giovedì 22 dicembre 2016

FRANCO CAMPEGIANI SU "IL VOLTO DELLA PRIMAVERA" DI M. SOLARO



Presentato all'Istituto Neurotraumatologico di Grottaferrata
Il volto della primavera, di Marco Solaro (Enoteca Letteraria Edizioni)
(Riferimenti nel Blog, sabato 17 dicembre 2016)


Franco Campegiani,
collaboratore di Lèucade

Mentre leggevo questo libro di Marco Solaro, mi è venuto alla mente il noto grafico della Gestalt psicolgy dove campeggia, al centro, la figura di una coppa o di un vaso, mentre lateralmente, a destra e a sinistra, compare il profilo di due volti umani affrontati. Il disegno è a bianco e nero, e, a seconda che il nostro sguardo sia catturato dall'uno o dall'altro colore, noi annulliamo l'una o l'altra delle due figure, che pure sono compresenti nel quadro. La domanda è: esistono due verità? La logica aristotelica, lo sappiamo, esclude tale possibilità, perché "o è questo o è quello". Per i sofisti, al contrario, la verità unica non esiste e tutto è doxa, opinione. C'è tuttavia una terza possibilità, quella socratica del conosci te stesso, ovvero la tua identità più profonda, la tua essenza, secondo cui la verità è universale e individuale nello stesso tempo. E' unica, ma ha mille volti diversi. Ed è esattamente ciò che vediamo nel grafico in questione.
"Il volto della primavera" di Marco Solaro è una lunga e vivace parabola tesa a mostrare l'importanza dell'autenticità nella comunicazione. Il tema della verità è fondamentale: una verità con se stessi e non una verità astrattamente universale. Non c'è nulla di più concreto, particolare, individuale, di ciò che è universale, anche se oggi si tende a pensare all'universale in maniera astratta, globalizzata come suol dirsi, coartando le autonomie, non soltanto dei popoli, ma innanzitutto dei singoli. Per essere autentico, invece, è necessario che un linguaggio esprima le reali convinzioni di chi lo usa, e ciò non fa che ricondurlo nell'alveo originario da cui sgorga: quello interiore. Quanto questo sia rivoluzionario in una società che ha trasferito le relazioni tutte sul piano superficiale ed esteriore del vivere (le cosiddette comunicazioni di massa), è facile immaginare. Ed è quanto affiora di riflesso, se pure non esplicitamente dichiarato, in questo lavoro di Marco Solaro.
Vorrei tuttavia sgombrare il campo dai pericoli della filosofia. Il libro che stiamo presentando ha orizzonti squisitamente letterari e la letteratura ha la caratteristica di essere viva, sanguigna, carnale addirittura. Non è mai cerebrale o astratta. La filosofia c'è, ovviamente, ma è implicita, così come è implicita in ogni  azione della vita. In fondo si è filosofi senza sapere di esserlo, secondo una innata e personale sapienza o visione del mondo. Coloro che fanno esercizio esplicito di filosofia, magari per esigenze professionali, non dovrebbero mai smarrire questa sintonia con la vita. Ed è emblematica, a tal proposito, nel libro, la figura del Professore, la cui carica di umanità non viene sminuita, bensì accentuata dai libri di cui si nutre. Egli insegna filosofia e sa bene - è lui stesso a dirlo - che "partire dagli esempi pratici rende più comprensibili i concetti più complessi".
Il suo intellettualismo, del resto, è ben bilanciato nel testo dalla sagacia popolana di altri protagonisti, come ad esempio il salumiere, filosofo d'istinto. Questi, scrive l'autore, ha la fortuna di saper risolvere un problema complesso senza pensare che c'è un problema complesso da risolvere. Per non parlare poi di sua moglie, che, di fronte all'eloquenza ciceroniana del professore, pensa tra sé e sé a quanto sia fortunata di poter fare a meno di quella filosofia. Lo stesso non vedente, primo attore di questo intreccio narrativo, si rivela gradatamente per essere un uomo coltissimo, un conoscitore raffinato di letteratura. La sua non è cecità di nascita e in passato egli ha letto moltissimo, ma la sua odierna e precaria condizione esistenziale gli impedisce ogni deriva intellettualistica, imponendogli di stare con i piedi per terra.
