Marcel Proust
e la sua Recherche del tempo perduto:
A’ l’ombre des jeunes filles en fleurs
Diciamo subito, che nei
primi decenni del Novecento la Francia continua ad avere grande seguito in
quel ruolo di guida culturale dell’Europa, che ha già impersonato negli ultimi
decenni del secolo precedente. L’autore che ha avuto un ruolo preminente per lo
sviluppo delle letterature europeiste, per la validità significante dei suoi
risultati, per l’influenza, infine, che avrebbe rappresentato per tutta la
narrativa europea è Marcel Proust. Nato a Parigi nel 1871 da famiglia agiata,
ma non ricchissima borghesia. Dopo un’infanzia tormentata da un’asma che lo
avrebbe condannato per l’intera esistenza, segue assai irregolarmente gli
studi. Più tardi nel 1880 inizia a frequentare i salotti mondani, ricercato per
le sue qualità di fine parlatore, i suoi vezzi da dandy, coi
quali contribuisce a creare una certa raffinatezza e attrattiva nei luoghi di
frequentazione. Alla morte della madre alla quale era legatissimo, Proust
inizia il grande ciclo narrativo: Alla ricerca del tempo perduto a
cui è legata la sua fama. L’opera è composta da tre parti. La prima
parte, rifiutata da Andre Gide, viene respinta dall’editore Gallimard, poi
stampata in proprio dall’autore stesso, nel 1913. La seconda: All’ombra
delle fanciulle in fiore, presa in esame in questa introduzione, ottiene il
premio Goncourt nel 1919. Successivamente le altre parti
vengono pubblicate dopo la sua morte, avvenuta nel 1922. Tutta l’opera
comprendente più di tremila pp, si articola in sette parti e si conclude con
una illuminazione che è anche una dichiarazione di poetica: fissare con
la creazione artistica i momenti del passato equivale a recuperare il tempo
perduto (Il tempo ritrovato). Pur trattandosi di un’opera estremamente
originale, la critica ha indicato per la Recherche alcuni
fondamenti culturali della tradizione francese. Per primo l’entroterra
culturale, con una produzione memorialistica e diaristica di tanti autori tra
il Seicento e il Settecento che hanno descritto il loro ambiente dal di dentro,
con dovizia e ricchezza di dettagli. Proust infatti si mostra molto attento ai
costumi del tempo che ne determinano il sapore, il clima, il soggettivismo, le
ambientazioni del mondo reale e sociale. La sua attività di
scrittore e frequentatore dei salotti-bene di Parigi si snoda nel periodo
compreso tra la repressione della Comune di Parigi e gli anni
immediatamente successivi alla prima guerra mondiale; egli seppe cogliere
in pieno, dunque, la trasformazione della società francese del suo tempo, con
la crisi dell'aristocrazia e l'ascesa della borghesia durante
la Terza Repubblica francese. Proust ci dà
un'approfondita rappresentazione del mondo di allora e della modificazione
sociale del periodo storico cui appartengono le sue opere. L'importanza di
questo scrittore è tuttavia legata alla capacità espressiva della sua scrittura
che si autodetermina e si sviluppa nella sua potenza narrativo-introspettiva,
nelle minuziose descrizioni dei processi interiori, attraverso i filamenti
sottili di una psiche legata al ricordo e ai sentimenti; la Recherche infatti
è un viaggio nel tempo e nella memoria che si snoda tra vizi e virtù,
tra realtà e fantasia, tra aristocratiche dissolutezze e simbolismi
filosoficamente compiaciuti di un più “nuovo” sentire. L’indagine analitica sui
suoi scritti ci mostra la sua abilità psicologica di meticoloso e vigile
indagatore dell’animo umano. Più precisamente, Proust prende in rassegna i
sentimenti, le suggestioni, le emozioni attraverso la lente dei moralisti del
Seicento francese, fino a giungere al romanzo psicologico di fine Ottocento. Inoltre
nella sua scrittura si riscontra la filosofia di Bergson, con la teorizzazione
del tempo interiore, del “tempus”-rivisitatio- visto e indagato nella sua
essenza (o veste) di Comedia umana, come durata temporale, e infine, tutte le
conquiste della poesia francese di fine ottocento, che avevano portato alla
valorizzazione delle “corrispondenze” come egli le definisce, ovvero,
dei reconditi rapporti tra gli stati d’animo e la natura, tra l’evocativa,
analogica assemblee emotivo/psicologica e le connotazioni naturali
del genere umano, che si differenziano in ognuno. Già Bergson aveva parlato
di coscienza interiore, cioé di una coesistenza tra il passato e il
presente proprio in riferimento alla caratterizzazione dell’essere. Proust
ritiene vi siano due stadi, due gradi di recupero possibile della coscienza e
ne distingue soprattutto due: memoria volontaria e memoria
spontanea.
