L’OSTERIA DI ORIANO
Nel ricordo di Paolo Bassani
Paolo Bassani, colboratore di Lèucade |
“Nell’ombra della sera/ spio la via deserta/ nella ricerca
vana;/ soltanto i muri rugosi/ delle vecchie case infila/ serbano qualche
segno…” Così scrivevo anni fa al mio ritorno - dopo tanti anni - alla Chiappa.
E oggi che ho occasione di ripassare, mi accorgo che anche parecchi di quei
segni sono scomparsi. Ho guardato attentamente i volti incontrati lungo l via,
ma non ho riconosciuto nessuno. Mi sono fermato “sul ponte” vicino alla porta
di quella che un tempo fu l’osteria di Oriano. Ma mi pare alquanto riduttivo
chiamarla così. Era qualcosa di più
d’un’osteria con cucina: era quello che oggi si chiamerebbe “centro sociale”:
non soltanto mazzi di carte, biliardo, ma saletta televisiva e grande loggia ombreggiata
da un fitto pergolato, luogo in cui noi ragazzi ci ritrovavamo a vedere meravigliati
i primi calcio-balilla o i flippers, ma ad ascoltare anche dal vivo un ante litteram “Processo del lunedì”; anche se
allora, invero, le più accese discussioni avevano per tema il “Giro”, con Bartali
e Coppi indiscussi protagonisti. Per i più piccoli - con l’avvento della televisione
- lo spettacolo pomeridiano era diventato quasi un appuntamento obbligato e
già, prima che cominciassero i programmi, la saletta televisiva era completamente
occupata dai giovanissimi telespettatori. Oriano assumeva, suo malgrado, la
figura della “maschera” e dell’operatore che - non di rado - doveva intervenire
per mettere a punto video ed audio, in quel grosso televisore sistemato su un
alto carrello come un lampadario. Mi ricordo la sua pazienza nel girare e
rigirare le manopole, per fermare l’immagine o per ritrovare la voce. Ma il
momento più importante era quello serale. Con l’avvento di “Lascia o raddoppia?”
e di altri fortunati programmi televisivi come “Il Musichiere” o “Campanile
sera”. La vecchia osteria con cucina dei fratelli Danovaro diventava -grazie
anche alla spaziosa loggia - un ambito scenario di incontro, quasi un
invidiabile cinema-giardino ove si ritrovava quasi tutta la gente della zona.
Allora il televisore era un sogno ancora troppo lontano per tante famiglie. Ma,
fortunatamente, c’era Oriano. Determinati giorni della settimana erano attesi
come una festa e, già alcune ore prima della trasmissione, c’era la corsa ad
occupare il posto, così come si prenota una poltrona per un importante
spettacolo teatrale. La televisione nascente coinvolgeva in modo straordinario
lo spettatore; quella televisione che avrebbe fatto cambiare nel tempo
abitudini e comportamenti (non sempre positivi). Ma allora, stranamente, era
proprio la televisione che favoriva il rapporto sociale. Ritrovarsi a guardare
e commentare insieme le magiche immagini del piccolo schermo era come scoprire
il piacere di stare insieme.
Oggi mi sono
fermato ancora davanti alla porta chiusa dell’osteria di Oriano. Ho ricercato
con nostalgia le voci d’un tempo. Per un attimo ho creduto di vedere sulla
soglia la grossa stecca di ghiaccio e di udire il tintinnante agitarsi della
tenda fatta con i tappi di birra.
Questa rappresentazione/rievocazione che ci fa Bassani, e che ci riporta ai secondi anni Cinquanta e a quelli immediatamente successivi, dice una condizione più o meno comune a tanti piccoli agglomerati umani (paesini, villaggi, ecc.) dove un piccolo bar o un'osteria o una sala parrocchiale fungevano, allora, da catalizzatori sociali; dove un televisore -fiore all'occhiello del locale che lo ospitava- era ancora visto come una specie di scatola magica da un'umanità varia, piccola, semplice, laboriosa, sicuramente più aperta allo scambio affettivo, e forse anche alla conoscenza e all’apprendimento, di quella di oggi; e in attesa dello svago serale, che fosse "Campanile sera", "Lascia o raddoppia", "Il musichiere", "Non è mai troppo tardi" oppure il neonato Festival di Sanremo.
RispondiEliminaUn tuffo nel passato, a patto che chi legge abbia l’età “giusta”. Ne è sollecitata la memoria ( e Paolo Bassani se ne fa buon testimone), con un pizzico di immancabile rimpianto per una realtà umana deterioratasi nel corso del tempo.
Pasquale Balestriere