Ed è proprio lì, a terra, che lo troviamo a inizio racconto. Le quinte si aprono con lui seduto sul gradino di un marciapiede, un cappello poggiato sui sampietrini per l'elemosina e un cartello su cui è scritto: "Sono cieco, aiutatemi per favore". Il caso vuole che passi di lì un pubblicitario, il quale, versando una moneta, s'accorge che nel cappello ci sono pochi spiccioli. Allora gira il cartello e scrive un'altra frase: "Oggi è primavera e io non posso vederla". Non rivela il trucco all'interessato, pur informandolo che ha riscritto la frase in un altro modo. Ebbene, a fine giornata il cieco si avvede di avere raccolto un bottino incredibile e se ne compiace, ma tornando a casa viene aggredito e derubato da un malvivente. Questo il fatto, scarno, intorno al quale, con pochissimi personaggi, credo sei in tutto (alcuni dei quali semplici comparse), si costruisce uno straordinario ordito di riflessioni sul tema del linguaggio.
Il pubblicitario riscrive la frase in modo differente, insensibile al problema di autenticità che ogni linguaggio pone, o dovrebbe porre. Se interpellato, infatti, il non vedente non avrebbe mai approvato quella frase, per il semplice motivo che lui, pur non vedendo la primavera, è in grado di riconoscerla con gli altri sensi, ma soprattutto di sentirla e amarla interiormente. Ne segue che la frase del pubblicitario è mistificatoria pur tendendo a favorirlo e pur sembrando innocua da un punto di vista superficiale, oggettivo. Sta qui "il trucco delle parole" di cui parla Maria Rizzi in prefazione, "il loro potere tanto simile a una truffa". L'autore vuole dirci che le parole possono avere conseguenze imprevedibili,  gratificando a volte oltre il dovuto, come nel caso del bottino insperato, ma altre volte nuocendo, come nell'aggressione subita dal cieco. 
Sulla responsabilità del comunicare si sorvola troppo allegramente. Bisogna cercare la verità al di là delle apparenze, nelle profondità dell'anima. Può accadere infatti che ci si intenda anche senza parlare, mentre spesso accade che le parole siano litigiose e dividano irreparabilmente. A livello superficiale i contrasti separano, ed è per questo che nel disegno della Gestalt noi vediamo balenare o l'una o l'altra delle due figure, ma in profondità accade qualcosa di straordinario: le divergenze si armonizzano, pur non scomparendo e restando anzi vitali. Il non vedente in fondo è una metafora. Azzerati i bagliori del mondo, egli può vedere con gli occhi dell'anima, ed è per questo che gli antichi - si pensi a Omero - assegnavano al cieco connotazioni sacrali. Egli non vede, ma è paradossalmente un veggente, uno che vede nel buio del mistero, dove gli opposti convergono tra di loro.
Il mistero è duale, è fatto di luci e tenebre, di capovolgimenti e passaggi, di promesse e di attese. Il mistero è quanto di più realistico, e la realtà è quanto di più misterioso, proprio per questa capacità di tenere unite tutte le cose. Non c'è primavera senza inverno, non c'è notte senza giorno, non c'è maschile senza femminile, eccetera. Fuori e dentro, dentro e fuori. Morte e vita fuse in unico respiro. Scrive Marco Solaro: "Gli uccelli quasi all'unisono e improvvisamente preannunciano la sera con timore e riverenza cessando di cantare, per riaccendersi gioiosi al mattino, quasi a celebrare il miracolo della luce di una nuova vita. Chissà se quegli uccelli ogni sera si apprestavano a morire per rinascere il mattino seguente, si chiedeva spesso il non vedente". Poi la conferma: "Ora ne era sicuro, era proprio come pensava, ogni sera gli uccelli si apprestano a morire per rinascere la mattina seguente". Ogni fine muore nell'inizio ed ogni inizio sorge dalla fine.
