Franco Campegiani collaboratore di Lèucade |
Sonia Giovannetti collaboratrice di Lèucade |
Un altro inverno, di Sonia Giovannetti
(Roma, Bibliocaffè letterario, 23 maggio 2015)
Il suggestivo e
pensoso poetare di Sonia Giovannetti potrebbe far pensare ad un'intrusione filosofica
nel campo della poesia. E' quanto si dice anche del sottoscritto, come di altri
poeti (ad esempio Sandro Angelucci). Mi permetto di dissentire. Forse la
speranza di chi fa tali accostamenti è di ricondurre la cosiddetta filodossia dei poeti-amanti-degli-spettacoli
di cui parlava Platone (ma anche Kant, ed altri ancora) nelle grazie della filosofia-amante-del-vero. In realtà, le
forme pensose della poesia, pur essendo agli antipodi del vanesio fanatismo
espressivo, non hanno parentela con la filosofia, bensì con quella sofia innata nell'uomo, prelogica e
prefilosofica, di cui la ragione può soltanto dichiararsi amica (filo-sofia,
appunto), quando apertamente non ne diviene nemica
(e ciò capita molto spesso).
Fin dalla dedica,
questo libro (Un altro inverno,
edizioni Kairòs, con prefazione di
Nazario Pardini) fa esplicito riferimento ad una sofia, certamente non
filo-sofica, rintracciabile nei territori del silenzio e della meditazione interiore.
"Al mio lettore ideale che ama
ascoltare in silenzio": questa la dedica, con un chiaro invito a far
tacere i rumori ed il chiasso, il chiacchiericcio mondano. Altro che filodossia! La poesia e l'arte, di
qualunque tendenza esse siano, è da lì che prendono il via, da quel silenzio che
sempre ha una doppia valenza: da un lato è annichilimento dei luoghi comuni,
dall'altro è ascolto degli interni fuochi da cui sempre riparte l'avventura
della cultura e della vita.
"Ciò di cui non
si può essere certi è meglio tacere", ammonisce Wittgenstein, e ha
ragione. C'è però da aggiungere che nel silenzio avviene quell'incontro segreto
con l'Essere, quell'ascolto dell'Essere
di cui parla Heidegger, quella scoperta appunto della sofia, della conoscenza elementare e universale della vita, da cui
da sempre scaturisce la parola nuova (la poesia, appunto) che nomina e rinomina
per la prima volta il mondo. Se da un lato, dunque, il silenzio rappresenta la
fine della parola, dall'altro segna l'inizio della parola stessa, l'accensione
di ulteriori linguaggi creativi. Da un lato il silenzio è il vuoto, dall'altro è il pieno. Esso si trova al termine, ma
anche all'origine di ogni avventura linguistica, esistenziale, culturale.
Questa dualità del
divenire e dell'essere, del moto e della stasi, questa circolarità del viaggio,
la troviamo fin nel motto posto ad esergo di questo libro: "Ogni poesia è un viaggio nel tempo, anche se un poeta non parte
mai veramente. Egli, in realtà, rimane sempre presso di sé". Il
viaggio ed il tempo non sono altro che avventure del sé profondo: di quell'essere
che, restando immutabile, si arricchisce e si nutre di ogni esperienza, di ogni
mutazione. Ed è così che, nell'incombere dell'inverno e della sera, mentre "scende il silenzio come un
sipario", la poetessa può osservare che "tutto si muove nella quiete". E' il fuoco che cova sotto
la cenere, il fermento che non si spegne, ma freme come magma lavico pronto ad
esplodere nell'apparente stasi.
Quando Sonia scrive "Voglio solo dormire. / Nel sonno si
dissolve il passato", non è da intendere pertanto nell'esclusivo senso
della stanchezza greve, per usare le
sue parole, che pure c'è ed è pregnante. Il sonno si alterna sempre alla
veglia, e la notte contiene l'annuncio del giorno. La nostalgia profonda di cui queste poesie sono pervase risulta
sempre in qualche modo carica di attese. In Un
altro inverno, la poesia eponima che dà titolo al libro, l'autrice si
rivolge al padre scomparso confessandogli di essersi finalmente liberata delle giovanili
illusioni, di avere compreso la vanità delle sue ribellioni di un tempo, delle
sue utopie e di tutti i suoi ingenui ardori.
"Un altro inverno si è adagiato / sul nido
delle rondini", ed "ora che il tempo è abitato dal
vero", lei si sente vicina alla saggezza di quel babbo contadino, di
quel suo equilibrio fatto di inverni e primavere, di incanti e disincanti, di
morti e di rinascite in tenera alternanza tra di loro. Ebbene, sento di poter
affermare che sta qui la psicologia creativa di Sonia Giovannetti, in questo
respiro perennemente altalenante, in questa magia
del viaggio, come lei dice, che sempre parte e sempre torna "nel luogo che è sopra e dentro le
cose"; in questa magia che riattiva "la pendola degli anni / rimasta a lungo immobile nella stanza
vuota". Una visione del mondo circolare e ciclica, prettamente
femminile se vogliamo, dove la vita costantemente muore per potersi rinnovare
all'infinito.
