Claudio
Fiorentini: Incauta Magia del Mentre
Kairòs
Edizioni. Napoli. 2012. Pagg. 48. € 10,00
Immagini
con cui l’autore tradisce un senso di solitudine e di sperdimento sociale ed
esistenziale
Plaquette
fine, elegante, delicata, di un’armonia che sembra quasi contrastare con
quell’insana sinfonia di note che vanno vengono e si disperdono per non
tornare. Perché l’autore la percepisce l’armonia misteriosa e nascosta, direi baudelairiana;
la trasferisce nel sottobosco del suo canto o nelle rappresentazioni pittoriche
che dal senso della vita si traslano in una visione surreale, quasi onirica.
Sì, una plaquette morbida e piacevole con in copertina il riflesso invernale di
una finestra di Testaccio, molto simbolico: un riflesso che nel freddo di un
dicembre coglie l’attimo per un momentaneo apparire, prima della sua ultimativa
scomparsa nella bruma di stagione. Quale simbolo più calzante per delineare
l’attimo fuggente: Dum loquimur fugerit
invida aetas, direbbe il poeta. Un libretto accattivante, invitante, per
composizione, carta, quarta, alette, caratteri; insomma per un insieme che ne
costituisce un valore aggiunto. Ed è importante poter palpare un libro ben
fatto, respirarne il profumo di stampa, ascoltarne lo sfrigolio delle pagine,
spilluzzicare in qua e in là le parole, gli intenti, le innovazioni, per poi
sprofondarci anima e corpo nei suoi meandri vicissitudinali. Capirne la vita.
La storia. Perché lì c’è tutta, proprio tutta quella di un essere che pulsa,
combatte, respira, sogna, critica, ama, smania per un mondo migliore. Per una
identità assillata dai tanti perché non risolti, o dalle tante questioni del
nostro esser-ci. E che si affida, anche, al sogno, ad una rêverie che lo ospiti
lontano dalle aporie di questo vivere anomalo e inconcludente.
E
il nostro compito? quello del critico, dico? È quello di assorbire l’opera,
farla nostra da poeta additus poetae, o
artifex additus artifici, per partorirne gli epigoni, le novità, per
individuarne i significanti, i nèssi, l’ardore allusivo delle metafore, la plurivocità,
e le polisemiche significanze. Poesia su poesia. Respiro su respiro. Perché io
non credo all’oggettività, non credo alla teoria per cui fra il critico e il
testo occorra una barriera. Sfogliare le
pagine invitanti all’approfondimento, capirne i toni verbali, i rocamboleschi
azzardi semantici, andare a fondo della spiritualità dell’artista, sì!. Questo
sì!. Ma a nostra maniera. Con uno spirito personalissimo. E se il critico è
anche poeta ancora meglio. Potrà rinvigorire la lettura di un sentimento
creativo aggiunto. E una buona edizione
aiuta, sembra strano, ma è così, aiuta e fa da prodromico avvio, da antiporta
ad una lettura autoptica e profonda. E qui c’è Fiorentini, la sua arte, la sua
vita, la sua immaginazione, le sue fughe, i suoi ritorni, e tutta la sua
coscienza etico-estetica, e immaginifico-intellttiva.
Possiamo dire fin dagli
inizi che l’autore fa di tutto, ed usa ogni arma, ogni azzardo verbale in suo
possesso per abbracciare gli abbrivi emotivi che lo assediano. Abbrivi che
sentono forte il bisogno di slanciarsi oltre il limen, di concretizzarsi in corpi verbali di grande sonorità, o in
pitture di efficace resa suggestiva.
