Con la consueta
perspicacia, Nazario Pardini mette in risalto le doti di una poetessa dalle
grandi prospettive. Non lo dico soltanto basandomi sull'esegesi del caro amico
ma perché anch'io ho avuto il piacere di riflettere e scrivere su questi versi.
Versi di una freschezza, di una pulizia disarmanti (nel senso della pace
interiore, dell'assoluta levità con cui si posano nell'animo). Ma mi
piace evidenziare due aspetti che destarono la mia curiosità e che, ora,
ritrovo in questa acuta disamina. Il primo: l'opera è scandita sul ritmo delle
stagioni, e l'amore non nasce in primavera ma in autunno, dando luogo ad un
nuovo senso di preludio, di fermento sotto il fogliame. "Sta anche qui
l'originalità del testo (dirà Nazario)...nel dare luminosità e motivazioni
ardite a una stagione che di solito, in poesia, segna lo spegnersi, la
sottrazione ultima dell'esistere...". Invece, qui, "tutto deve
essere inizio, perché lo vuole l'amore". Ed eccoci al secondo - a mio
avviso ancora più sorprendente - elemento: l'universalità di tale sentimento,
non semplice da cogliere per una giovane poco più che ventenne, per chi,
dall'amore stesso, potrebbe essere 'sopraffatta'. Aurora sa già coniugare il
verbo in tutte le sue declinazioni; lo sa perché - tirando in ballo Saba, come
fa Pardini - "parte dai minimi particolari per traslare il tutto verso
(la) spiritualità".
E questo - mi si lasci dire - non è davvero
poco.
Sandro Angelucci
Sandro Angelucci
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