E torna sempre a
capo, la vita, "squarciando le
soglie del tempo", di quel tempo che altrimenti, se fosse lineare
anziché ciclico, andrebbe senza speranze alla deriva. Invece "la mia luce che si accende / è in
questo mutare delle cose", "è
in tutti i granelli della clessidra del tempo". Gli dei non fuggono
dal mondo. La verità - di cui pure siamo ignari - non ci abbandona mai. Essa è
qui, nello scorrere del tempo, in tutto ciò che invecchia per potersi rinnovare.
E, aggiunge Sonia, se io, "fatto
amico il tempo", "non potrò tornare / stanco e ormai vecchio / a
cercare l'antico sole", sarà lui stesso a venirmi a trovare. Nulla è
lasciato alla deriva in questa visione dolorosa della vita, ma sempre e
comunque maternale, provvidenziale. Si chiede Sonia: "è forse altro la vita / se non un viaggio nella memoria? / ... /
Il sentiero che ho davanti / promette di essere questo infinito ritorno / lì
dove tutto è cominciato".
Il futuro non è che
un ritorno al passato. Ma quale passato? Qui non si parla del tempo trascorso, bensì, dice Sonia, di quello "dove tutto è cominciato". Si
parla di quel centro della vita universale dove la creazione è perenne e dove
tutto è destinato a cominciare, o a ricominciare. Per cui, se è vero che "tutto è compiuto" e che "me la trascino dietro, come un
carretto, questa vita", è altresì vero che, a dispetto di ogni
crepuscolo, "l'aurora adesso può
arrivare. L'aspetto...". C'è un punto fermo nel "vorticoso andare", ed è il sé profondo, la propria guida
interiore, la propria musa, la propria poesia: "l'unica verità che ascolto", dice Sonia. E' "il soffio dell'eterno" che
non trascina fuori dal mondo, ma proietta invece nel mondo per renderlo più
equilibrato e vivibile, più saggio ed umano.
Ed è qui che si
radica la poesia civile di Sonia. I temi sociali affiorano, qua e là, in molte
pagine di questa raccolta di poesie: le carrette della morte che vengono dal
mare, la Shoah, le utopie giovanili,
Pier Paolo Pasolini. "Prima o poi
deve cambiare, mi dicevo. / Si, il vento cambierà. Ci sarà aria nuova". Una
delusione! Il fatto è che gli ideali sono astratti, concreti sono soltanto gli
uomini, ovvero l'uomo che io stesso sono. Posso modificare me stesso, ma non
posso cambiare il mondo. Dipende dalla mia volontà di evocare la luce, la sofia appunto, che sta dentro e non fuori
le cose. Dipende dalla mia volontà di "salpare...
/ verso la linea del tramonto", dal mio saper "cercare il mistero delle cose", dal mio viverlo ed anche
dal mio scriverlo, perché, dice Sonia, "se
un giorno non scriverò più, / vorrà dire che la notte è arrivata".
Franco Campegiani
Credo debba essere molto gratificata e commossa la nostra poetessa dai due commenti interpretativi della sua opera poetica,- Un altro inverno- quello di F. Campegiani e quello di S. Angelucci. Sono commenti di due poeti-filosofi che sanno leggere la voce eterna della poesia che alita intorno a noi raggiungendo lo scoglio di Leucade.
RispondiEliminaMi colpisce e condivido del primo la riflessione sul silenzio: “La poesia e l'arte, di qualunque tendenza esse siano, è da lì che prendono il via, da quel silenzio che sempre ha una doppia valenza: da un lato è annichilimento dei luoghi comuni, dall'altro è ascolto degli interni fuochi da cui sempre riparte l'avventura della cultura e della vita….. Esso si trova al termine, ma anche all'origine di ogni avventura linguistica, esistenziale, culturale”. La sconfitta del rumore. Un eden interiore che traspare in un racconto, un pensiero, una poesia, un ricordo… Esiste un lessico per dire, almeno indirettamente, almeno obliquamente, l’ineffabile? l’alternarsi, l’attesa, di vuoto …di pieno.
La parola e il silenzio sono intimamente connessi: la parola ha una doppia eco: l’una da dove proviene, l’altra dal mondo della fine, della morte.
La parola deve la sua innocenza, ingenuità, originalità al silenzio da cui proviene mentre la brevità, la fugacità, la fragilità e il fatto di non corrispondere mai pienamente alla cosa che denomina, provengono dal secondo silenzio, dalla morte.
Del secondo interlocutore mi pare importante la riflessione sul tema del viaggio, e vale la citazione: “Ogni poesia è un viaggio nel tempo, anche se un poeta non parte mai veramente. Egli, in realtà, rimane sempre presso di sé.” pensiero che viene metaforizzato nell’immagine dell’onda.