La prima richiama tutti i
dati del passato, pur se in termini logici, senza restituirci sensazioni,
suggestioni, sentimenti che in una determinata circostanza vi appaiono
irripetibili; la memoria spontanea (o sensoriale), riferita
soltanto a un amarcord dei sensi, si caratterizza come un revival
della felicità protetta nell’intimo della psiche: un profumo, un sapore, una
musica, un suono, una nota, un tramonto che riportino l’occasionale analogico,
ovvero la “casuale” sensazione di un momento cronologico, la qual cosa, sì, ci
rituffa nel passato, ma senza riferimento logico: una sorta di <sentire>
a distanza ravvicinata, (a pelle), un tentativo di far rivivere impressioni e
atmosfere di un tempo andato, di un ricordo sopito o accantonato, (non del
tutto rimosso).
È questa la famosa teoria
dell’intermittenza del cuore per il recupero memoriale
dei sensi, una vera e propria (re)incarnazione della propria identità
passata, che diventa sollecitazione dei sensoriale somatico della
psiche richiamando in superficie l’invito a ritornare al passato,
(apparentemente)tempo perduto, (mai rimosso), che si presenta come un
reverie un de ja vu momentaneo, che non ha nulla della cancellazione definitiva
di memoria, perché permane dentro di noi, persiste nell’inconscio e,
all’occorrenza, riaffiora in superficie, riappropriandosi delle sensazioni
provate o delle suggestioni mai dismesse. Proust con le sue opere riprende in
mano lo studio della psicologia e la fa rivivere nei suoi romanzi come la trama
e l’ordito, che determinarono la vena letteraria del suo repertorio, ma
successivamente ne caratterizzarono l’impianto logico, dopo di lui. Si
tratta dunque di un recupero memoriale che interpreta la creazione artistica,
come coscienza di sé, trattasi di una forma perfettibile (se
non perfetta) di realtà che orienta a quel paradiso (perduto), cui fa
riferimento il narratore. Critici che dedicarono
molta attenzione a Proust sono stati i nostri: Giacomo De Benedetti, Giovanni
Macchia, Pietro Citati, Giovanni Raboni, Franco Fortini. Quest’ultimo che fu
uno dei critici più accreditati agli studi di Proust ritenne che egli
proseguisse in un discorso tutt’altro che lineare, senza ordine cronologico
normale, né logico, tra passato e presente, in un andirivieni movimentato, a
rembour, e con una narrazione che non segue il ritmo usuale, perché questi
passaggi o transizioni creano vere sospensioni, ritardi, intervalli, effetti
d’eco e variano continuamente, senza assumere precise connotazioni, cronologie
e forzature, tra i rapporti umani e gli eventi. Anche se questo suo stile
basato sull’altalenante impiego del tempo/spazio, è spesso rivolto al caos di
successioni mnemoniche o sensazioni improvvise, si delinea lucido e acuto,
votato tuttavia ad evocare un “sentire”, che obbedisce al sapiente
gioco delle “rispondenze”, quasi ad un reciproco integrarsi tra un
evento e l’altro, tra un velocissimo sguardo e la parola.
