SUL POSTMDERNO
Occorre valutare
attentamente la polemica nichilistica nei confronti del mito. Cos'altro è,
infatti, il Superuomo, se non un mito? Il nemico da abbattere, per il
nichilismo, non è mai stato la mitopoiesi, ovvero la creazione di miti, la rivelazione
di sensi inediti e segreti della vita, bensì la mitologia stanca e ripetitiva.
La storia umana è stata sempre segnata dall'alternanza tra mitopoiesi e
mitologia, tra nascita e decadenza del mito. All'inizio di ogni processo
culturale troviamo sempre e comunque un mito. E' esso ad accendere la storia e
al di fuori di esso la realtà non nasce, non si produce neppure. Ne segue che
la storia non è altro che la storia del mito; e che la stessa fine del mito
appartiene alla storia altalenante e ciclica del mito.
Ben venga pertanto
una poetica che prenda atto di tale esaurimento e che non abbia paura di ammetterlo,
accettando il dolore della palude. In fondo, soffrire per gli dèi mancanti è il
solo modo che abbiamo per evocarli ancora, per richiamarli in vita. E poco
importa se a rinascere saranno gli stessi dèi, o altri di cui non si supponeva
esistenza. Quel che conta è che sappiano ispirare un nuovo ciclo di passioni
vitali, di avventure culturali e di energia creativa. Se il Postmoderno riesce
a far questo, sia il benvenuto. Non certo se il suo intento, anziché di
attraversare lo stagno, sia quello di restarvi affogato.
E' sempre esistita
una poetica della realtà, ma mai tale poetica ha pensato di potersi dissociare
dal mito. E' stato così per il Neorealismo, così per il Verismo... così per
Omero, per Dante, per Leopardi e Pasolini. Esaurito il furore avanguardistico
(che di miti ne ha coltivati tantissimi, a partire da quello della macchina,
della velocità e dell'azione) le poetiche postmoderne hanno forse deciso di
gettare la spugna rinunciando definitivamente al mito? Se è così, bisogna
correggerne il tiro, richiamando immediatamente in causa - da postmoderni quali
indubbiamente siamo - la vitalità perenne degli archetipi, o dei principi
universali, sempre pronti ad ispirare rinnovamenti e rigenerazioni di energia.
E' questo il solo
modo che abbiamo per superare il narcisismo dell'Ego. Non è sufficiente
sostituire l'Io con il Noi per uscir fuori dalla sfera soggettiva (e perché no,
allora, con il Voi? o con il Loro addirittura?). La dimensione sociale e
culturale è pur sempre una realtà soggettiva, ed è un escamotage
risibile sostituire il soggettivo con l'intersoggettivo, magari presentandolo erroneamente
come realtà oggettiva (la quale, d'altro canto, assume valore soltanto come
esperienza soggettiva). Per cui superare il soggettivismo è possibile in un
modo soltanto: approdando ai principi universali, a quegli archetipi che stanno
fuori dal tempo e che proprio per questo sono perennemente presenti nel tempo,
senza lasciarsene imbrigliare.
Tornare alle
origini, dunque, non in senso nostalgico o passatista, e pertanto originario, ma nel senso originante del termine, ovvero
innovativo e finanche rivoluzionario. Altro che memoria antiquaria! Questa, al
contrario, è appannaggio di certo citazionismo postmodernista (si pensi alla
Transavanguardia) che, privo di idee nuove, non fa che girare a vuoto,
navigando nel mare del noto e dell'acquisito. La cultura postmoderna, così come
si viene configurando, è profondamente conservatrice, proprio in quanto vive
esclusivamente di mitologie, di ricordi antiquari e funerei: un teatro del
nulla, radicato nel vuoto molto più di quello dechirichiano, e programmaticamente
privo di spinte innovative.
Da qui l'elogio dell'anacronismo
come colto, ma bolso e funereo ricordo di stagioni passate, mentre c'è un uso possibile
di forme e stilemi propri del passato, che è attualissimo e non anacronistico, mitopoietico e non mitologico; innovatore e non conservatore. Questo perché non basta
modificare la forma per essere certi di fare proposte innovative. Si può essere
nuovi e freschi nella sostanza, pur scrivendo alla maniera antica. E viceversa,
naturalmente. Sono questioni di lana caprina.
Franco
Campegiani
Aggiungere dell'altro a questa disamina sul Postmoderno, ritengo davvero sia impossibile. E' stato detto tutto e inequivocabilmente.
RispondiEliminaL'importanza del mito (non della mitologia), la sua sempre nuova realtà, rappresenta il vero superamento tanto del soggettivismo egocentrico quanto del nichilismo oggettivo e materialistico. Ma non aggiungo di più; voglio soltanto riportare questo passo, che vale più di mille spiegazioni:
"Ne segue che la storia non è altro che la storia del mito; e che la stessa fine del mito appartiene alla storia altalenante e ciclica del mito.
Ben venga pertanto una poetica che prenda atto di tale esaurimento e che non abbia paura di ammetterlo, accettando il dolore della palude. In fondo, soffrire per gli dèi mancanti è il solo modo che abbiamo per evocarli ancora, per richiamarli in vita. E poco importa se a rinascere saranno gli stessi dèi, o altri di cui non si supponeva esistenza. Quel che conta è che sappiano ispirare un nuovo ciclo di passioni vitali, di avventure culturali e di energia creativa. Se il Postmoderno riesce a far questo, sia il benvenuto. Non certo se il suo intento, anziché di attraversare lo stagno, sia quello di restarvi affogato.".
Sandro Angelucci