Adriana
Pedicini: Sazia di luce. Edizioni Il
Foglio. Piombino. 2013. Pg. 84
Poesia
calda, spumeggiante, densa, che, attraverso ondulazioni metriche, fa di tutto
per concretizzare gli input emotivi su un pentagramma di note da romanza. È
melodia il canto della Pedicini, è euritmica sonorità che avvince e convince.
Un melologo che ricorre agli strumenti fondamentali del poièin: realtà,
immaginazione, fantasia, amore, memoriale, sogno, inquietudine, saudade,
nostalgia; insomma tutti quegli ingredienti che fanno della vita una simbiotica
fusione di contrapposizioni. Una vicenda di illusioni e delusioni; di fughe e
ritorni; di slanci emotivi che tendono ad andare oltre il contingente, oltre la
terrenità del nostro vivere:
Mentre cammino
volgo il viso al volo
di una rondine
dal tetto o dalla gronda.
Il mio sguardo
rincorre nel cielo quelle ali
oltre l’azzurro
infinitamente lontano
(Infinito).
Ma
sono le immagini, forza rigenerante, ad alimentare con vigoria e dolce
melanconia l’anima della Poetessa; le configurazioni reali tornano vestite di
nuovo dopo una lunga decantazione; desiderose di esistere e di vincere l’oblio;
è così che volti, paesaggi, meriggi autunnali, voli di rondini, brezze che accarezzano
ricordi si fanno corpi viventi a graffiare un’anima che volge lo sguardo ad cantiche
primavere; a tempi di verde e di luce di cui la Nostra si sazia, cosciente
della brevità e della caducità della sua
storia. Forse è sperdendosi in un sogno, facendone un rifugio di edenico stupore:
(…)
Alla soglia di ultima età
assopiti nel tremulo fluire
di giorni cupi brillano
di luce dorata
occhi tornati a splendere
nell’umano sogno
alla fuggevole carezza
della Vita (Ritorna il sogno),
che
la Poetessa cerca di tradire le intenzioni di una stagione che fagocita le stesse
memorie; di una stagione che porta a riflettere sui tanti dubbi dell’esistere;
sulle incertezze della nostra venuta:
(…)
Trema nell’aria l’eco
del pensiero che risillaba
la domanda estrema
che fu anche la prima.
Chi siamo? (Chi
siamo).
Un
“Poema” di plurale e odeporica sostanza creativa; di una plurivocità che copre
ogni vicissitudine umana e che si estende da un travaglio intimo e personale ad
un percorso esistenziale che riguarda ognuno di noi; una conflittualità di
generosa resa poetica che, partendo dalla realtà del quotidiano, si eleva a
cieli di grande splendore per vincere le inquietudini del vivere con la luce
dell’eterno. E la natura, con configurazioni e cromie mai oziose, si fa
simbologia di vita; si fa concretezza di segmenti interiori vòlti a
realizzarsi in papaveri, in fili d’erba,
in giovani ciliegi, in bianche corolle, o
in raggi di tiepido sole. E la parola segue con generosa disponibilità
il dipanarsi della storia; ora facendosi gentile e colorata, ora melanconica e
sorniona, ora rattenendosi, ora prolungandosi, ora andando oltre il senso
morfosintattico per agguantare gli slanci emotivi. Magari ricorrendo anche a
qualche arcaismo, se necessario, per sfumare il senso del significante; o a
prolungamenti sinestetici (rosei sorrisi) per rincorrere l’anima in questa sua
fidente corsa verso l’infinito; verso una fede che, alfine, vince su ogni
dubbio esistenziale:
Oggi ti sento
Signore
a me vicino.
Sei l’aria
che respiro
l’orizzonte
che mi attrae
questo cielo
che mi abbraccia… (A
me vicino).
(…)
Non devo pensare
Signore,
per lasciarmi inondare
dalla gioia del tuo incontro…
(Fede).
Ed
è così che la vita dell’Autrice si riempie di luce, di gioia e di sorriso.
Perché Ella sa e ne è convinta che è un dono irripetibile a cui offre tutta se
stessa; felice di ascoltare, in solitudine, il mormorio della sua piccola città:
(…)
Ascolto solo
la mia piccola città
che pettegola, mormora,
trepida, soffre,
amo la vita della mia città
antica
dove ha ancora un senso
scorgere negli occhi un timido
sorriso (Vita).
Nazario Pardini
La mia anima brilla di bellezza, che è la Sua capacità di trasformare in prismi di luce le mie semplici parole, dettate, questo sì, dalla "necessità" di fermarle sullo spartito della vita. Grazie di cuore.
RispondiEliminaAdriana Pedicini