In tutta la Recherche s’incrociano
vari piani psicologici. In Proust l’interesse si sposta dal personaggio alla
dinamica del gioco, dalla coscienza alla psicologia strategica di un processo
retrospettivo memoriale quasi yunghiano, su cui si porranno altri analisti del
pensiero: Joyce soprattutto e tanta parte della narrativa del Novecento, che si
concluderà col famoso flusso di coscienza. Proust ha ricreato il
mondo del romanzo dal lato della relatività immaginifica, dando per la prima
volta una matrice connotativa alla letteratura di fine secolo; un equivalente
teorico della fisica moderna (E. Wilson). In realtà la Recherche è
un’opera assai complessa, una straordinaria e suggestiva discesa agli inferi
della coscienza dell’essere, che nel riappropriarsi del meccanismo che
introduce ai meandri della complessa macchina umana, ne fa una ricognizione
dettagliata, una rivelazione in progress, ricreando il romanzo alla
maniera di cui, infine, disporrà l’arte narrativa dell’intero Novecento. Da più parti ci si è
chiesto da dove è venuto questo fortunato titolo, molto azzeccato in verità,
perchè è divenuto quasi una locuzione proverbiale della sua scrittura. Pare gli
sia stato suggerito dall’amico Marcel Plantevignes.
Nella simbologia
proustiana, le “fanciulle”costituiscono un perfetto ed esemplare
connubio, tra il mondo turbativo degli elementi esterni e “la felicità sconosciuta
e pur possibile nella vita”, attraverso di esse si dipana e acquista splendore
e turgore quel mondo esemplarmente sognato, facendo scatenare tutto il
virtuosismo dialettico e linguistico proustiano: certi luoghi, certi soggetti,
certi paesaggi che sono la caratterizzazione delle Fanciulle fanno
emergere nel lettore tutta la stupefazione per la Bellezza della
natura. Esse vengono designate di
volta in volta come “uno stormo di gabbiani”, “una luminosa cometa”, “una
bianca e vaga costellazione”, “un’indistinta e vaga nebulosa”,”una rosea
infiorescenza” etc, insistendo sui dettagli, sulle sottili interconnessioni,
sui dialoghi, sulle presenze fascinose e sublimi di Albertine, Andrée, Gisele e
Rosemonde. Balbec è il luogo-simbolo,
il teatro (per così dire) delle scene che i protagonisti della storia si
apprestano ad impersonare, ciascuno per proprio conto, attraverso le tendenze,
le stravaganze, i vizi e i difetti delle variegate figure. Lo stesso scenario
“marino” ambienta una rappresentazione di quello che, secondo la tendenza
artistica del secolo, costituisce la pittura impressionista.
Credo che queste siano
alcune osservazioni che vanno proposte per l’approccio alla lettura de laRecherche. Proust ha (ri)creato
il mondo del romanzo dal lato della –temporalità relativa - , con una
ricognizione libertaria e caotica del genere umano e dei suoi meccanismi di
difesa (della psiche), entrando nei labirinti dell’animo come
nessun’altro narratore, con le proprie frustrazioni, le proprie insicurezze,
gli indugi, le complesse manifestazioni edonistiche dell’uomo, le parvenze rarefatte e
sottili della coscienza, soprattutto rivolte alla fisionomia dei personaggi, al
loro labirintismo, la qual cosa li porta ad affinare immagini, a evidenziare e
metabolizzare circostanze, episodi e avventure, tali da rievocare e portare
alla luce ambienti, persone, stati d’animo, profumi, odori e sapori
dell’infanzia: un tempo perduto viene così ritrovato; il
resto: l’esteriorità minutamente descritta nei dettagli fornisce agganci per
comprendere il difficile meccanismo che entra in gioco nella coscienza
dell’essere, quando viene fagocitata dall’esterno. Vi sono pagine mirabili e
fondamentali nell’opera di Proust, in cui egli indaga con stile raffinato e
insieme con la precisione di un bisturi la capacità di esprimere le più
impalpabili, minute e segrete sfumature del genere umano.