L'alba e il tramonto sono l'uno nell'altra. Sono onde che si rincorrono, che vanno e vengono come la risacca del mare. E allora possiamo comprendere il grafico da cui siamo partiti, quello della Gestalt, dove tutto oscilla vertiginosamente, ma dove la turbolenza è fonte di armonia. Forti e densi sono i richiami. Viene alla mente non soltanto l'eraclitea armonia dei contrari, ma anche il Giano bifronte delle arcaiche popolazioni italiche, la cui figura somiglia eccezionalmente al grafico considerato. Per non parlare del simbolo cinese del Tao, con la compresenza dello Yin e dello Yang, che sembra addirittura disegnato dalla stessa mano. Si pensi inoltre ai miti greco-orientali della morte-rinascita, si pensi all'Araba fenice. Ma soprattutto si pensi alle moderne teorie olistiche, per non parlare della logica quantistica, particellare, totalmente spiazzante, dove non è più possibile parlare di cose, ma solo di relazioni.
E' in quest'onda ancestrale e modernissima che si innesta il volto della primavera di Marco Solaro. Una visione labirintica e al tempo stesso serena della vita, capace di vedere l'Unità nel Molteplice e la Molteplicità nell'Uno. Non a caso, sul finire del racconto, il non vedente tira in ballo Borges, figura fondamentale della letteratura del nostro tempo, afflitto anche lui - guarda caso - da cecità progressiva e noto per la sua poetica antischematica, ancorata al mistero, consapevole dell'impossibilità di afferrare certezze definitive. Una poetica dello smarrimento, dove tutto è sfuggente ed ambiguo, mobile ed inquieto, ma dove tutto è estremamente stabile e armonioso in virtù di questa inquietudine creativa. Tuffarsi nel mistero non è perdersi, ma è ritrovarsi nelle fonti archetipe della patria interiore.
I versi finali dell'Elogio dell'ombra, opera senile di Borges, recitati dal non vedente proprio sul finire della parabola, suonano così:  "Dovrebbe impaurirmi tutto questo / e invece è una dolcezza, un ritornare. / Posso infine scordare. Giungo al centro, / alla mia chiave, all'algebra, / al mio specchio. / Presto saprò chi sono". Il senso più compiuto della propria identità giunge nel momento altamente creativo del vuoto mentale. Più si abbassano le difese dell'ego, più si fa spazio all'Altro che vive in noi, all'essere alare che costituisce la nostra più vera e profonda identità, la nostra essenza universale. "Conosci te stesso" dice Socrate. Gli fa eco Rimbaud, dicendo: “Je est un autre”, “Io è un altro”. Non "Io sono un altro", ma "Io è un altro". Identità come alterità, il come Altro da Sé. E viceversa.
Tuffandosi in questo insondabile mistero, l'uomo non smarrisce se stesso, ma ritrova se stesso, o meglio l'allineamento con se stesso e dunque la concordanza universale. Dice allora il cieco: "la mia identità, il mio volto, coincide con il volto, con l'identità dell'universo, che a sua volta contiene tutti i volti". Mi sovviene la nota terzina dantesca, dove, sul finire del XXXIII canto del Paradiso, l'autore del viaggio ultramondano riceve la visione divina. Egli scrive: "Dentro di sé, del suo colore stesso / mi parve pinta de la nostra effigie / perché 'l mio viso in lei tutto era messo". La coscienza profonda dell'uomo allineata con quella dell'universo intero. Siamo dunque tessere di un immenso mosaico. Ecco il messaggio costruttivo e salvifico del Volto della primavera.
Un messaggio che invita gli uomini ad incontrarsi al di là delle differenze, anzi in virtù delle stesse differenze, necessarie al progetto di cooperazione universale. "L'accordo è nel disaccordo stesso", diceva Eraclito: il che rimane comprensibile solo accettando l'unità degli opposti, l'armonia dei contrari. Teoria che inevitabilmente conduce alla complementarità del bene e del male. Dice il non vedente sul finire del libro: "Se l'universo contiene tutto, contiene anche tutto il bene e tutto il male... E se ogni volto contiene tutto l'universo, allora ogni uomo contiene tutto il bene e tutto il male dell'universo". Caino e Abele sono inseparabili perché sono una sola persona. La discordia e la concordia è con se stessi, prima, molto prima che con altre persone.                                                                                                
Franco Campegiani 




