RIVERBERO
poesie e
racconti di Paolo Bassani
Presentazione
di Francesco D’Episcopo
Fedeltà alla poesia della vita
La vita è l’arte
dell’incontro, diceva un poeta brasiliano, amico di Giuseppe Ungaretti,
Vinicius de Moraes, ed io incontrai Paolo Bassani alcuni anni fa, in occasione
di un bel premio letterario, Portus Lunae, che mi fu dato in una delle piccole
isole che fronteggiano il golfo di La Spezia. Mi affidò qualcuno dei suoi
libretti, in poesia e in prosa, fatti regolarmente in casa e stampati in
proprio, che lessi in breve tempo durante il mio viaggio di ritorno. Rimasi
colpito dal candore, oltre che della persona, delle sue parole, scritte con
quella profondità che sempre la semplicità comporta, quando è sincera, e
sgorga, come l’acqua, da una fonte spontanea.
Sono ora qui a scrivere
poche parole per lui, che, assecondando il suo carattere schivo, sobrio, non me
le ha chieste, ma che io, invece, ho sentito di offrirgli come gesto di
simpatia e di stima per l’umanità che si espande naturalmente dalla sua poesia.
In lui, infatti, come accade a chi davvero prova le cose che scrive, poesia e
vita sono la stessa cosa. Ed è importante, molto importante, che poeti della
vita e della parola abbiano il riconoscimento che meritano.
In verità, Bassani alcuni
premi li ha vinti, qualcuno davvero importante e imprevisto, e li ha vinti
soprattutto per la persuasività della sua parola, mai svagante, ma sempre rigorosamente
attinente all’argomento prefisso. Basta, del resto, seguire la natura delle cose
per aderire più intensamente e intimamente a ciò che la vita e la poesia suggeriscono.
Bassani, in questa silloge
di poesia e prosa, ricorda, rimpiange personaggi e posti, che hanno fatto bella
la sua vita; onora e rispetta, come pochi, coloro che hanno dato la vita per
noi; non confonde mai il bene e il male, anzi invoca una giustizia più giusta,
che riconosca ed esalti il bene e condanni
e punisca il male. Si lamenta, a ragione, dell’incuria del nostro tempo
per un passato che andrebbe preservato da gratuite e stupide violenze.
Ripercorre con levità stagioni della sua e nostra vita, nelle quali è facile
riconoscersi e ritrovarsi: le antiche case contadine, descritte nei minimi particolari;
usi e costumi di una civiltà, dominata da una solida armonia, da una
solidarietà, che sono certamente in parte scomparse.
Egli tratteggia momenti
popolari della storia della sua città, ad esempio, quelli in cui il filobus
prese il posto del tram, ma anche delle sue valli vicine, come quella Val di Vara,
di cui offre una sintetica e sostanziale guida sentimentale.
E poi c’è il suo vissuto
più personale: figlio di un ferroviere, appena perduta l’amatissima madre,
trova lavoro e una famiglia di amici. E poi le difficoltà, a cui la vita sottopone
lui e la sua nuova, vera famiglia.
Questo libro è il
<<riverbero>> provinciale, nel senso più alto, di una storia
nazionale, di cui non sempre ci siamo sentiti protagonisti.
Solo la poesia
restituisce, a chi la concepisce e la vive come atto d’amore e di partecipazione
civile, la cittadinanza morale che spetta ad ogni uomo, di qualsiasi razza egli
sia; una cittadinanza, che reca impressi i segni dell’amore, della
condivisione, dell’onestà. Bassani, distrattamente, non pagò un biglietto sul
suo filobus cittadino, ma ha certamente pagato, con attenzione, il biglietto
che più conta: quello alla vita e alla sua passione più vera, la poesia.
