Ninnj Di Stefano Busà collaboratrice di Lèucade |
D'Annunzio
(a
cura di Ninnj Di Stefano Busà)
Dentro
il Decadentismo sta in bilico un’altra voce singolare del nostro panorama
culturale letterario: D’Annunzio. Figura emblematica di scrittore illuminato da
una cultura di transito tra il vecchio e il nuovo, il quale non riesce
pienamente ad uscire fuori dagli stereotipi di una pagina storica che lo vede
in prima fila affrontare le grandi trasformazioni a cavallo del secolo.
In
lui l’incapacità di intendere la storia come illuminata da fattori di
religiosità e di autentici valori di fede fa perdere di vista la realtà che, in
tal modo, si presenta come l’esaltazione orgogliosa e proterva di un io che
culla il soggettivismo individualistico e lo traghetta nel dissidio reale della
storia. Di contro, la storia ne esce come un episodio di esaltazione
naturalistico-culturale ricettivo ad accogliere lo strutturalismo di una
volontà che è la parte finale di una costruzione intellettuale avanzata, la
punta d’iceberg di un prepotente individualismo idealizzato fino alle sue
estreme conseguenze da un intelletto che si dibatte nelle sacche prioristiche
del fenomeno materico più esaltato dell’uomo-dio (protervo e conflittuale
episodio dell’agnosticismo religioso e dell’evoluzionismo darwiniano).
Le
prove della teoria evolutiva vanno poi ricercate nella possibilità di influire
sul controllo di laboratori interpretato dalle indagini scientifiche del
processo evolutivo della specie.
Da
parte di D’Annunzio vi è l’adesione ad uno strumentalismo intellettuale che
trascina dalla sua il simbolismo alla francese di Mallarmé, Rimbaud, Huysmans,
e russi (Gorkji, Dostoevskji), dentro le istanze concettuali filosofiche di
Schopenauer e Nietzsche, che lo portano all’interpretazione culturale di un
decadentismo che si rivela di trascinamento storico-politico-culturale del
tempo.
In
ogni modo, D’Annunzio è una delle massime figure della pagina letteraria
italiana, un trascinatore fascinoso ed esaltato, un poeta sensuale in Canto novo, un novelliere che
interpreta i canoni del verismo (Terra vergine, San Pantaleone, raccolti poi
col titolo di Novelle della
Pescara) in cui decisamente si allinea al decadentismo di Huysmans e di
Wilde (vedi il Ritratto di
Dorian Gray) come si mostra nei suoi romanzi Il piacere, L’innocente pervasi entrambi da una morbosa
sensualità; Il trionfo della
morte e Le vergini delle rocce, una
reinterpretazione poetica grossolanamente comparativa del superuomo
nietzschiano.
Tutte
opere che gravitano intorno al concetto della volontà di potenza di questo
modello interpretativo. Un acceso nazionalismo sta invece alla base delle Odi navali, in cui si avverte
il crescente interesse per la vita politica attiva del momento. Deputato in
Parlamento, D’Annunzio si schiera con la maggioranza parlamentare per poi
unirsi all’estrema sinistra nell’ostruzionismo contro Pelloux. La relazione con
l’attrice Eleonora Duse gli apre un periodo di attività artistica fra le più
sfolgoranti, soprattutto in teatro: La
città morta, Gioconda, Francesca da Rimini, La figlia di Jorio, La fiaccola sotto il moggio, Fedra, Più che l’amore.
Si
dà al lusso più sfrenato e alla condotta più sensual-libertaria, dissipando i
proventi delle sue opere, oltre che il patrimonio di famiglia che era fra le
più agiate. In breve è costretto a lasciare la residenza lussuosa de “La Capponcina ” per
sottrarsi al tormento e alla furia dei creditori, prima sede Marina di Pisa,
poi Parigi e Arcachon, dove compone altre opere teatrali tra cui: Il martirio di San Sebastiano musicato dallo stesso Debussy.
