lunedì 12 settembre 2016

N. PARDINI: LETTURA DI "TUTTE LE OPERE" DI ALMA BORGINI






Alma Borgini: tutte le opere. Edizioni Polistampa. Firenze. 2014. Pg. 448. € 28,00


Che ne sa un uomo
di ciò che nasce
di ciò che muore
nel ventre ove trova abbandono?
Che ne sa un uomo
se torci in te il dolore
offrendo in nuovo dono
passate primavere?

Vivi in te, accetta,
fai spazio al tuo sorriso,
-sola -
le rughe del tuo viso (Sola, pg. 120).


Poesia di una vita, una vita in poesia. Un tomo che ci riporta a memoria i bei libri che un tempo venivano prodotti da case editrici importanti e che continuiamo a tenere ben esposti in biblioteca per la loro preziosa veste grafica, dacché la bellezza di un testo, la copertina, la quarta, l’insieme editoriale insomma, sono determinanti per invogliarci a prendere contatto con le confessioni poeticamente umane di un’Autrice: sfogliarne le pagine in qua e in là, trovare forse qualche vicinanza col nostro mondo interiore, soddisfare curiosità, capirne i primi nessi, la filosofia, sono i primi input che ci avvicinano alla scrittura.  Libro corposo quindi di ben 448 pagine dal titolo: Alma Borgini: tutte le mie opere a cura di Franco Manescalchi; seguono le varie sezioni in cui il testo è suddiviso: Poesie – 1993¸Cristalli di memoria – 1994; Una notte e lo specchio – 1999 (in V parti); Soffiare sulle acque – 2005; Ballata corretta – 2009;  La rete di Indra – 2011 (Del paesaggio, Donna, Dalle montagne al sé, Meditazione, Case, E’ lì, Unione); (Un inedito); Letture e lettere di alcuni amici. Una raccolta imponente, di generosa e fattiva valenza, su cui lavorare a livello filologico per tirane fuori momenti, travagli, impatti, diacroniche evoluzioni di un racconto che la Poetessa ha vissuto in prima persona relazionandosi con gli entourages o scavando nel profondo del suo essere donna ed essere mortale, soggetta alle mutazioni esiziali della sorte:

Ora non sento più gli odori
né quei sapori densi.
Ora sento sola la sensazione
sottile – anestetica – della chemio.
Ma forse tu li senti ancora
mescolati all’odore aspro
della terra fatta tua carne… (pag. 335).