Francesco D’Episcopo
DUE
PAROLE AL LETTORE
In
queste pagine ho voluto proporre alcune poesie e racconti che mi sono particolarmente
cari, perché sono diventati parte del mio esistere. Lo stesso titolo
“Riverbero” dato alla raccolta intende significare che la parola, la scrittura,
ha assunto la funzione di uno specchio che riflette attese, speranze ed
emozioni del percorso esistenziale. In fondo, come ci ricordava Mario Luzi,
scrivere è per l’autore un elementare bisogno dello spirito che si incontra con
la cultura, cercando di far diventare il segno convenzionale parola viva.
Buona
lettura.
L’autore
IL
PAESAGGIO
TERRA PROMESSA
Siedi
sullo scalino
di pietra...
Lontane voci di bimbi
udrai
e rari suoni di passi
nell'eco di chiuse
vie.
Odore di legna,
di pane ancora caldo,
ti porterà
alle antiche case
ove brilla ancora il
fuoco
e il geranio adorna
minute finestre
esposte all'infinito.
Profumo di vino nuovo
ti condurrà
nella penombra quieta
di volte e di cantine
linde.
Stupito
ancora
sarai
del tuo paese,
malinconico emigrante.
Struggente
sentirai
l'attesa del ritorno.
In questi colli
aperti sulla Magra,
rossi di vigne
e placidi d'olivi,
ecco, splendida nel
sole,
la terra tua promessa.
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Prima classificata –
Premio Nazionale “Val di Vara” 1980 – Varese Ligure
ALLA MIA PATRIA
La mia patria è qui
in questa terra
aperta sulla valle
nel verde di pini
d'olivi
e di castagni;
qui dove a giugno
immense macchie di
ginestre
s'accendono di sole
e lontani profumi
il vento leggero
del meriggio
esala;
qui dove ancora
il cuculo scandisce
e alterna il suo
richiamo
a lunghe pause di
silenzi.
La mia patria è qui
tra questa gente
antica
ormai sempre più rada
semplice nei gesti
e nobile nel cuore
gente indomita
tenace
alla terra legata
e alla parola:
umile gente
dignitosa.
La mia patria è qui
dove libertà e legge
non hanno bisogno di
custodi
perché sono parte
dell'uomo
della terra;
qui dove le case
non hanno cancelli
reti o muri intorno
ma l'uscio sempre
aperto;
dove il nascere
il vivere
il morire d'ognuno
è per tutti
un grande evento.
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Prima classificata
Premio Nazionale “Gabriele Rossetti” 1991 – Vasto (CH)
RIO SECCO
A te
correvo dopo il
temporale
quando al lieve
fremito del vento
ancora la pioggia
lucente
cadeva dai fiori e
dalle foglie.
Solitario
m'incantavo al sordo
rumore
e torbido impeto
dell'acque.
A te
venivo con mia madre
nei giorni di sole
a empire la secchia
con il vecchio mestolo
di rame.
Limpido
nella freschezza del
mattino
lasciavi trasparire
profondità di ghiare
nel tremulo riflesso
d'un volto sorridente
stampato nel sereno.
Attraversarti
saltando di pietra in
pietra
era la mia gioia di
bambino.
A te
vorrei tornare un
giorno;
trovare ancora
nel tuo riflesso puro
intatta
l'immagine del volto
sorridente
e la serenità del
cielo;
saltare di pietra in
pietra:
attraversarti ancora.
Vorrei tornare
prima che scivoli
sull'acque
inesorabile
l'ombra lunga dei
castagni.
Vorrei, vorrei tornare
adesso!
Ma ho paura
di non trovarti più.
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Prima classificata
Premio Nazionale“Val di Vara” 1995 – Varese Ligure
SIESTA
Lasciatemi quest'ora
di quiete
adesso che il sole
avvampa
e le cicale spandono
il canto del loro
abbandono.
Come allora lasciatemi
posare
il capo sul guanciale
di sacco
all'ombra fresca della
volta
e ritrovare quel
profumo antico
di pane, di legna e di
cantina.
Ancora gli occhi
socchiuderò
alle bianche nuvole
del cielo
immobili come l'aria
che a quest'ora
stagna sui campi e
sulle case,
lungo i sentieri della
valle
e nel verde fitto dei
castagni.