Ed usa la natura, il mondo circostante per
dare forma a questi suoi stati emotivi che sentono l’impellente bisogno di
tornare a vita: lande desolanti, l’acqua, la strada, gli alberi, le foglie autunnali, le estati secche, la serpe,
mentre l’io dell’acqua penetra la terra e si discioglie nel… morire. Tanta emozione, tanta passione, tanta
anima in questi versi. Di sicuro non poesia spersonalizzata di certi sperimentalismi che lievitano in questo nostro
mondo arruffato che rifiuta la presenza dell’autore e che va in cerca di una
misura più spaziosa, permettendo al verso di andare a capo quando vuole. Il
poeta osserva la realtà, ogni milieu che più è consono al suo sentire, al suo
modo di intendere. A dimostrazione le immagini fotografiche in bianco e in nero
che impreziosiscono e contribuiscono non poco a illuminarci sul percorso
artistico del Nostro. Immagini concrete, vere, essenziali, non certo di pastorellerie
agresti, o di arcadico ozio letterario; immagini comunque con cui l’autore
tradisce un senso di solitudine e di sperdimento sociale ed esistenziale, pur
abile nel dribblare il sentimentalismo ed esperire una controllatissima
effusività - per Contini “Pulizia dell’anima” -. E mi ha colpito, fra tutte,
quella ruota di bici sconnessa,
fuori centro, incatenata ad una inferriata che
tanto sa di abbandono e, se si vuole, di vita consumata, irrimediabilmente
consunta, in una fine melanconicamente solitaria.
E c’è l’anima del canto in
questa immagine. Di un esistere stretto in spazi da cui il poeta vorrebbe
svincolarsi; di un esistere da cui lanciarsi oltre la siepe pur cosciente dell’impossibilità
di proiettarsi oltre gli orizzonti entro cui è vincolata la nostra vicenda:
Ad una ad una le note di
questa insana sinfonia
Come sorgendo da un’altra
quiete
Si sciolgono e fluiscono lente
Fino a perdersi nei sogni
…
Io le raccolgo e le canto
Ma loro vanno via
Si perdono e ritornano, si
sfaldano e si accendono,
Muoiono e rivivono
Nel canto di una vita che
scivola e passa
E che non torna.
Senso
del fugit interea, del tempus fugit, e di tante memorie che
scivolano via nell’aria come note al vento, e che il poeta cerca di afferrare
per tradurle in un canto vitale ed armonioso, quale è il suo; in un canto in
cui la melodia è nella parola viva, cercata, lavorata, smussata, arrotondata che
Claudio riduce a vero tatuaggio dell’anima; di un cuore che vola. Insomma c’è
tutta la vita in questi versi; l’amore, il dolore, la morte, Dio, la percezione
del logorio delle cose, il sentimento di
solitudine, e del consumarsi irrimediabile dell’esistenza in una società che si
accapiglia zeppa di disvalori. La coscienza di una realtà anomala, insana,
malata, di una società liquida (Zygmund Bauman) che nel suo mutamento senza
sosta perde ogni identità e dove persino le sacre memorie non trovano più posto
per sopravvivere.
Un mondo di viandanti sperduti (Cardarelli) che hanno
smarrito il senso delle cose, in questo mondo di spersonalizzazione omologante,
dove l’io non ha più ragione di esistere
in una generalizzazione disarmante. E Fiorentini reagisce e con la sua spiccata
personalità vuole cantare la sua presenza, facendolo non in modo aleatorio e
inconsistente, non teorico o campato in aria, ma partendo dai dati di fatto, e
da immagini che sanno tanto di vita.
Partendo da una realtà cercata, indagata, rielaborata, vissuta, fattasi
immagine dove affiora anche un senso di mistero; quel dicotomico dualismo pascaliano,
quel polemos dei contrari di memoria eraclitea fra bene e male, fra Caini ed
Abeli, fra luce ed ombre di una storia che come un canto scivola, passa e non
ritorna. Un realismo spietato, non certo succubo di un egotismo solipsistico;
Fiorentini non si limita a rappresentare; il suo è un realismo lirico, zuppa la realtà
che lo circonda nell’anima per ri-darla rinnovata al foglio o alla tela con una
vis creativa di grande effetto visivo, suggestivo, simbolico. E quel che più
conta riesce a fare del suo soggettivismo un messaggio universalmente valido.
