Caro Nazario, ho letto e commentato a mia volta il libro di
Aurora, per cui mi sento di avallare il tuo superbo discorso critico, teso a
mostrare le valenze universali di un eloquio poetico che, partendo da
vibrazioni sensibili, si proietta molto oltre le colonne d'Ercole della
carnalità. E’ una poesia limpida e sognante, quella di Aurora De Luca, non
fondata sulla scansione metrica convenzionale, bensì sul verso libero, in una
musicalità che vibra di sensi e di anima. Un canto dove il primo incontro d’amore
è proprio quello che avviene tra materia e spirito, tra assoluto e relativo,
tra contingenza ed eternità. Non a caso, in un verso lapidario e felice, la
poetessa parla de “l’amore che il finito prova per il tempo infinito”. Questa
poesia è come un volo leggero capace di raccogliere le melodie del cielo e
della terra. Poesia dell’incontro duale, poesia dello yin e dello yang,
potremmo anche dire, usando i termini di una vetusta filosofia orientale.
Poesia fondata sulla legge elementare e misteriosa dell’attrazione dei
contrari. Non poesia di sospiri amorosi, sdolcinati, melensi. Qui non c’è
l’atteggiamento feticistico di chi fa dell’amato, o dell’amata, un idolo da
adorare, bensì una concezione dell’amore come trascendimento, come superamento
dei propri confini, come viaggio di comprensione e conoscenza, come proiezione
della propria anima verso l’altro, verso ciò che è diverso e non si conosce, ma
di cui si ha bisogno per un ampliamento della propria vita coscienziale. Molte
delle poesie di Aurora sono scritte in riva al mare, simbolo di separazione, ma
anche di congiunzione tra due mondi, tra due universi divergenti, desiderosi di
incontrarsi tra di loro. Amore, dunque, come equilibrio, come capacità di
tenere uniti i contrari. Amore universale. Amore come “battito del cuore, /
tamburo nel petto che / smuove l’immortalità”.
Franco Campegiani
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