L’aspetto
strutturale e direi quasi primario del suo carattere è quello di aver
considerato la parola rivelatrice essa stessa di storia e di lussuriosa
interpretazione dei sensi: una parola goduta, prima di ogni altra cosa, dalla
libido furiosa della passione e dei sensi, nella loro più vera accezione di
verismo e solo in un secondo tempo demandata al tono goliardico-patriottico
propulsore di idee per gli stimoli intellettuali che la dominano.
In
tal modo, D’Annunzio è recettivo ad accogliere le più ardite spericolatezze del
linguaggio e delle esperienze culturali europee. D’Annunzio passa attraverso
varie correnti di pensiero: dal naturalismo alla Zola, ai veristi, parnassiani,
simbolisti ecc. Sembrò di tutti avvertire il soffio. Perciò, appare come
l’ultimo anello di congiunzione di una catena di sopravvissuti che devono
traghettare dal crepuscolarismo al revisionismo logico della nuova cultura, lavittoria
mutilata che ne accentua il
nazionalismo con ampi e godibili spazi verso una tendenza tutta sua di
libertarismo in chiave moderna.
Con
D’Annunzio la letteratura sembra aprirsi a nuovi orizzonti ed a ipotesi di
rinnovamento intellettuale e artistico che, tuttavia, non pervengono a
modificare assetti e tradizioni, né a pervenire ad esiti strutturalmente
definiti.
Il
mondo dannunziano si muove su un terreno di ricerche personali e va tutto in
direzione di un naturalismo panteistico con ampi squarci di decadente
materialismo positivistico di fine secolo (Darwin). Come si sa egli si oppone
ad un idealismo contrapponendovi il suo tipico individualismo esasperato,
esaltando l’io individuale col retaggio storico di un processo
nazional-patriottico, ma anche mitico, proprio di quel mito teatralmente acceso
e vivido delle sue rappresentazioni. Si possono distinguere tre momenti: quello
più sensuale sullo sfondo di una Roma barocca in cui canta la natura con
istinto baldanzoso e selvaggio, esaltazione di sé nel primitivo rapporto di
storia-ragione che riproduce il modello del verismo, ricordiamo la sua loquace
penna nel descrivere il processo virtuale dell’uomo ‘novo’. Le sue prime opere
ne sono l’esempio. Passò poi ad un naturalismo ispirato da sentimenti morali ed
eroici, esaltando il superuomo, studiando le posizioni teoretiche nietzschiane.
Quivi aveva trovato una giustificazione aderente all’esaltazione del suo
individualismo: unica verità è l’istinto.
Cristianesimo
e civiltà moderna sono ben lungi dal rappresentare la realtà del momento così
votata al crepuscolo nel rapportarsi al conflitto da sempre esistente tra lo
spirito e la materia. In un primo momento, questa posizione di pensiero lo
porta a formulare modelli di vita improntati al concetto del superuomo. Poi,
ripiega sulla posizione fuori da ogni convenzione sociale che lo porta ad
esaltare se stesso. Terzo momento, nel quale D’Annunzio coglie più serenamente
il profondo dissidio e celebra la passione con la forza rigeneratrice dei
sensi: vivere con forza e con estremo piacere, (credo sia stato il suo vero
ideale), assecondando gli impulsi istintuali. Alcyone è l’opera in cui torna ad essere
cantore puro, dimentico degli eroi e dei doveri patriottici. L’opera è un
ritorno alla natura, alle cose viste con l’occhio sensual-fantastico, vi sono
visioni solari e marine, si chiude con un commiato del poeta rivolto al Pascoli
che dimorava nella vicina Castelvecchio. In Alcyone si trovano alcune tra le più belle e
mirabili liriche di D’Annunzio: la sera fiesolana, la pioggia nel pineto,
meriggio, etc. Il poeta vi domina nel suo più vasto repertorio naturalistico a
sfondo paesaggistico, rappresentativo di una ineludibile bellezza della poesia.
Siamo alla celebrazione di una visione più modernamente panteistico-individuale
che esalta la natura nella quale si riesce a cogliere l’esortazione agli uomini
a ritornare ad una vita più semplice, nel verginale istinto e afflato del
creato, una ragione naturalistica domina un tema paesistico di grande effetto.