Anche i pensieri
cercano riposo
nel pomeriggio
dell'estate
mentre -di tanto in
tanto- il tuono
brontola lontano dalla
Cisa.
M'intimoriva un tempo
il suo mistero;
adesso, invece, io
l'attendo
come la voce amica
dell'infanzia:
nenia dolce che mi
riporta al sonno.
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Prima classificata
Premio Nazionale “L’Ambiente” 1996 – Tarsogno (PR)
AI CASTAGNI
A voi ritorno, amici
miei castagni,
in questo afoso giorno
dell'estate.
La nostalgia d'un
tempo mi sospinge
alla magica terra
dell'infanzia.
Allora voi placaste la
mia fame.
S'aprivano le ricce
come scrigni:
generose e lucenti le
castagne
furono il nostro pane
quotidiano.
Non ho più fame, ma
solo sete adesso.
Con le foglie
preparerò il bicchiere,
ché l'acqua pura
dell'antica fonte
possa spegnermi in
cuore quest'arsura.
Ho tanta sete d'alba e
di rugiada.
Voi solo ormai serbate
di quegli anni
liete stagioni e
giorni spensierati,
dolcezza di profumi e
di memorie.
Datemi ancora un poco
di quel tempo!
E quando stanco poserò
il mio passo,
non cercherò ombra
cupa di cipressi
ma il vostro fresco,
tenero di verde.
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Prima classificata
Premio Nazionale “L’Ambiente” 1999 – Tarsogno (PR)
LA
MEMORIA
STAGIONI
Presto, a sera, il
sonno chiudeva
i miei occhi di
bambino
e il capo s'adagiava
sul vecchio tavolo di
legno.
Allora, mia madre
dolcemente
mi coglieva col suo
abbraccio.
Ricordo ancora
il suo sussurro e il
bacio,
il ruvido lenzuolo
odoroso di bucato
e il crocchiare del
giaciglio.
Poi, d'un tratto, già
l'aurora
nel dorato raggio che
filtrava
dai ricami della
piccola finestra
e il trepido suono del
suo passo.
Sono passati gli anni,
non mi addormento più
sul tavolo la sera.
Adesso,
s'è fatto fragile il
mio sonno:
s'infrange al minimo
rumore
e a cerchio
erranti s'allargano i
pensieri:
notturni flutti inquieti
alla deriva.
Attendo l'alba.
Ma sempre più, tarda
la sua luce.
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Prima classificata
Premio Nazionale “Olinto Dini” 1997
Castelnuovo Garfagnana
(LU)
TU CHE PORTAVI LA
PRIMA MIMOSA
Eri svanito nel
tempo...
Ti credevo lontano:
ripartito per terre
ove non cresce l'olivo
e la nebbia nasconde
l'azzurro,
tra gente che non ti
capisce,
sospinto da un povero
sogno,
lo stesso di sempre,
che nasce fatale
in sperduti sobborghi
d'antica miseria.
Ora so che non eri
lontano.
Eri già qui,
nel silenzio di questa
collina
battuta dal vento di
mare
e arsa dal sole
che spacca le pietre:
qui vicino ai
cipressi,
tra erbe
e selvatici fiori
seccati
che nessuno più
taglia,
ad attendere
i bianchi gabbiani
che tornano a sera;
a vegliare le stelle
nei cieli infiniti
di limpide notti;
a sfogliare
in silenzio
l'ingiallita corolla
del tempo.
Caro amico di scuola,
nei dolci ricordi
lontani
di quando in classe
portavi la prima
mimosa,
questa sera qui ti
ritrovo;
ora che è tardi:
ai piedi d'una povera
croce
di legno;
seduto sulla vecchia
valigia
consunta di sogni
e di pene,
ad attendere l'alba
che nasce
dall'ultimo giorno.
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Prima classificata
Premio Nazionale “Giovanni Fantoni” 1983 Fivizzano (MS)
MA SARA' ANCORA LA TUA
VOCE...
Di te mi parla ancora
la tua terra questa
sera.
