Anteprime in ombra, di Franco
Santamaria, Kairos Ed. 2013
a cura di Ninnj Di Stefano Busà
È una poetica di grande effetto e di buona compattezza quella di Franco
Santamaria. Il quale in questa raccolta dal titolo emblematico: Anteprime in ombra, espone versi ricchi
di pathos e articolati con un linguaggio maturo e in progress.
Avevo letto altri testi dell’autore, traendone la convinzione che la sua
poesia fosse valida, ampia e sperimentale, non artificiosa, mai, ma sperimentale,
sì, ha molte linee di contatto con quella poetica rappresentativa di un
paesaggio, quello matese, dove l’autore è nato, che lo riporta di frequente a
quel panorama della reperibilità terragna in cui il suo istinto alla
conservazione dell’oggetto poetico è nato e, che rappresenta per ciascun poeta
del luogo, l’intelligente memoria del ricordo, insito nella mediterraneità di
tanti altri autori conterranei.
Il pensiero che la manifesta e la scrive è sempre molto vasto.
Si compiace di una dottrina che precede un progetto letterario tra i più
ampi.
Infatti, Santamaria affonda nell’onirico di una vocazione a rembours,
dove le semplici e chiare verità aprono a figurazioni immaginifiche,e suggeriscono
stupori, meraviglie, atteggiamenti in cui il mondo appare denudato dai suoi
valori e concetti essenziali:
E nella valle non venne la neve
qui nebbia remota divora
dura in fumo lungo
d’incendio
e la pioggia infierisce
ad annegarci per sempre.
Si tratta spesso di una poetica naturalistica e materica, quella
dell’autore, che egli sa plasmare bene e della quale sa tessere fili
impensabili d memoria e di radici, versi che tuonano con rombi improvvisi,
quando il poeta lascia il segno distintivo della sua scrittura, tesa a
sintetizzare l’autentico simbolo della materia umana, immagazzinando nella
rivelazione che sempre scava fino in fondo, nella storia e negli antefatti
dell’esistente, la verità conclamata.
Franco Santamaria si collega al lettore di poesia con la sua immagine di
primitiva bellezza, alla quale aggancia la sofferenza dell’uomo, la propria materia
vivente e il tormento, la sofferenza della sua avventura sulla terra:
Come i fiori
Vagano nel buio
gli occhi, nulla
vedono
se non il volto in addio di un
fiore spinoso.
Precipita inesorabilmente
il cuore
alle secche labbra
è impresso un nome
finito da poco.
E’ finito l’amore?
Rifiorirà domani,
se non morrai, come i fiori
nelle stagioni del mondo.
Ardimentoso diviene il percorso amoroso nella dialettica dell’autore,
quando le testimonianze di vita gli fanno osservare vaghezze e progetti
evocativi, scavi individuale di un percorso in cui è bello azzardare in una
liricizzazione del messaggio, che si fa caratteristico del suo modello individuale,
in situazioni che potrebbero essere indicativi di una mancanza di sublimazione
lirica. Invece, il poeta registra ogni indugio con una cadenza polimorfica del
discorso, in cui fa apparire tutti gli elementi in esso raccolti. È uno scavo
profondo quello di Santamaria, che non si chiude e non si conclude con la morte
dell’individuo, ma si riflette nella storia di ognuno e s’identifica nella
versione rigenerante del pensiero. Vi è in atto una rarefazione metafisica: il
sogno quasi si liquefà, la vita si assottiglia, perde colore, sapore, ma il
poeta consuma le ultime gocce dell’olio che gli restano, come un cercatore
d’oro, bulina le variazioni e ristruttura volta per volta le sue memorie, le
sue metafore, i suoi stupori, come fosse la prima alba del mondo:
Alba
Alba umida di buio e di sogni
annegati.
Solitudine.
Poi a danza violenta s’apre la
terra.
Ninnj Di Stefano Busà
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