“L’onda: un’onda che, fragorosa, rompe sugli scogli o, scivolando, si distende morbida sulla battigia; un’onda che porta a riva gusci vuoti di conchiglie e plancton; che viene e va dal principio alla fine, dalla fine al principio…..la meta è già stata raggiunta ma continua ad essere abbagliante, si va verso il futuro perché si è sulla strada di un infinito ritorno. Eccolo l’ossimoro degli ossimori; la verità più grande della verità, e il sogno, il sogno più grande del sogno.”
Perdersi e ritrovarsi. Viaggiamo, inizialmente, per perderci, e viaggiamo poi, per ritrovarci. Per portare le ricchezze disperse, per rallentare il tempo, allontanare la morte…
Auguro a Sonia Giovannetti di realizzare quello che si domanda con partecipazione S. Angelucci: “siamo sicuri che esista davvero “l’ultima onda del mare” per un poeta; per chi – come lei – ne sente il respiro, e tanto ne ama l’amore?”.
M.Grazia Ferraris
Il mio più sentito grazie a Franco Campegiani per questa splendida recensione che ho avuto l’immenso piacere di ascoltare il giorno della presentazione del mio “Un altro inverno”. Mi lusingano molto le parole che ha voluto dedicare ai miei versi ed anche al mio amato “silenzio”.
RispondiEliminaHo sempre ritenuto che la poesia - e lo sa bene chi la scrive - ha bisogno di silenzio per essere messa al mondo, per essere ascoltata, per essere affidata “al lettore ideale” a cui questo libro è dedicato.
Franco è perciò un mio lettore ideale e ancor più, poiché ha inteso accompagnare, con la sua straordinaria penna, quel silenzio in cui mi sono immersa e di cui, anche grazie a lui, assaporo quella luce: quella “Sofia, appunto, che sta dentro e non fuori le cose… che è innata nell’uomo”. Un dono straordinario, quello che il poeta Campegiani offre a questa mia silloge e che si aggiunge alla prestigiosa prefazione del Prof. Nazario Pardini, che non finirò mai di ringraziare.
Sonia Giovannetti
Professoressa Ferraris, mi sento ”molto gratificata e commossa” anche dalla sua preziosa attenzione. Franco Campegiani e Sandro Angelucci mi hanno offerto due superbe esegesi. La lettura e l’ascolto (nel giorno della presentazione del libro) delle loro parole ha toccato le corde più profonde di me, donandomi cognizione del mio stesso ascolto dell’Essere. I “due poeti-filosofi”, lei, il Prof. Pardini (che ha tracciato ed onorato, in maniera indelebile - con la sua prefazione - questo mio inverno) aiutate a comprendere quel mio stato d’animo che mi è perfino riuscito di esprimere. Un dono, un arricchimento che mi fa ulteriormente difendere il benedetto silenzio che ogni poeta custodisce, perché necessario – vitale – alla poesia stessa; ed anche a quel viaggio del poeta nel tempo, a cui faccio riferimento nelle pagine che precedono le poesie.
RispondiEliminaI poeti sono il tempo senza tempo e vivono del proprio tempo interiore. E’, volta a volta, il tempo del ricordo, della memoria, del futuro; è l’istante che si fa eterno. E il poeta contempla e fonde il passato e il futuro riconducendoli al tempo in cui scrive. Ecco perchè affermo che il poeta non parte mai veramente.
Ringraziandola, anche dell’augurio, la saluto con stima e ammirazione mentre ripeto le sue parole, ad alta voce: “Perdersi e ritrovarsi. Viaggiamo, inizialmente, per perderci, e viaggiamo poi, per ritrovarci. Per portare le ricchezze disperse, per rallentare il tempo, allontanare la morte…”
Sonia Giovannetti
Sono davvero grato alla Professoressa Maria Grazia Ferraris per la condivisione delle mie parole sulla poesia di Sonia Giovannetti. In particolare sono colpito dalla sua riflessione estremamente chiara ed esplicativa sulla doppia valenza del silenzio: argomento di fondamentale importanza, che a mio avviso merita maggiori approfondimenti filosofici. Sulla poetica di Sonia non aggiungo altro a quanto già detto. Lei ringrazia me, ma dovrebbe in primo luogo ringraziare se stessa, o la sua musa, giacché è lei ad avere ispirato la mia scrittura.
RispondiEliminaFranco Campegiani
Mi associo ai ringraziamenti che Franco ha rivolto alla Professoressa Ferraris anche per quanto riguarda la sua interpretazione della mia esegesi, nella quale completamente mi ritrovo: la citazione del passo riportato è indice di chiara individuazione della chiave di lettura.
RispondiEliminaGrazie, davvero, dell'acutezza del suo pensiero, Professoressa, e che possa realizzarsi l'augurio, con il quale conclude, per Sonia e per tutti coloro che amano la poesia e credono nella speranza della sua parola.
Sandro Angelucci
Grazie a voi carissimi amici, per la vostra generosità di giudizio e di consenso, e grazie in particolare a Sonia Giovannetti alla quale auguro con amicizia un futuro ricco di poesia
RispondiEliminaM.Grazia Ferraris