lunedì 19 dicembre 2016

N. PARDINI LEGGE "L'ANIMA IMMORTALE" DI M. DONTE


In un alternarsi melodico di settenari e endecasillabi, quasi gioco ossimorico fra scioltezza e fluidità del canto e inquietudine dell’uomo, si dipana una visione fortemente terrena del poeta sul mistero della vita; sul  suo spazio precario e fragile; sul mortale orizzonte umano, povero per una vista miope, consapevole  di non poter allungare  il tiro oltre una vicenda fatta di quesiti irrisolvibili. D’altronde è la  natura che, col suo perfetto equilibrio, ci dice quanto sia problematico il nostro rapporto coi suoi colori ed i suoi movimenti: “Si muove il vento e un velo tra le nuvole/ nasconde il senso e confonde ogni idea/ sui motivi del rapido mutare/ delle stagioni… Poco/ o nulla, l'uomo può/ di fronte all'imprevedibilità/ del suo tempo futuro”. Ed  è di fronte al gioco dell’esistere, al misero del vivere, alla imperscrutabilità del futuro, all’imprevedibilità della morte che l’umano si trova a disagio: un fuscello in balia dei venti che gli arrivano in faccia da vaghe lontananze; parte di un insieme destinato a disfarsi al primo autunno. 
La ricerca dell’immortalità dell’anima è illogica, non di certo a portata di uomini senza fede. Da qui gli onirici voli verso mondi di utopica misura dove, spesso, l’uomo trova il suo riposo, la sua identità: in un’isola di pacifici richiami, di trionfi naturali, di amorosi sensi, di volti perduti e ritrovati. Ma non sempre è possibile, dacché è più facile misurarci con una realtà che la natura ci sbatte quotidianamente in faccia: “Siamo/polvere, e vanità;/ nient'altro è l'affidare alla parola/ un ruolo che davvero non ci serve…”. Altro dobbiamo cercare, ed altra finalità assegnare al verbo: “Credo che ci sia altro da cercare:/ al di là di quel limite/ c'è l'anima immortale”. Sì, volgere lo sguardo al di là del guado; chissà che non si trovi la chiave per aprire la porta della stanza buia del mistero. Cercarla è già parte della salvezza.

Nazario Pardini




Maurizio Donte,
collaboratore di Lèucade

L'anima immortale

Sotto l'immenso cielo
a cui attonito volgo
gli occhi ancora a cercare chi non vedo,
trovo il silenzio, e pace chiedo al mondo
perennemente in guerra.
Dunque questa è la vita, orrore al nascere
mortali, infame passo
che stinge nel morire.
Non so se oltre la forza che scuote
la terra, verrà altro
a portare giustizia
al viver nostro che è così precario
e fragile e mortale.
Si muove il vento e un velo tra le nuvole
nasconde il senso e confonde ogni idea
sui motivi del rapido mutare
delle stagioni. Non di qui, non oltre
vedrai, fa dire l'orizzonte steso
come linea a rimarcare il limite
di quel che è dato di capire. Poco
o nulla, l'uomo può 
di fronte all'imprevedibilità
del suo tempo futuro.
Vedo soltanto il termine
della mia vita e chiedo 
alla notte il perché delle sue tenebre
immense e a quelle luci
che, vacillando alte, fanno velo
al vuoto così grande 
che su tutti noi incombe eternamente,
chiedo motivo della vanità
dell'umano pensarsi 
quale vivente, quando non è il nostro
altro che un miserevole e sì piccolo
batter di ciglia confrontato al cosmo
che si muove per eoni e non finisce
che nel ritrarsi in sé della materia
primordiale. Che vale
dunque per noi rincorrere la fama?
Risibile lavoro quello svolto
qui sulla nostra terra.
Ad altro chiama in noi la volontà,
ché oltre la linea dell'infinito
si tende ogni pensiero,
nella fallace ipotesi
che questo nostro scrivere
serva davvero a renderci immortali,
qui, a che ci serve? Se passato meno
di qualche anno, o di secoli,
tutto decade, e polvere
resta di noi, nel superbo tenerci
meglio d'ogni altro? Siamo
polvere, e vanità;
nient'altro è l'affidare alla parola
un ruolo che davvero non ci serve.
Credo che ci sia altro da cercare:
al di là di quel limite
c'è l'anima immortale.

Maurizio Donte

Buone feste


3 commenti:

  1. "In un alternarsi melodico di settenari e endecasillabi, quasi gioco ossimorico fra scioltezza e fluidità del canto e inquietudine dell’uomo". Concordo pienamente con Pardini, che scolpisce in tal modo le valenze di questa poesia pensosa, malinconica e direi anche ribelle di Maurizio Donte. Ribelle quando si chiede: "...Che vale / dunque per noi rincorrere la fama?". A che serve cercare la gloria, come fanno risibilmente i poeti" "... fallace ipotesi che questo nostro scrivere / serva davvero a renderci immortali". L'immortalità è altrove, non sulla terra, dove tutto si riduce a polvere. Un'autocritica salvifica e severa, che dovrebbe condurre, e senz'altro conduce, a riflettere su un valore diverso da assegnare alla scrittura, così come ad ogni altra umana attività.
    Franco Campegiani

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  2. Grazie, Franco, di questo suo commento e grazie al professor Pardini. A tutti, Buon Natale

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  3. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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