Rinverdisce la memoria
immagini lontane
ora che si spegne ogni
sussurro
e nell'ombra prossima
alla notte
s'espande sui tuoi
campi
malinconia di grilli.
Come una volta
ancora accenderò il
lume,
lo appenderò alla
trave;
fioca la sua fiamma
disegnerà sui muri
ombre lunghe, incerte,
ma io ritroverò ogni
cosa
come l'hai lasciata:
la mastra e la vetrina
grigia,
il mortaio di marmo
e le teglie appese
alla parete,
la secchia con l'acqua
e la mestola di rame,
il focolare acceso
e la scala di legno
che sale
alle tavole annerite
del solaio.
Ritroverò nel letto
il saccone con le
foglie
e il delicato profumo
delle mele
distese a maturare.
Ogni rumore ritroverò
e sarà suono, soave:
dalla pioggia che
batte
sulle tegole del tetto
al notturno erodere
del topo.
Ancora fragrante si
farà l'aria
d'antichi aromi:
di pane appena
sfornato
d'olivo crepitante al
fuoco.
Ma sarà ancora la tua
voce
a darti il soffio
della vita.
Nella semplicità della
parola
ritroverò intatta come
allora
la dignità del tuo
comandamento:
"Non
calpestare neppure una formica!
E'
tanto grande il mondo...
per
tutti sia la terra;
per
tutti il dono della vita."
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Prima classificata
Premio Nazionale “Antonio Taddei” 1995 S. Stefano di Magra
(SP)
OLOCAUSTO
Stenda la pietà il suo
velo
sui morti di tutte le
nazioni,
sparga l'indulgenza
del perdono,
annulli ogni eco
d'odio e di rancore.
Nessuno però osi
strappare
una sola pagina di
storia.
Nessuno offenda la
verità.
La luce è luce
le tenebre sono
tenebre:
chi mai potrà
affermare che la notte
è chiara come il
giorno;
che tutti ebbero -allo
stesso temporagione
e torto,
accomunando diritto e
sopruso
libertà ed oppressione
vittima e carnefice;
che tutto fu colpa del
destino!
Non si possono negare
le stagioni
il corso del sole e
della storia.
Eppure, ora qualcuno
vorrebbe
falsare anche
l'Olocausto!
Potessero la terra e
il cielo
smentire la follia dei
lager,
l'infamia, la
negazione dell'uomo.
Ma come può il
carnefice negare
l'insulto che uscì
dalla sua bocca,
le percosse e il
martirio che inflisse.
Come può l'uomo che
trafisse
le mani con i chiodi
e il costato con la
lancia,
come può negare adesso
la Passione e la Morte
del Cristo
ancora immolato su una
croce uncinata.
Stenda la pietà il suo
velo
su tutti i morti, su
tutte le miserie.
Ma la pietà non può
non deve annullare la
memoria.
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Prima classificata
“Premio Nazionale della Resistenza” 1995 Ponzano Superiore (SP)
IL TEMPIO DELLA VITA
Il mio cuore di ragazzo avrebbe voluto
innalzarti un tempio, o Madre,
solenne di marmi e di parole scolpite
per gridare al vento,
al cielo, all'universo,
tutto il mio amore.
Ma ai poveri tocca soltanto
un metro di terra e una croce di legno.
Per loro anche la morte
è provvisoria come la vita.
Non hanno requie i poveri
neppure nell'ultima dimora.
Allora per te, o Madre,
ho innalzato nel mio cuore
il tempio eterno del ricordo,
più bello, più grande,
più sacro d'un santuario.
Qui perenne brilla
la fiamma del mio amore;
l'intreccio candido di rose
contorna di luce e di profumo
la grazia del tuo volto.
Qui non regna il velo gelido dei marmi
né il silenzio desolato della morte;
non trovano dimora crisantemi recisi,
opachi vasi e fiori di plastica,
parole annerite dallo smog.
Qui ancora pulsa l'anello della vita;
mi parla la tua voce,
m'allieta il tuo sorriso.
