Maurizio Donte, collaboratore di Lèucade |
Quante volte le parole si rivelano
inefficaci, quante volte si disperdono nel vento, si sciolgono in lacrime
salate come il mare, e quante volte s'infrangono come i marosi sugli scogli, o
sulle erte mura del silenzio indifferente? Così la poetessa, ricorrendo
a forti immagini simboliche, ad efficaci metafore, comunica al lettore la
sua pena per il distacco di chi le era caro. Ecco, sono parole queste,
dense d'emozione, di rimpianto, dove la poesia prende il posto di quello che
non si può più dire a voce, perché quella voce, come foglie, la disperde il
vento, e non si posa più, come prima, in chi dovrebbe. Poesia davvero
intensa attraversata da brividi di sentimento nostalgico, che si ferma dinanzi
alla porta dell'altro e con educazione attende la chiamata per muovere
nuovamente le ali, e sorvolare il muro dell'incomunicabilità creata da un
dissidio, da una divergenza d'opinioni, o semplicemente dalla fine d'un amore.
Attende sì, come un fuoco acceso attende l'uomo per riscaldarlo dal freddo
della solitudine. Un canto alto, nobile, questo, dove il sentimento, la parola
si fanno corpo unico e vibrano insieme all'unisono nel chiamare, quale dolce
sirena di rimpianto, il tempo bello dell'amore e la gioventù che in dati giorni
si lega così spesso nell'immaginario di tutti, ma che invece è retaggio, e
bagaglio di viaggio per ognuno di noi.
Maurizio Donte
Il
senso delle parole
che
appartiene a te
è
un miraggio senza fine
mio
vento, mia pioggia,
mia
oscurità, accoglietemi
dentro
il tormento
io
ti accetto perduto.
Tu
ti distanzi
Tu
ti distanzi
dai
sentieri delle parole,
vagavano
per visioni di boschi
e
il tempo era in ogni fronda
convinto
degli ampi frastuoni
che
giungevano dalla terra.
Smorzate
le voci e ingoiato il batticuore
cenere
dispersa furono gli istanti,
cose
rovesciate di una città ignota.
Una
via desolata
erge
mura ciechi di case,
l’addio
ad aditi su cardini di dolore.
Il
richiamo di una dubbiosa svolta
forse
nasconde un diverso nome,
la
pena di uno sguardo che brilla
per
antiche lacrime.
Che
riecheggi il mare
Che
riecheggi il mare
a
frantumare mesti profili di mura
dove
la solitudine giace
in
rimaste sembianze.
Si
squarci il sussultare dei flutti
per
il nostro cammino,
noi
materia e vela e remo.
Un
fossile incastrato sono
senza
il tornare delle tue mani,
una
conchiglia ricolma di sabbia
che
più non suona al vento
se
in te silenzi
l’evento
delle parole.
Tu
solo hai parole nella voce illuminata
di
risacche capricciose
che
mutano in canto il mondo
ad
ogni nuova aurora.
Ricordi
Sedimenti
di memoria
strato
su strato,
il
fiume flette i salici
sfiorando
il velo d’acqua
dentro
le roste
come
sassi immoti
l’ombra
degli altri
e
tu immobile.
Dissolvenza
Oltre
le finestre
vedo
l’autunno liquefarsi
in
prolungati gemiti di pioggia
e
nel frusciare del vento
l’eco
finale della perduta estate
-
e tu non guardi
le
tormentate musiche che sento,
hanno
in cuor mio, di beltà malato,
nascenti
accenti –
e
tu non ascolti
soltanto
i rami
nudati
dal declino delle foglie
parlano,
come mesto gemito –
e
tu non parli
tu
più non sei, eppure io ti sento vivo,
nella
dissolvenza di questo mondo
di
ombre alla deriva.
Emma Mazzuca
Un grazie infinito al prof. Maurizio Donte per il bellissimo e profondo commento che ha voluto dedicare alle mie liriche suscitando in me viva emozione. Nuovamente ringrazio unitamente al grande prof. Nazario che non smetto mai di ammirare e di stimare per il suo valore di uomo e poeta.
RispondiEliminaEmma Mazzuca
Per amore di verità lo devo dire: sono solo un appassionato di poesia con un diploma universitario di tecnico di laboratorio biomedico e non un professore, ma sono lieto che il mio modesto commento le sia piaciuto, Emma. Grazie
RispondiEliminaMaurizio Donte
Per amore di verità lo devo dire: sono solo un appassionato di poesia con un diploma universitario di tecnico di laboratorio biomedico e non un professore, ma sono lieto che il mio modesto commento le sia piaciuto, Emma. Grazie
RispondiEliminaMaurizio Donte