Perché nella sua storia c’è un brandello d’anima di ognuno di noi. Ed è qui il
focus dell’arte: saper traslare il nostro tracciato al di là di una visione
settoriale e estremamente soggettiva. Incauta Magia del Mentre il titolo della
silloge. Un sentimento di melanconico abbandono all’idea che tutto è futile e passeggero;
una visione che pervade il poema facendosi leitmotiv
del percorso poematico. Dum loquimur…
la vita scorre ed è difficile in questa sua precarietà scoprire la funzione della
nostra venuta; un Mentre che sa tanto
di continuità e che forse simboleggia quella perpetuità che l’autore intenderebbe
dare al suo messaggio artistico per cercar di vincere in qualche modo il potere
assoluto dell’oblio:
Fui forse un forse
Pertanto inutile
Lo
spartito si distende in quattro momenti: L’inizio
(con una poesia riportata poi in aletta), Primo
tema: Il respiro, il ritmo, e la morte; Secondo tema: L’amore e la sua favola;
Terzo tema: Gli ipocriti e Dio; Quarto tema: Rinascere.
Vita, morte, rinascita e tutto
in un climax di ascendente progressione:
dalla
morte morta che una tremante arborescenza semina contro vento,
all’illusione
di una rinata primavera:
… Poi
Sospetti e carezze, canti e
preghiere, frasi, menzogne e amore
E ancora mi illude la rinata
primavera,
dalla triste coscienza di una foglia autunnale,
al
ricominciare rivolgendo la menzogna a un altro altare;
dall’impossibilità
di un amore possibile,
…Ora più che mai vedo quanto
ho penato
Credendo l’amore possibile…
all’inutile
schiamazzo degli ipocriti
Nulla è vittima del vostro
scempio
Finché il sogno ha un suo sogno
da vivere
dal
rapporto con l’Aldilà,
In questa scalza notte
Felpate idee sorvegliano
Qualora illudermi volessi
Che ancora esiste Dio
alla
rinascita, alla speranza, alle memorie, al seme:
Perché la vita stessa non sia
eco
Di riflesso destinato a perire
Ma fiore che nasce vive e
muore
E nel frattempo è seme
e
allo splendore di pensarci amanti:
Un modo nostro di pensarci
amanti
E’ allora che appare ogni
splendore
Un’ascensione
di ampio respiro con cui l’autore ci porta ad una verità; ad un redde rationem di grande valenza umana,
travagliata, fatta di tappe da Via crucis
che conduce al sentimento più nobile che esista: l’amore. E ce lo dice quando
dissacra quegli epigoni che lo infangano. Un amore polisemico, totale,
universale, plurimo; dacché ama in primis l’arte, assegnandole il compito, il
sacrosanto compito di tramandarlo.
Di perpetrare il suo credo ai posteri; di
far di vita semina perenne. Dacché ama il Bello, lo splendore della Natura; ed
ama la vita. Sì!, la vita. Questa unica, irripetibile esperienza che contiene
il miracolo del nostro esser-ci, e ci dà la continua speranza di migliorarci e
di migliorare il mondo in cui viviamo:
Di lì con un prodigo risalire
E muovere la vita con le mie
gambe fino ad esserne vittima
Fino a fondermi in lei come io
solo posso farlo
E nascere nuovo al mondo
Morendo all’apparenza
Per non cedere uno solo dei
miei attimi
All’attesa.
Nazario Pardini
ALTRI LIBRI RICEVUTI
Claudio Fiorentini: Io parlo Jazz. Pagine. Roma. 2014. Pagg. 160. Euro 12,00
Claudio Fiorentini: Captaloona. Kairòs edizioni. Napoli. 2013. Pagg. 222. Euro 14,00
Andato a vuoto , ritento :
RispondiEliminaGrazie ad entrambi !
leopoldo attolico -