Ecco la tua casa, o Madre, la mia casa:
il nostro tempio della vita.
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Poesia tratta dalla
silloge “lungo la via Francigena” vincitrice del Premio Nazionale di Poesia “Val di Vara”
1997 - Rocchetta Vara – SP
PER NON DIMENTICARE
Torna aprile
splendente di sole e
di colori
e torna il mio
pensiero a te.
C'è una croce lungo la
via
a ricordare il tuo
martirio,
uno dei tanti, in
questa terra
medaglia d'oro al suo
valore.
Di te conosco solo il
nome,
la data di nascita e
di morte.
Della tua vita,
recisa nel fiore degli
anni,
soltanto un lampo
posso immaginare.
Parlami dunque di te,
della tua scelta
di opporti
all'invasore,
al sopruso, alla funesta
catena
d'odio e di rovine.
Dimmi
della tua vita
di combattente
clandestino,
sempre in allerta
in cammino tra le
asperità
e il gelo dei monti.
Dimmi
delle tue attese,
delle speranze,
dei tuoi sogni:
di quel venticinque
aprile
di cui solo
intravedesti l'alba.
Dimmi
che la libertà non fu
un dono
ma una conquista
costata un prezzo
immenso.
"La
libertà è una bianca colomba
che
sparge il seme della pace.
Non
divide la libertà, ma unisce;
non
mette il bavaglio, ma dà voce
anche
ai senza voce;
non
compra il silenzio la libertà,
non
intimidisce, né insulta,
ma
ascolta.
La
libertà non è un regalo
ma
faticosa conquista d'ogni giorno.
Ed
ogni giorno deve essere difesa".
_____________________________________
Prima classificata
Premio Nazionale “25 Aprile, pagine della nostra storia” 2006
S. Giorgio Morgeto (RC)
NEL BIANCO GRETO DELLA
VALLE
Le stagioni passano:
va l’una e l’altra
subito s’appresta.
Vanno gli uomini e gli
eventi
le speranze e i sogni;
resta solo la memoria
e la paura di vederla
scomparire nella nebbia.
Anch’io ora so
di questa paura,
anch’io mi sento
fragile creatura
ignara del futuro e
del destino
innanzi all’ombra
dell’oblio
che tutto annulla.
Ti prego, rimani tu,
poesia,
a ricordare l’antico
canto
nell’ora prossima al
risveglio,
quando timido il cielo
accennava il profilo
dei monti più lontani.
Ti prego, riportami
indietro negli anni
a freschi respiri
profumati d’erbe
nel quieto sentiero
dei castagni
verso il limpido
sussurro
laggiù
nel bianco greto della
valle.
___________________________
Prima classificata
Premio Nazionale “Cesare Orsini” 2006 – Ponzano Superiore (SP)
IL SANGUE DI ABELE
Ditemi voi, Martiri di Vinca,
l’allucinato sguardo che non crede,
il grido atroce di chi cade,
il calore del sangue nelle mani,
il rantolo straziante dei morenti.
Ditemi, dell’odio acceso
negli occhi delle belve,
degli artigli feroci
vili
sull’inerme agnello.
Ditemi,
se il tempo debba velare la memoria,
se esiste una pietà
che possa coprire tanta infamia
nel più difficile perdono.
Ditemi,
ditemi ancora le speranze
di quel lontano venticinque aprile.
Ditemi, o Martiri,
se hanno preso forma i vostri sogni,
se libertà e giustizia
sono fiorite come nelle attese.
Ma i Martiri non parlano.
Parlano i loro nomi
scolpiti sulla pietra del Sacrario,
grido e monito perenne
perché la terra,
il cielo e l’universo
mai più conoscano
l’infamia della bestia.
Mai più, mai più in eterno!
____________________________
Prima classificata
Premio Nazionale di Poesia in onore della Resistenza 2005
S. Stefano di Magra
(SP)
RIMANI ALMENO TU,
POESIA
Il mondo dei miei
sogni è rimasto
nei giorni d’una
lontana stagione
quando la primavera
fiorita
alzava il suo canto
alla vita
e simile all’alba
fugava le ombre
nella crescente luce
del risveglio.
