LA CADUTA DELL’ORSO, DEL GATTO E DEL TOPO
Dubai,
grattacielo Burj Khalifa, 163° e ultimo piano,
16 novembre 2012
Quel
giorno, la società J.F.Richard & Sons, specializzata in pubblicità
televisive, aveva scelto proprio quest’ultimo
piano per effettuare i primi piani
per l’imminente campagna promozionale destinata a lanciare (è il caso di dirlo) un nuovo, efficiente modello di elicottero.
Volete saper quale sarebbe stata la frase che avrebbe accompagnato il
filmato? Bene, dopo molti sforzi e senza
grandi voli di fantasia, gli esperti erano riusciti a concepire questo:
ANCHE
L’ORSO POLARE PUO’ VOLARE.
Per
cui non vi sorprenderete se ora vi dico che, in quella tarda mattinata, le
telecamere della Richard & Sons stavano riprendendo uno spettacolo
inusuale: un plantigrado bianco a seicentotrenta metri di altezza, che si
aggirava per la quella stanza degli Emirati Arabi un po’ accaldato e con
leggiadria pari a zero, mentre attraverso le pareti dell’edificio, tutte
composte di vetri lindi e trasparenti, i presenti potevano godere della vista
mozzafiato di una metropoli osservata dall’alto.
E
quasi sembrava loro di sfiorare le nuvole, vicine, bianche e soffici come
l’animale artico.
Si
stava avvicinando mezzogiorno, il ciak del regista ormai imminente. L’orso era ancora digiuno: sarebbe stato
rifocillato dopo la seduta di lavoro.
Le
riprese televisive, so che ci tenete a saperlo, avrebbero dovuto seguire questo
programma: il nuovo modello del velivolo si sarebbe avvicinato all’ultimo piano
del grattacielo, da dove il nostro amico, con annessa pelliccia, sarebbe stato
preso a bordo e trasportato, mediante una lenta e lunga discesa che, a spirale,
avrebbe avvolto tutto l’edificio e rimarcato l’affidabilità e la manovrabilità
del mezzo, fino al novantacinquesimo piano, dove lo avrebbero lanciato nel vuoto, munito naturalmente di
paracadute automatico.
Sarebbe
poi sceso lentamente, come un enorme fiocco di neve polare, sul suolo
sottostante, dove era stata preparata una pista di ghiaccio sintetica, come
quelle per il pattinaggio.
Le riprese sarebbero dovute andar così. Ma non
lo fecero, ed ecco il perché.
Un
topolino ( ma guarda un po’! Si trovano anche nei locali più puliti e lucidati,
a 636 metri di altezza ) attraversò velocemente, sfiorando una parete, l’ampia
stanza. Il gatto, l’animale di proprietà del regista, lo vide ed immediatamente
balzò al suo inseguimento.
Ve
l’ho già detto: l’orso era a digiuno. Cosa credete che fece? Pensò semplicemente che quel gatto sarebbe
stato un’ottima prima portata per il pranzo e partì immediatamente sulle sue
orme, facendo anche cadere una delle cinque telecamere.
Il
topo intanto era giunto in fondo alla stanza, fermo in un angolo. Il gatto era ormai a pochi decimetri dal
piccolo roditore quando questi scorse, un metro più in alto, una finestra
aperta.
Senza
pensarci neppur due volte saltò dalla finestra.
Il
gatto, senza pensarci tre volte, lo seguì.
Arrivò
anche l’orso che, senza pensarci quattro volte, li imitò.
Un
attimo dopo li ritroviamo all’esterno dell’infinito edificio, il gatto nero,
l’orso ed il topo bianchi, intenti a guardarsi l’un l’altro durante la caduta. Il primo a parlare fu
l’orso:
“Vi ho
in pugno. Appena arriveremo a terra vi mangerò subito, l’uno dopo l’altro”
“Ne
sei sicuro? Sei certo che arriveremo a terra insieme?” miagolò il gatto.
“Ovvio!
Conosco le leggi della caduta dei gravi, io stesso sono un grave: peso 200
chili! L’accelerazione è la stessa, indipendentemente dalla massa e quindi,
essendo partiti con la stessa velocità, arriveremo insieme. E’ facile. La forza verso il basso è il peso, che è
uguale a massa per accelerazione di gravità, ve lo dico anche in formule,
guardate: P=mg , ma per la seconda legge di Newton, lo conoscete, vero?,
abbiamo a=F/m , accelerazione uguale forza diviso massa e se allora al posto di
F metto la forza peso P ottengo a=mg/m .
m al numeratore ammazza m al denominatore ( l’orso polare è abbastanza
feroce, non stupitevi della spiegazione ) ed ecco che a=g . l’accelerazione di caduta uguaglia quella di
gravità.
Quindi
tutti i corpi cadono con la stessa
accelerazione.”
Ma
aveva appena finito di parlare che ebbe una brutta sorpresa.
Iniziò
a precipitare più velocemente dei due compagni che, dall’alto, lo guardavano
sorridenti.
“Che
stupido!” disse il gatto “non sa neanche che esiste la resistenza dell’aria;
forse è perché al Polo Nord non ci sono posti in alto da cui si può cadere.
Invece io mi sono fatto una cultura sull’ attrito dell’aria sui gatti leggendo
un articolo sul Washington Post, nel settembre del 2006.
