La falsa oggettività veicolo dell’ideologia conservatrice di Verga
Un pregevole
saggio di Antonio Catalfamo esamina le opere dello Scrittore
catanese e le più penetranti analisi degli studiosi del Novecento, postulando
la necessità di una critica integrale
Nel
centesimo anniversario della morte di Verga, con grande chiarezza espositiva Antonio
Catalfamo ripercorre le principali
tappe della critica all’opera e all’ideologia dello Scrittore siciliano, esaminando
i saggi e gli indirizzi critici più significativi del Novecento, collegati ai
vari mutamenti culturali del Secolo scorso. Il saggio è diviso in tre parti.
Nella
prima, Gli orientamenti della critica:
continuità e innovazioni, Catalfamo conduce un’analisi approfondita
dell’interpretazione di Croce, dei suoi allievi e soprattutto dei saggi degli
studiosi di orientamento marxista: Petronio, Trombatore, Sapegno, Carlo
Salinari, Luperini e Vitilio Masiello, sulla cui opera si sofferma in maniera
particolare. Fa anche notare il ruolo centrale di Luigi Russo, che, partito
crociano, rivaluta l’opera di Verga e indirizza diversamente la ricerca. A
Masiello si deve la messa in rilievo della posizione conservatrice di Verga,
che illustra una Sicilia fuori dal tempo, non tenendo conto della rivolta dei Fasci. Di tale posizione, ne I Malavoglia,
è incarnazione Padron ‘Ntoni, a cui si oppone il nipote ‘Ntoni, destinato a
fallire, perché si ribella alla rassegnata filosofia
del nonno. In tale ottica, la poetica
dell’impersonalità serve a celare il conservatorismo di Verga e Capuana,
che parlano di una Sicilia immobile, tralasciando la scossa data dai movimenti
di massa dal 1848 in poi. Basato sullo scontro fra l’aristocrazia in decadenza
irreversibile e la borghesia in ascesa, ma ugualmente priva di moralità, Mastro don Gesualdo evidenzia
l’inasprimento del pessimismo verghiano, che giunge alla negazione di ogni
valore. Con la stagione verista si esaurisce anche la vena artistica di Verga.
Subentra il Decadentismo, che pone al
centro dell’opera letteraria l’uomo scisso,
mentre il dannunzianesimo continua, con spirito reazionario, l’ideale del verismo
di Verga, il quale rappresenta la cartina di tornasole dell’ideologia della borghesia
siciliana, dal mito del mondo provinciale al pessimismo totale, nato dopo la
presa di coscienza dei lavoratori.
Dagli Anni Sessanta, ricorda Catalfamo,
la
critica stilistica, che ha eluso il
problema dell’ideologia verghiana, la quale si riflette nello stile, e poi lo Strutturalismo hanno isolato il testo dai contesti. In Debenedetti, invece, l’interpretazione psicanalitica ha
tenuto conto della dimensione storica. Proprio la posizione conservatrice,
infatti, induce Verga a scegliere la figura del contadino sottomesso e
rassegnato e a infangare tutte le classi con un pessimismo assoluto.
All’inizio
della seconda parte, Premesse e necessità
di una svolta critica, lo Studioso focalizza l’attenzione sul concetto di storicismo relativo introdotto da
Petronio. A Milano Verga rivive la Sicilia attraverso la memoria,
contrapponendone i valori morali a
quelli immorali delle metropoli industrializzate
del Nord. Si accorge, però, che anche ad Aci Trezza ci sono i vinti, i quali rappresentano la
prospettiva capovolta da cui Verga
guarda alla tesi naturalista del progresso.
Nei Malavoglia ogni trasgressione
alla morale dell’ostrica è punita
duramente. Le oscillazioni di Verga fra oppressori
e oppressi sono confermate dalla
novella La libertà. Esaminando il Mastro don Gesualdo, Petronio dà inizio
alla terza fase della critica sullo Scrittore
catanese, perché parla delle “salutari
contraddizioni” dell’uomo Verga, che gli hanno permesso di scrivere dei
capolavori. Gli studi di Sapegno e Masiello precisano la “dimensione storica” di Verga, gentiluomo di campagna, che immette
nella propria opera un pessimismo di
destra. Tale posizione è rinvenuta da Guido Baldi nella Prefazione al Ciclo dei vinti, da cui emerge anche la delusione per il fallimento
degli ideali risorgimentali, oltre alla crisi del ruolo intellettuale,
ugualmente visibile nella Prefazione a
Eva e nella lettera a Capuana del
1873. Ponendone in rilievo le contraddizioni, lo Studioso sostiene che l’ideologia
di destra di Verga va collegata a una concezione “scientifica e conoscitiva”, che produce un “pessimismo deterministico e fatalistico”, prodotto da fattori
individuali e collettivi, che gli permettono un’analisi distaccata e lucida. Il
pessimismo verghiano esclude l’uso di un narratore onnisciente a favore dell’impersonalità e dell’artificio della regressione nei Malavoglia, in cui c’è un rapporto dialettico
fra la visione dei Toscano e quella dei compaesani, mentre nel Mastro don Gesualdo il punto di vista
del Protagonista coincide con quello di Verga.