Ma ora che scende
impietosa la sera
e l’autunno disperde
le foglie,
or che tutto s’arrende
all’oblio
un grande vuoto s’apre
nel cuore,
solitudine amara del
nulla.
Rimani almeno tu,
Poesia,
a cantare quel sogno
lontano.
Come allora, in alto
leggera
fai volare emozione e
parola,
candida ala di tenera
brezza,
trasfondi l’attesa
dolcezza
con la limpida voce
del cuore.
Vieni, squarcia le
nubi e la nebbia
che oscurano il cielo
e la terra,
placa l’incendio, il
fumo e le fiamme
che assediano uomini e
case;
quieta le onde del
mare e del cuore.
Nel silenzio che
s’apre all’attesa,
come allora innalza il
tuo canto,
l’annuncio di una
nuova stagione
che ridoni speranza al
futuro.
_________________________________
Prima classificata
Premio Nazionale “Canta il sogno del mondo” 2010 – La Spezia
LUNGO
LA VIA
IL PANE DEL PERDONO
Uomo,
apri il tuo cuore alla
pace.
Lo so,
non è facile abbattere
confini di secoli,
rancori di millenni;
colmare abissi di
sospetti.
Non è facile
porgere l'altra
guancia
a chi t'ha percosso,
innalzare l'olivo
e fraterni canti
sulla terra ancora
bagnata
di lacrime e di
sangue.
Ma tu, uomo,
apri alla luce la tua
mente
e il tuo cuore a
pensieri di pace.
Raccogli il pane del
perdono
e dividilo
perché ognuno ne
abbia.
Non chiederti perché
debba essere tu primo
a donarlo;
né come sarà possibile
con un solo pane
sfamare tanta gente.
_________________________
Prima classificata
Premio Nazionale “SS. Croce” 1991 - Taranto
JOBHEL
Il suono di jobhel
ancora annuncia
l'avvento del tuo
tempo,
Signore.
Riposi la terra
e i suoi frutti doni
ad ogni uomo,
adesso che Tu proclami
al mondo
ancora la tua
liberazione
nell'anno del
riscatto.
Torna tra noi,
Signore!
Chinati sulle nostre
miserie
con la pietà
del buon Samaritano:
lava
cura
risana le ferite,
da' luce ai nostri
occhi
e speranza al cuore
nell'indulgenza del
perdono.
Signore, indica la via
a questo disorientato
pellegrino del Duemila
che s'arresta al bivio
e ancora non sa
decidersi:
guida il suo passo
sulla via di Emmaus
e accompagna il suo
cammino,
perché egli non ceda
alla fatica
e allo sconforto del
dubbio
se nella sua ricerca
non vede ancora
la gloria del tuo
Cielo.
Guidalo, Signore,
perché non si perda
nel deserto
e quando si fa sera
giunga alla tua tenda:
a Te che proteggi il
pellegrino
e sai placare la sua
arsura.
_______________________
Prima classificata
Premio Nazionale “San Pio X” 1999 - Massa
ALLA COMETA
Dimmi,
sei tu la cometa che a
Natale
appendevo ai miei
sogni di bambino?
Avevi una gran chioma
allora
ma questa notte in
cielo
tra mille e mille
stelle
fatico a ritrovarti.
Lo so che vieni da
lontano
e nel cammino di
millenni
s'è forse perduto
un po' del tuo
splendore.
Eppure tu conosci a
memoria
galassie e nebulose
ove non giunge sguardo
umano,
e inviolati segreti
ancora custodisci.
Vai e puntuale torni
nei secoli
come il nascere e il
morire
di stagioni.
Non c'è in te presagio
infausto
comodo alibi per
l'uomo
che addebita alle
stelle
l'ombra del suo male.
Non sei tu forse un
palpito di luce
nel perfetto disegno
del creato?
E la luce non è da
sempre
simbolo di vita?