 Mi piace iniziare il mio scritto dalla riportata prodromica citazione testuale che credo emblematica per chiarire alcuni punti focali della poetica di Alma: nascita, morte, vita, memoria, tempo, accettazione, solitudine, passate primavere, amore, fugacità del presente, incertezze, abbandono.
Scriveva Erich Fromm: “I sogni sono come un microscopio col quale osserviamo le vicende nascoste della nostra anima”. E la poetessa: “Cenere di luce rosa/ si disfa su due linee/ nere di case./ Un chiarore perlaceo accoglie la notte/ e rimango a fissare/ un’unica luce palpitare/ dal buio, là fuori, libera/ addensando in sé sogni prigionieri…” (Sogni prigionieri, pg. 105). Un filo di luce come fuga verso mete liberatorie; verso aspirazioni di libertà, sogni in cui allontanarci dalle sottrazioni del nostro esistere, o avvicinarci a rivoli di stagioni perdute. D’altronde i sogni fanno parte della vita, come ne fa parte la morte. Ed è  proprio con quelli che costruiamo alcove d’incontri, di voci, di amori sfumati, volti, a consolare i silenzi.  
 Virgilio, nelle Georgiche, IV, 226-7, afferma:  “Nec morti esse locum, sed viva volare sideris in numerum atque alto succedere caelo” (“Per la morte non c’è spazio, ma le vite volano e si aggiungono alle stelle nell’alto cielo”).
Sì, c’è in ognuno di noi il tentativo di eludere la morsa del tempo; di cercare spazi che azzardino lo sguardo oltre  il breve soggiorno della terrenità, dacché in noi vive la scintilla dell’oltre, del sempre; il desiderio di vincere i nostri limiti:  una vela che gonfia di vento ci porti verso felicità di terra-mare-cielo; verso azzurri incontaminati dal male di esistere “… Forse felicità sarebbe/ la mente immota nella spuma incontro/ terra-mare-cielo/ nuda aderendo al fondo della barca/ col vento nella vela” (Forse felicità, pg. 101). Ma è la coscienza della nostra miopia; del nostro essere terreni che ci riporta a terra a soffrire della nostra insufficienza; d’altronde l’uomo si è sempre sentito a disagio di fronte all’idea di Thanatos, e dell’eterno:  De Chirico “… Il mistero del sonno e della morte è l’unico tema della grande arte...”. Il mistero della poesia che ci accoglie e ci tramuta, che ci incontra quando meno ce lo aspettiamo. Ed è nella sua voce che ritroviamo noi stessi, o quella parte di noi che è rimasta inespressa; il mistero della vita che gioca con noi ora illudendoci, ora dandoci speranze, ed ora deludendoci. Forse è col memoriale che ripeschiamo quella parte del vissuto che è degna di esistere. Forse è nel memoriale che ritroviamo una verità frutto di una realtà sedimentata da tempo. Mi diceva il mio vecchio professore che l’unico verso di vincere la morte è quello di prolungare la vita con le memorie. Ma la vita è fatta di rinunce, di lontananze, di amori incompiuti: … Ma non è qui il tuo respiro/ né il flessibile giunco del tuo braccio/ mi sostiene sull’onda/ di questo fiume solitario/ in cui sprofondo/ avvinta a me stessa (Se tu fossi qui, pg. 119).
Un viaggio nel nulla, un nostos carico di dubbi e di incertezze; chi lo raffigura in una barca, chi in un fiume, chi in un autunno decadente e arrugginito, chi in un fondo di burrone senza fine; e la voce del viaggio misterioso e incognito è viva in questa storia: “Questo viaggio che mi coglierà/ acquattata/ quando cadrà in me/ il buio/ della anestesia/ e insinuante si diffonderà la flebo nelle vene -/ questo viaggio nel nulla/ da cui tante volte mi sono risvegliata/ al lancinante amore della vita -/ come nel mio ma senza primavere…” (Pg. 254).
Blaise Pascal scrive nei Pensées: “Tra noi e l'inferno o il cielo c'è di mezzo soltanto la vita, che è la cosa più fragile del mondo”. Sono proprio questi gli input emotivi che condiscono le meditazioni di un’artista a tutto tondo; che trovano in una versificazione ora essenziale, contrattiva; ora estensiva, narrativa, la trama di una storia. Ed è la compattezza fra dire e sentire che salta agli occhi; che convince per sincronia e sinestetici giochi di plurale entità, involucri di un’anima tutta volta a dire di sé, del suo vissuto,  in un raffronto tra precarietà e senso d’eternità da cui l’uomo è oppresso cosciente della sua impotenza di fronte al tutto. Ma sempre si parte da dati di fatto, da concreti accadimenti, approdando ad un realismo lirico di euritmica musicalità. E anche se spesso una sotterranea malinconia pervade lo scorrere del testo; anche se una visione dell’esistere tocca punte di amara vicissitudine; al fin fine è l’amore per la vita; l’attaccamento al sacrosanto suo patrimonio; la coscienza del fatto di esistere hic et nunc che dominano; un amore che fa da filo conduttore, da intima intrusione  nell’intera  opera:

Questa volta voglio sia il sogno
di tutti i miei viaggi.
I frammenti vissuti solo
                               dai miei occhi
nel mio viaggio strano in piaga ignota
                                               li aliterò
non anestetico ma vita
che arriverà nella memoria antica


musica che si estingue – onda sommessa – sussurro di vento (pag. 234).             

Nazario Pardini

Nessun commento:

Posta un commento