Catalfamo
ritiene “ingegnosa”, ma anche “artificiosa e contraddittoria” la critica
di Baldi, che, sulla scia di Spitzer, intende distinguere Verga da un narratore
esterno. In merito a questo aspetto, però, fanno chiarezza prima Luperini, per
il quale nello scontro fra conservazione e progresso, fra i Malavoglia e i
compaesani, prevalgono infine questi ultimi, facendo sembrare strana la visione di vita dei Toscano,
portatori dei valori di Verga, e poi Masiello, il quale dimostra che le varie
teorie sul narratore interno vogliono
eludere il discorso sulla posizione politica di Verga, base della sua narrativa
che, attraverso la “regia” e
l’organizzazione del testo, dà vita a una forma
che è insieme estetica e morale, frutto della sua ideologia. Masiello non condivide
l’interpretazione di Baldi sul mancato stacco fra i due romanzi, espressione
del pessimismo e del “materialismo
scientifico” verghiano, ribadendo la centralità de I Malavoglia, concretizzazione del mondo popolare immaginato dallo
Scrittore catanese, la cui grandezza di narratore è nella dimensione tragica,
d’impronta nicciana. Dal romanzo emerge, infatti, l’ideologia di un “«anticapitalismo romantico» che contrappone
alla logica del profitto, alla corruzione economica e morale, che dominano la «civiltà
urbana e industriale»” a cui sono contrapposti i valori di cui sono
portatori i Malavoglia, destinati
alla sconfitta, la quale però dà loro una dimensione tragica, che conferisce
una grandezza alla narrazione sul piano artistico, facendo apparire Verga come
un Angelus novus.
Nell’ultima parte del saggio, Elementi per una nuova critica «integrale»,
Catalfamo mostra come l’opera di Verga sia stata adattata unilateralmente ai
tempi in cui operavano i critici, dei quali aggiorna gli interventi fino agli Anni Ottanta-Novanta, per concludere che
non si può semplificare sulla figura
dello Scrittore catanese, la quale risulta arricchita dai vari contributi degli
studiosi.
Bisogna
perseguire, secondo Catalfamo, la definizione di una visione critica d’insieme,
integrale, inerente l’analisi interna ed esterna del testo e i relativi contenuti ideologici. In tale ottica conduce un’attenta analisi delle successive
tappe delle opere verghiane, nelle quali fa rilevare la conoscenza, da parte
dell’Autore, delle tradizioni popolari siciliane, ricavate dai maggiori
studiosi, come Salomone Marino. Funzionale alla sua ideologia, la
rappresentazione che Verga dà del popolo non è oggettiva e l’impersonalità
serve a mascherare la sua visione, tipica della classe agraria, che emerge
chiaramente in Mastro don Gesualdo,
in cui la sfiducia è totale e smaschera la falsa oggettività.
Lo
sbocco finale del suo pessimismo di destra, sottolinea Catalfamo, si ritrova in
Dal tuo al mio, pubblicato come
romanzo nel 1906, che conferma il sia il falso realismo che la posizione politica di Verga, che si riconosce
nell’azione antilibertaria di Crispi, nel nazionalismo e nell’interventismo del
1914, prefigurazione dell’imminente presa del potere del fascismo.
Il saggio Verga verista è
ricchissimo di spunti critici e metodologici, in quanto Catalfamo conduce
un’illuminante lavoro testuale e intertestuale, segnando un punto fermo per
ulteriori approfondimenti, togliendo la maschera allo Scrittore siciliano, di
cui mai disconosce la grandezza di narratore, per cui si può concludere
parafrasando la famosa interpretazione di De Sanctis su Leopardi: più l’Autore
de I Malavoglia e di Mastro don Gesualdo difende le ragioni dei
ricchi possidenti, più stimola il desiderio, da parte di un lettore avvertito, di
una realtà priva di ingiustizie e di discriminazioni sociali.
Angelo Piemontese
Antonio
Catalfamo Verga verista. Ideologia e forme narrative, Solfanelli, 2022
Nessun commento:
Posta un commento