Antonio Spagnuolo |
Poesia
piena, matura, verbalmente corposa, che con i suoi versi di eufonica armonia,
ci dice delle tristezze del vivere volte
in una saudade di vicinanze fisiche e spirituali: sottrazioni di volti, di
suoni, di immagini; sottrazione di un amore di cui il poeta torna a sfiorare
“lembi del tuo riflesso”; privazione di gran parte di un esistere che mai cadrà
nell’ingordigia del tempo; nelle fauci dell’oblio, dacché esser-ci significa
restare aggrappati a quei volti, sospiri, palpiti e azioni che vedevamo eterni
e non soggetti al logorio della clessidra:
Per ricordare il tempo
dell’amore
scavo oltre il fumo ed ho
paura
di perdere anche l’incisione
della tua figura.
Stringere
i denti contro la voracità dell’ora, lottare corpo a corpo contro la meridiana,
pur coscienti della sua rapacità predatoria, significa continuare a vivere e ad
amare. Antonio Spagnuolo, da grande poeta quale è, sa far nascere soli
splendenti da stagioni ricamate di tante primavere; da momenti che, lievitati
nell’animo, si concretizzano in perle
poetiche; e lo fa senza mai cadere nel becero sentimentalismo ma equilibrando
il tutto con la plasticità della parola. Per lui la poesia è cultura, è
maturazione, è sentimento è musicalità, equilibrio, storia: quel ritmo che
basta a dare piacevolezza al canto. Il fatto che qui si contempli a tutto tondo
l’essere e il malessere della vita; che qui si traduca la gioia che fu in un
memoriale dai contorni vicissitudinali senza cadute di stile né epigonismi, è
la più chiara dimostrazione della forza intellettiva ed emotiva di un uomo che
ha fatto della sua professione di medico un occasione di contatto con
l’umanità; nel senso di humanitas; di comprensione e di abbraccio con l’anima
universale di cui facciamo parte. Cantare, quindi, ad alta voce, sì, cantare
per rafforzare la memoria; per tenere a galla, con il canto, il meglio della
vita: “La vita è un
naufragio, ma nelle scialuppe di salvataggio non dobbiamo dimenticare di
cantare” (Voltaire).
Nazario Pardini
INEDITI
- Antonio Spagnuolo -
– “Pietra”
Quasi un delirio insensato lo sfiorare
lembi del tuo riflesso, che torna
invano
per torturare il risveglio.
Mi son perso fra pietra e pietra
nell’armonia
delle tue parole sussurrate, nella
malinconia
dei frammenti. Un dubbio per le
trasparenze
dell’immenso vortice, mesto affanno
contro la pelle che credevo immortale.
Ritorna la pioggia a bagnare i capelli
ma il tormento ricompone polpastrelli.
*
-
“Inganno”
Volubili come nuvole le piume su cui riposare,
oltre gli angoli di un cielo
sconosciuto
e gli artigli che annaspano increduli.
Non ha orme la tua assenza, consumata
alle veglie,
che non riescono a ripiegare
sospensioni,
torturato al riflesso dell’erba che ti
accolse
in amplesso segreto.
Ormai misuro il passo con vertigini
perché vacillo al ricordo e non ho più
reti
da riavvolgere nelle apparizioni.
La promessa di rivederti ancora
è bugia, tremore di un inganno.
*
– “Fumo”
Andavi nelle stanze tra i riflessi del
sole
a portare le ultime magnolie
e rallegravi pareti.
Il richiamo non ha più il tuo nome
nel logorio del libro che rinnego
pagina dopo pagina, una volta nel
dubbio.
Per ricordare il tempo dell’amore
scavo oltre il fumo ed ho paura
di perdere anche l’incisione
della tua figura.
*
– “Cruna”
Ricordo
il gioco delle tue dita marmo
frugare nei segreti del mio sogno,
per ricomporre armonie e sospendere il
respiro
ogniqualvolta, spente le dolcezze,
il fantasma taceva.
Il tuo profilo ha strappi di cuoio
in attesa che si consumi la cera,
ed ogni giorno riprende antichi trucchi
per stordire l’angoscia.
Fuori qualcosa ha il timore della cruna
nelle sillabe incastonate ad un filo
che non riuscirà mai più a ricucire.
*
-
“Accenti”
Il tuo piede sfiora il tremore della
sabbia
rincorrendo lo zefiro stravagante al
brivido,
per ingannarmi nel mormorio che si
inceppa
nella traiettoria del fuoco.
Fuoco era la fretta degli spazi,
leggera
nella meravigliosa tua gioventù,
quando il tuo passo toccava il balzo
dei miei timori e mi rapiva nel bacio.
Ora si oscura ogni ricordo, i tuoi
calzari,
le tue gambe ambrate, il tuo viso
nascosto,
sciogliendo gli accenti, preziosi al
recupero
della mia follia di vecchio.
*
ANTONIO SPAGNUOLO
La poesia che mi pare concentri il dire poetico emotivo e sentimentale di A. Spagnuolo mi sembra Accenti, senza nulla togliere alle altre, il cui titolo emblematico- Pietra, Inganno, Fumo, Cruna- dicono tutto l’itinerario di disinganno e malinconica sofferenza.
RispondiEliminaPoesie d’amore: sembrano facili, consuete, alla portata dell’esperienza di ciascuno. Non è così. Occorre una perizia collaudata per sfuggire al sentimentalismo e alla tristezza che gronda lacrime, al tempo implacabile che tutto corrompe. con trucchi antichi; e affrontare a viso aperto il vuoto nell’inganno, nel crescendo di assenza, bugia, vertigine, angoscia:
“mi sono perso tra pietra e pietra nell’armonia
delle tue parole sussurrate, nella malinconia
dei frammenti..”
Gioventù e fuoco d’amore lontani, e tra i palliativi anche la consuetudine miracolosa della lettura, della scrittura, che spesso sfugge al controllo, alla piena dei sentimenti, non consola:
“nel logorio del libro che rinnego
pagina dopo pagina,…”
“Follia di vecchio” dice il poeta desolato. No struggimento e dolore irrimediabile:
“scavo oltre il fumo…ed ho paura
di perdere anche l’incisione
della tua figura.”
La poesia di Antonio Spagnuolo si configura sempre più in un assolo a rembours, una sorta di amarcord del dolore che ha l'effetto struggente e malinconico dell'assenza: una perdita in crescendo, nella quale il vuoto va stringendo un nodo scorsoio che lo soffoca. Vi è un linguismo (che oserei definire) caldo/umido nella sua sconsolata solitudine, una malinconia irrimediabile in cui trova forma e corpo una caparbia e suppletiva forma di vita parallela: il prima è divenuto il "suo" tempo cronologico, la sua ingannevole desolatio vitae: " mi sono perso tra pietra e pietra nell'armonia delle tue parole sussurrate, nella malinconia dei frammenti" e credo che non vi possano essere vuoti peggiori che ne rivelino la vertigine del declino, la sua inalienabile, implacabile sofferenza, quasi palpabile, divenuta carne e sangue del suo emozionale quotidiano accento. Innegabile e forte il dolore dell'incisione sulla carne viva. E' un fuoco che divampa, il corrompersi di una pena che scava, scava, scava senza tregua... desidero fare una precisazione ai lettori: la poesia d'amore non è un genere tra i più facili, anche se i sentimenti sono comuni a tutti, vi è nelle parole, nei sintagmi, nella commozione della perdita dell'amato bene e la differenziazione della propria sensibilità che si denudano.
RispondiEliminaNinnj Di Stefano Busà