Franco Campegiani
Condivido e sottoscrivo gli apprezzamenti di Maria Grazia Ferraris
in merito alla poesia di Giorgio Linguaglossa. E' un canto fresco, zampillante
e gradevole che sorge e gorgoglia dal cuore della storia, con gioiosa forza
esplosiva. Un teatro di frammenti mnemonici che non vengono elaborati
intellettualmente, ma che si proiettano da se stessi sulla scena, e lo fanno
caoticamente (creativamente) senza obbedire ad urgenze cronologiche di tipo
razionale. E' il movimento della risacca, che porta a riva, alla rinfusa, e poi
riporta in mare aperto, brandelli di civiltà presenti e passate, spezzoni di
segni, linguaggi e simboli affioranti dal pozzo senza fine delle culture e del
cuore dell'umanità.
Forse i lettori di questo blog, avendo letto alcune mie
recenti note tese a contrastare l'impostazione critica del noto autore,
resteranno spiazzati da tale mia incondizionata ammirazione, ma in tutta
franchezza io ravviso una discrepanza tra il critico ed il poeta, che vorrei
qui provare a delineare. A mio parere, qualsiasi argomento (politico, sociale,
religioso, erotico, metafisico, eccetera) può essere adatto a tradursi in
poesia (quindi anche questo), purché ci sia il poeta che sappia cogliere i lati
sottili della vita, trasformando la realtà in simbolo, la particolarità in
universalità. Ed è fuori di dubbio che il poeta in questo caso c'è. Bisogna
distinguere il vestito che di volta in volta la poesia può indossare, dalla
poesia stessa, che è e resta un fatto coscienziale.
La poesia non nasce dalla
storia, come non nasce dalla scienza o dalla religione, o dalla filosofia, ma
nasce dalla coscienza che di tutto ciò l'uomo ha. Intendo dire che non è la
storia a scrivere (come non è Dio, o altre cose), bensì l'uomo, l'umanità. Che
poi quest'uomo, per raggiungere la vera coscienza (che è sempre coscienza
cosmica) debba superare le angustie dell'Ego, trova in me un grande alleato, e
non un oppositore. Un conto è l'Ego, un conto è il Sé.
Franco Campegiani
Ringrazio Campegiani per le sue parole di approvazione per le mie poesie, ma in ogni caso l'avrei ringraziato anche se il suo giudizio non fosse stato positivo perché un poeta (e un critico) deve porre una distanza tra la propria persona e la propria scrittura... e del resto lavoro da circa 30 anni sul problema di una poesia che abbia "una forma più capace", più spaziosa e che abbia in sé la possibilità di ospitare l'immagine e la metafora. Nelle mie riflessioni critiche mi sono sempre sforzato di indicare i veri problemi che, a mio avviso, hanno impedito dagli anni Settanta in poi, che sorgesse una grande personalità poetica in Italia.
RispondiEliminaIl problema è andare col bisturi ad incidere su quella ritirata strategica che poeti del calibro di Montale e Pasolini hanno poi messo in atto, e comprendere le ragioni di quella rinuncia a costruire una "forma più spaziosa" che superasse la poesia delle occasioni e la poesia giornalistica.
Sono ormai 40 anni e passa che in Italia si fa una buona poesia giornalistica, magari di buon livello, oppure neoclassica, magari di buon livello, ma per questi sentieri ormai non è più possibile, credo, scrivere poesia moderna.
Ad esempio, Franco Marcoaldi (tanto per fare un nome) è un ottimo poeta, sa scrivere, ma fa poesia giornalistica (e infatti lui è un ottimo giornalista).
Che altro dire? Che ci sono ottimi poeti giornalisti, non lo metto in dubbio, che Magrelli è un ottimo scrittore di divertissement para giornalistici. Tute cose magari utili, non lo nego, dico utili per la poesia a venire. Allo stato, stiamo ancora aspettando una poesia veramente moderna (che non parli con un linguaggio giornalistico).