Si
intitolava <Sabrina, la gatta del 32° piano> e descriveva un elaborato
studio su 115 gatti precipitati dai grattacieli di New York nell’estate –
autunno del 1988, rimessosi in buona salute senza troppi problemi nel 90% dei
casi. Lo studio era di due dottori del l’Animal Medical Center di Manhattan,
dove le bestiole erano state trasportate a seguito degli incidenti. Solo 3 erano morti prima di arrivare al centro
veterinario ed otto sono poi deceduti nelle 24 ore successive, a causa di
cadute tra il quarto e l’ottavo piano, mentre con le cura del caso tutti gli
altri 104 caduti da più in alto si sono ripresi. Il più comune disturbo presentato dai gatti è
l’epistassi, il banale sangue dal naso, e poi lacerazioni facciali, denti
rotti, frattura del palato o della mandibola. Raramente fratture delle costole
o della gabbia toracica. Noi gatti non ci spacchiamo la schiena perché ci basta
meno di un metro di caduta per piroettare nell’aria e rimetterci con le zampe
verso terra.
Il
minore rapporto tra massa e superficie corporea rispetto all’uomo e l’attrito
del folto pelo fa sì che, dopo soli sei
piano di caduta, raggiungiamo la nostra velocità massima, quando la forza di
attrito uguaglia il peso, che è sui 96 chilometri all’ora, mentre quella
dell’uomo arriva intorno ai 200 all’ora. Raggiunta la velocità limite, noi ci
rilassiamo, flettiamo le zampe ed inarchiamo elasticamente la schiena,
preparandoci ad un atterraggio più molleggiato.
Ecco
perché la maggior parte delle morti e delle fratture si riscontra in animali
caduti dal settimo od ottavo piano in giù: una altezza che non ci permette di
adeguarci alla velocità massima.
Nella
caduta da molto in alto la mortalità è bassa. E’ una fortuna che esista la velocità limite:
se così non fosse, una goccia di pioggia arriverebbe a terra, dopo una caduta
da un chilometro di altezza, a 500 chilometri all’ora, e sarebbe un massacro
per i passanti. Invece arriva a circa 20 chilometri orari o, in caso di forti
temporali, 30. Anche noi gatti arriviamo sempre a terra alla velocità limite,
96 all’ora, sia da dieci come da ottanta piani di altezza”
“Già,
e un conto è arrivare a 96 all’ora, un altro a 240, come è già avvenuto alla buonanima dell’orso” constatò, guardando in
basso, il piccolo roditore.
“Esatto”. Ma mentre diceva <esatto> il gatto vide che il topo si
stava allontanando in alto, sopra di lui.
Pochi
secondi dopo il vivace micio piombò a 95 allora, chilometro meno, chilometro
più, sul ghiaccio della pista di pattinaggio, fratturandosi una zampa. Dopo
ancora qualche istante, anche il topo colpì, con un tonfo, l’umida e dura
superficie, rimettendosi però subito in sesto ed incominciando a scappar via
velocemente, sotto i tristi occhi del gatto deluso, impossibilitato a
rincorrerlo.
“L’orso
muore, il gatto si ferisce ed il topo fugge via felice!” pensò il topolino.
“Certo,
che il fattore decisivo è la velocità limite!! Assumendo l’invarianza di scala,
per un animale di lunghezza elle si avrà una massa proporzionale al cubo di
elle. La resistenza dell’aria è proporzionale alla superficie della sezione
perpendicolare alla direzione del moto, e cioè a elle quadro, ed al quadrato
della velocità vu. Alla velocità
limite, con l’attrito che bilancia la gravità, avremo elle quadro per vu quadro
proporzionale a elle cubo. Quindi vu proporzionale alla radice quadrata di elle
e quindi alla radice sesta della massa.
Se la velocità massima di un orso di 200 chili è 240 all’ora, la mia,
che peso 20 grammi, cioè diecimila volte meno, è la sua diviso la radice sesta
di 10.000, cioè circa quattro virgola sei: la mia velocità è 48 chilometri orari, cinque volte inferiore a
quella dell’orso.
Certo
che l’orso è stato veramente idiota. Gli ascensori del Burj Khalifa sono i più
veloci al mondo, vanno a 64 chilometri all’ora. Se li avesse usati, sarebbe
arrivato prima di me. Avrebbe potuto uscire dall’edificio, trovare a terra il
gatto immobilizzato, mangiarselo, e poi aspettare il mio arrivo: anche io ora sarei
nel suo capace stomaco!
Invece
l’orso muore, il gatto si ferisce, ed un topo scappa via felice!” concluse tra
sé e sé il nostro topo, un po’ scienziato.
Così
finisce la storia di un orso spiaccicato dalla caduta dal Burj Khalifa, di un
gatto nero che porta sfortuna a se stesso, e di un topolino da laboratorio
fuggito, tre piani sotto, dalla sede della Arabian Genomics, società di
ingegneria genetica. E così tutti vissero….pardon……e solo il topo visse felice
e contento.
P.S:
Per rendervi edotti sulla
resistenza dell’aria, un furbo topolino ha dovuto far morire un povero orso …. d’altro
canto, le cadute dai grattacieli sono pericolose!
“Si può gettare un
topo in un pozzo di miniera di mille iarde ed esso, giunto in fondo,dopo un
piccolo shock, se ne va via, a patto che il terreno sia abbastanza soffice”
J.B.S. Haldane
(1929) , nel suo classico saggio ON BEING THE RIGHT SIZE
E a
volte anche se il terreno non è abbastanza soffice, aggiungo io.
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