Perché allora taluno
ancor s'ostina
a farti profeta di
sventura?
Io so che tu non porti
male alcuno
oltre quello che
l'uomo
cagiona di sua mano.
Tu sei soltanto un
astro pellegrino
docile alle regole del
cielo.
Semmai, nel ricordo
sereno dell'attesa,
per me rimani
l'immutata cometa di
stagnola
sul mio lontano
presepe dell'infanzia.
____________________________
Prima classificata
Premio Internazionale di Letteratura “Frate Ilaro del Corvo 2008”
Ameglia (SP)
PAGINE
DELLA MEMORIA
CASA
DEL BIANCOSPINO, ADDIO
Scompare
un altro pezzo
di
storia contadina lunigianese
Ormai
la sua sorte sembra segnata. Forse presto arriveranno le ruspe e allora la
vecchia casa contadina sarà abbattuta come un animale mortalmente ferito. E il
podere sarà sconvolto: olivi con le radici al vento, vigne strappate dai
filari, disperso il biancospino. Sui campi divisi da confini sorgeranno muri di
cemento, cancelli e reti. Così il nuovo piano urbanistico prenderà forma e del
passato non resterà più traccia, se non nel ricordo. Ma anche i ricordi sono
destinati a scomparire. Per questo ho chiesto al freddo obiettivo di una
macchina fotografica di fermare per sempre le immagini di questo mondo che se ne
va.
E’
strano come un velo di malinconia s’avverte dinanzi ad ogni cosa che cade.
Forse ci rendiamo conto che è una parte di noi stessi che si perde; sentiamo
tutta la fragilità delle cose e della vita davanti all’immensità del tempo. La
casa del biancospino sorge nella campagna caprigliolese,
in
Lunigiana. E’ stata per generazioni e generazioni abitazione dei mezzadri che
legarono la loro esistenza a quella terra. E’ un tipico casolare della vita
contadina: addossato al poggio a mezza via sulla collina -sbiadito tra gli
olivi- guarda il lento snodarsi del fiume Magra. Semplice architettura: al
piano interrato la vecchia stalla e le cantine; a pianterreno la grande cucina
con il pavimento a mattoni rossi, il focolare, il forno, le altre stanze con
minute finestre esposte all’infinito. La scala di
legno
-diritta- che porta al piano superiore pavimentato con tavole disposte sulle
grandi travi; e come soffitto le tegole del tetto. Ma questa dimora rurale mi
piace ricordarla come la vidi per la prima volta: “Non ha cancelli, reti o muri
intorno, ma solo olivi, pergole e filari. Non ha neppure aiuole di giardino per
fiori signorili; soltanto il biancospino, un cespo di giaggioli e qualche viola
del pensiero. Non ha per guardia il cane lupo ma un vecchio gatto seduto sulla
soglia. Davanti all’uscio verde un’aia rossa di mattoni; a fianco, sotto il
fico grande, un vecchio tavolo di legno”. Purtroppo, il fico è già stato
tagliato. A proposito: di questa pianta voglio raccontarvi un fatto misterioso accaduto
il 14 agosto 1981. Nella notte s’era levato un vento forte. Non era il vento di
mare che ulula tra i pini della costa, né il vento del nord che scende
impetuoso dal monte frustando
gli
olivi. Era un vento caldo, strano: senza nome. Quella notte fioche luci erano
rimaste accese nella casa contadina: a vegliare l’uomo che, per tanti anni,
aveva legato la sua vita a quella terra.