5 commenti:

  1. Vorrei sottolineare la notevole qualità di questo e di altri scritti di Franco Campegiani: meditati, chiari, argomentati, lineari, sintetici, lucidi, corredati di opportuni riferimenti.
    È così che dev’essere la scrittura in prosa: vòlta a una diretta essenzialità, senza inutili torsioni e aberrazioni; data alla ricerca, allo scavo e alla resa della verità (o di ciò che riteniamo essere la verità).
    Questo fa -a mio parere- Franco, al quale rivolgo i miei complimenti.
    Pasquale Balestriere



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  2. Ringrazio Pasquale per questo commento lusinghiero. E' molto gratificante sapere che ingegni come il suo condividono questo modo di scrivere e pensare.
    Franco Campegiani

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  3. Conosco molto bene il testo di Marco Solaro e posso dire, senz'ombra di lusinga, che ho succhiato come linfa vitale la recensione di Franco. Egli ha letto le 75 pagine, ha saputo coglierne il valore di 'parabola' e ha voluto dargli i connotati di un vessillo: il vessillo che mira ad annullare le differenze, a rendere 'l'identità come alterità'. E' sceso nella profondità del non vedente,che 'azzerando i bagliori del mondo può vedere con gli occhi dell'anima'... chissà perchè il mio pensiero corre a Omero, ma anche a mio Padre, che colse molte verità dell'esistenza quando perse la vista... Un'analisi non solo filosofica, ma letteraria nel senso più autentico, genuino e 'carnale', per usare il termine adottato da Franco, che rende altissimo omaggio all'Opera di Marco Solaro, e consente a noi lettori di seguire nuovi, magnifici sentieri di conoscenza. La chiusa, con i rimandi a Eraclito, è in perfetta comunione con il testo del nostro Autore: e ogni volto contiene tutto l'universo, allora ogni uomo contiene tutto il bene e tutto il male dell'universo" se ogni volto contiene tutto l'universo, allora ogni uomo contiene tutto il bene e tutto il male dell'universo". Ho presentato Marco prima di Franco, ma so, con la giusta umiltà, che solo un uomo della levatura di quest'Ultimo poteva dare senso pieno al suo libro. E lo ringrazio abbracciandolo!
    Maria Rizzi

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  4. Ti sono immensamente grato, Maria, per le parole che usi nei miei confronti, ma io sono ancora più grato a te per avermi fatto conoscere un autore di così enormi potenzialità, oltre che un uomo umile, gentile e straordinariamente squisito, come Marco Solaro. E' conoscendo lui ed il suo scritto, ma anche leggendo la tua alta e toccante prefazione, che ho potuto dire le cose che ho detto.
    Franco Campegiani

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  5. Come autore del libro sono orgoglioso per le bellissime parole spese per me da Maria e da Franco, ma soprattutto sono commosso per essere stato compreso, spesso non è facile e quando succede è fonte di grande sollievo. Sono soprattutto orgoglioso e fiero di aver potuto conoscere ( Maria da più tempo e Franco da meno), due persone speciali!
    Ho avuto la possibilità di potermi rispecchiare in due "volti" che hanno contribuito a farmi vedere in qualche modo, più nitidamente, il mio. Per questa grandissima opportunità, vi ringrazio infinitamente e di cuore!
    Marco

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