Un
panismo ripreso dai motivi ispiratori che realizzano un’atmosfera sensuale in
cui D’Annunzio pienamente si riconosce: la terrestrità, le marine, le
modulazioni di un canto incarnato nel mito della terra, quale intuizione di un
mondo più semplice che prende il sopravvento su fattori speculativi
generazionali di un’apertura al moderno tecnologico.
Il
sentimento panico avverte di una sua elementare esigenza di natura che rispetti
le grandi leggi del mondo, quasi un respiro-cosmico sensuale per chi era
abituato a repertori più apertamente celebrativi dell’uomo-protagonista. Gli
ultimi anni della sua vita li trascorre in uno sradicamento di sé e dalla realtà
circostante, prigioniero ormai del proprio modello estetico, che in tono
rievocativo continua a produrre in successione quasi autobiografica di
recitazione: Il venturiero
senza ventura, Il compagno
dagli occhi senza cigli.
Completamente
in ritiro dalla mondanità, nella sontuosa villa sul Garda il “Vittoriale degli
italiani” si eclissa dalle fastose passioni del mondo, rifugiandosi in un
agnosticismo religioso che nel selezionare i suoi sentimenti lo rende estraneo
al processo dei dibattiti, trasformandolo poi nel monumento-museo di se stesso.
Muore nel 1938.
Saggio magistrale sul nostro scrittore D'Annunzio, credo che si potrebbe leggere nelle aule universitarie come lezione di Letteratura. Complimenti vivissimi e sinceri all'autrice che non conosco, ma che vorrei avere tanto l'onore di conoscere...chissà, un giorno se potrà capitare. Grazie Prof. pardini di porre sul blog articoli che potranno fare la Storia della ns. pagina letteraria migliore. Con i più distinti saluti.
RispondiEliminaGaetano Turri
Una chiave di lettura che potrebbe essere consigliata agli allievi di Scuole Superiori. Il modello critico è molto chiaro, si avvale di una forte scrittura e di una professionalità adeguate. Entrano in gioco la capacità linguistica e un modello bene articolato di competenze specifiche. Grazie all'autore che non conosco e al Prof. Pardini che sa scegliere i suoi collaboratori con competenza e oculatezza. Porgo con l'occasione i migliori saluti.
RispondiEliminaPatrizio Marzorati
Ottimo articolo, sa esprimere in modo eccellente la figura del ns. Vate. Non conoscevo l'autore, che mi pare un'ottima penna. Congratulazioni.
RispondiEliminaEmilio Vancini
Ottimo saggio. La specula affonda in un tessuto letterario di competenze professionali e linguistiche. Scrittura limpida, pregna di polisemiche intuizioni e di adeguate capacità. D'Annunzio ne esce come rafforzato e pienamente riabilitato dal marchio di erotismo superficiale nel quale lo hanno sempre rilegato. Un plauso a chi lo fa emergere nella sua veste di scrittore e poeta di eccellenza.
RispondiEliminaLuisa Rodolfi
Leggo, per puro caso, questo articolo/saggio sul Vate D'Annunzio, un personaggio molto discusso e fuori dalle righe per certi atteggiamenti erotico/sentimentali con i quali veniva nominato . Qui la chiave di lettura gli rende pienamente onore, ne fa un eccentrico, ma senza le intemperanze seduttive di riferimenti che si annettono alla sfera privata di ognuno. Il poeta viene ad avere il suo ruolo in conformità a quelle che sono le qualità della sua scrittura, e mi pare ne esca arricchito da un saggio che, più che un articolo, si riferisce ad una indagine pertinente e autorevole, senza sbavature. Una critica letteraria che vede assolutamente chiaro nelle intuizioni categoriali di una scrittura eccellente, quale quella dannunziana. Complimenti a questo articolista che ne ha profondamente analizzato il genere letterario, non la forma dell'alcova. Grazie, Prof. Pardini per la scelta oculata dei suoi collaboratori eccellenti.
RispondiEliminaPaolo Stolfi