Ebbene,
al mattino seguente, le foglie del fico erano completamente ingiallite e in due
giorni caddero tutte, come se fosse giunto precocemente l’autunno. Io mi sono
fatto una mia teoria
di
quell’evento e penso di non essere troppo distante dalla verità. Anche le
piante hanno una loro sensibilità e (non so come) partecipano alla gioia e al
dolore dell’uomo. Studiosi americani lo hanno dimostrato: sì, le piante si
affezionano non soltanto alla luce ma anche alle persone. E semmai è dunque
possibile un’amicizia tra uomo e albero, questa non poteva che essere molto
forte tra il mezzadro e il “suo” albero di fico, alla cui ombra rimaneva ore ed
ore nelle ultime estati, quando la
malattia
ed il peso degli anni lo costringevano all’immobilità. La Casa del biancospino
ebbe nel 1988 un momento di celebrità, quando nell’antica chiesa di Caprigliola
-durante un concerto di musica sacra- la voce della poesia si unì alle mistiche
note di Bach per rendere omaggio ad essa, simbolo dell’antica civiltà
contadina. Fu un atto d’amore e di giustizia.
Non
l’aristocratica villa del padrone della terra, ma la più umile delle case era
stata accolta.
Mi
ricordo una donna molto anziana: era felice perché aveva creduto di riconoscere
nella Casa del biancospino la propria casa. Forse quella donna non aveva più
aperto un libro di poesie dai lontani tempi della scuola; forse la sua lettura
era stentata, perché non aveva avuto maestri, come -non di rado- accadeva tra
la gente contadina d’un tempo; quella gente che però ha insegnato, con la sua
dignità, la più alta lezione della vita. La Casa del biancospino è poi entrata
nella scuola. E i bambini di Lunigiana l’hanno interpretata con la freschezza della
loro età, attraverso disegni e colori. Peccato che oggi debba essere distrutta.
Con essa scomparirà un simbolo, un pezzo di storia contadina; quella che forse
non apparirà mai sui libri di storia di testo, ma che rimarrà sempre viva nel
cuore di chi l’ha vissuta.
Ecco
la poesia:
LA CASA DEL
BIANCOSPINO
Non c'è una villa
nei miei segreti
sogni,
ma solo
una vecchia casa
contadina:
sopita tra gli olivi
a mezza via sulla
collina
guarda il lento
lucente snodarsi della
Magra.
Non ha cancelli
reti o muri intorno
ma solo olivi
pergole
e filari.
Non ha neppure
aiuole di giardino
per fiori signorili:
soltanto il
biancospino,
un cespo di giaggioli
e qualche viola del
pensiero.
Non ha per guardia
il cane lupo
ma un vecchio gatto
seduto sulla soglia.
Davanti all'uscio
verde
un'aia rossa di
mattoni;
a fianco,
sotto il fico grande,
un vecchio tavolo di
legno.
Qui è vissuta
la mia gente contadina
e qui le mie radici
ho ritrovato;
qui
i miei sogni
non hanno più confini.
Laggiù sull'autostrada
colonne senza fine
forse cercano lontano
questo mondo di
serenità.
IL TESTO CONTINUA CON ALTRE STORIE TRATTE DA PAGINE DELLA MEMORIA(1). ABBIAMO GIA' AVUTO LA FORTUNA DI APPREZZARE SUL NOSTRO BLOG ALCUNI DI QUESTI ABBINAMENTI FRA PROSE POETICHE E CANTI, TIPICI DELLA VIS CREATIVA DI PAOLO BASSANI, PROLIFICO SCRITTORE PLURIPREMIATO E ASSIDUO COLLABORATORE. CI RIPROPONIAMO DI PUBBLICARE IL SEGUITO DEL TESTO IN ALTRA OCCASIONE PER I BUONGUSTAI DELLA PROSA E DELLA POESIA.
(1) PAGINE DELLA MEMORIA E' LO SPAZIO LETTERARIO DEL BLOG CURATO DALLO SCRITTORE PAOLO BASSANI
NAZARIO PARDINI
Una commovente istallazione poetica che trascorre, di bellezza, negli anni piu' candidi della poesia - in un mondo di serenita' - auspicato dall'autore e...dai lettori.. Complimenti anche al blog. Miriam Binda
RispondiEliminaRingrazio di cuore la scrittrice Miriam Binda per il suo apprezzamento, che ha portato fortuna a "RIVERBERO", oggi pubblicato anche in forma tradizionale (cartacea).
RispondiEliminaPaolo Bassani