Il suggestivo: All’ombra
delle fanciulle in fiore è il terzo titolo della raccolta (1919) e ne
rappresenta la tappa essenziale, una sorta di riferimento fondamentale di tutta
l’opera. In questo volume sono tanti i risvolti psicologici, gli orli, i nodi,
le pieghe, le dritte e i rovesci, gl’incantamenti che vi si riscontrano. Ogni
avvenimento è scandito secondo le luci, le ombre, i chiaroscuri, i colori, i
ritmi delle ore, una sorta di reverie che sa scatenare, alla
luce di una lettura accurata e attenta, tutti i sommovimenti della sapienziale
e filosofica struttura linguistica. In tutta l’opera lo scrittore ci dà mostra
di sé, del suo approcciarsi ormai ai livelli di scrittura degli autori
considerevoli e professionalmente più preparati, un mondo fin lì sognato,
(poterli eguagliare!), quasi desiderio inaccessibile, per l’incrociarsi di
eventi e accadimenti che segnano la scrittura dei grandi narratori e ne marcano
profondamente la vena. L’entroterra culturale dell’autore si rivelò in grado di
sfondare la cortina di nebbia, tale da segnare la sua identità artistica di
narratore come pochi altri. Nessun’altro infatti aveva mai scritto in prima
persona quanto Proust. La sua vena risulta assolutamente sterminata nei
dettagli, nelle piccole, inafferrabili arguzie dei retroscena umani. Le 4.870
pagine de la Recherche potrebbero bastare a far conoscere
l’ampiezza della vasta gamma dei sentimenti che albergano nella psiche.
Proust si rivela immenso,
penetrarlo è un’impresa non facile. L’astrattezza dei pensieri, delle immagini
viene continuamente mossa da una sorta di circonvoluzione cerebrale, con una
trama fitta, ma sottile, che dà ampio respiro alle sensazioni, anche meno
significative, ve ne diamo es: “...le ragazzine che avevo scorto procedevano
leste, con quella destrezza dei gesti che nasce da una perfetta scioltezza del
corpo e da un disprezzo sincero per il resto dell'umanità, procedevano leste,
senza esitazione né rigidità, compiendo esattamente i movimenti voluti, in una
piena indipendenza reciproca di tutte le membra, mentre la maggior parte del
corpo conservava quell'immobilità così notevole nelle buone ballerine di valzer”.
Se letto
con calma, All'ombra delle fanciulle in fiore evidenzia
tutta la potenza introspettiva e il glamour dell’intero repertorio proustiano,
delineandosi come un classico dalle splendide e indimenticabili descrizioni,
che il narratore investe di grande humor e più
dettagliatamente delineandone le attese dell’alta società francese del suo
tempo, avendone individuato spesso le vicissitudini amorose, i gesti, i
dialoghi, e interpretandone vizi e virtù. Questo romanzo apre a sfondi
metafisici e filosofici finora mai eguagliati. Ad es. la conclusiva descrizione
dell’ultimo giorno vacanziero: “il giorno d’estate ch’ella [la
domestica] scopriva sembrava altrettanto morto e immemorabile d’una sontuosa e
millenaria mummia che la nostra vecchia domestica avesse liberata con cautela
da tutte le sue fasce, prima di farla apparire, imbalsamata nella sua veste
d’oro”).
Un’opera come poche,
allora, che predilige il dipanarsi della narrazione in mille rivoli
introspettivi, e appare (ir)rrisolta, per certi aspetti analogici che guardano
ai dettagli, ma pur sempre, senza il frammentarismo in cui si può
facilmente cadere. Tutto sembra avvenire come quando si osserva un panorama col
binocolo, molto ravvicinato o molto distanziato dall’oggetto in esame, oppure,
si capovolge l’immagine che diviene altro da sé: la visione allora prende la
forma di un caleidoscopio che guarda al puzzle occasionale, alla realtà
virtuale e chiude in un corteggiamento tutte le altre forme e, nello stesso
tempo, scopre l’impossibilità di trovare la felicità che cerca nell’amore,
poiché esso rimane compresso tra i propri limiti e la natura stessa
dell’individuo che v’interagisce.
Tutta l’opera è un
capolavoro della letteratura francese. Per Marcel Proust il
recupero del passato e la creazione artistica coincidono, si combaciano, fin
quasi a colmare la brevità illusoria del tempo, forse anche a recuperarlo, a
conservarne aromi e freschezza dentro l’anima che è tutta attraversata dal desiderio
della giovinezza fuggitiva, ritenendola parabola stessa della vita, in un
percorso di relatività spirituale, ancorché biologico e naturale della specie.
Ninnj
Di Stefano Busà
Milano, giugno 2013
Milano, giugno 2013
Nessun commento:
Posta un commento