Arte Metafisica. La
domanda è: la fine è definitiva, oppure è soltanto il prologo di un nuovo
inizio, di una nuova avventura culturale? Ebbene, questi dipinti mostrano quale
alta tensione morale e vitale possa svilupparsi nei territori del silenzio.
Il silenzio è
l'unico vero valore da coltivare nella torre di babele in cui oggi viviamo. E'
dal silenzio che da sempre germogliano i nuovi linguaggi, le nuove culture, i
nuovi valori. Le immagini che qui vediamo nascono dal vuoto mentale, quel vuoto
mentale che è condizione indispensabile
affinché possa rifarsi il pieno, garantendo la
rigenerazione dell'animo umano. C'è bisogno, di tanto in tanto, di
questo blackout, di questo
cortocircuito, di questa inversione cardiaca.
Il filosofo Michel
Foucault è giunto, per questo, ad una sconcertante profezia: la civiltà verrà
distrutta dal linguaggio quando questo diverrà babelico, interrompendo i propri
rapporti con le cose. A quel punto esso diverrà narcisistico, autoreferenziale,
e resterà impossibile comunicare. Così dovremo forzatamente riappropriarci del
linguaggio mitopoietico, del linguaggio creativo dei simboli, del linguaggio
della concretezza e delle relazioni vitali. Sta qui il potere insostituibile
dell'ispirazione.
Ma non si pensi allo
spontaneismo di chi apre bocca e le da fiato, eliminando ogni valenza ed ogni
fatica tecnica. Basta dare un’occhiata a questi dipinti per capire l’enorme
importanza del lavoro tecnico. Se ci soffermiamo a considerare la luminosità di
queste tele, o anche la profondità spaziale vertiginosa delle visioni, possiamo
intuire di quale eccezionale bagaglio tecnico disponga l’autore. Va tuttavia
detto che qui la tecnica torna ad essere un mezzo e non un fine. Ma non uno
strumento al servizio delle Idee (ne
andrebbe di mezzo l'autonomia dell'arte), bensì al servizio della Musa: il che è ben diverso, come credo
di avere chiarito.
Franco Campegiani
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