Sandro Angelucci, collaboratore di Lèucade |
VIVERE IN BIANCO E NERO
PER VEDERE IL MONDO A COLORI
Guardate la copertina del libro che
presentiamo questa sera: vi campeggia l’immagine di un macaone. Quanti, tra
noi, almeno una volta, non sono corsi da bambini dietro le innumerevoli volute
del variopinto e leggiadro lepidottero? Forse nemmeno uno. Ci attirava
quell’eleganza, quella levità ma soprattutto quella miscellanea di vivacissimi
colori.
Bene: nella prima del libro di Paolo, la
figura è in bianco e nero; per l’esattezza, un’ala bianca si staglia sullo
sfondo nero e viceversa succede contiguamente alla stessa. Il contrasto nulla
toglie all’attrattiva della quale ho appena parlato, anzi ne aumenta la
seduzione.
Per intenderlo compiutamente bisogna
rifarsi al titolo, Il Buio e la Farfalla,
che identifica poi le due parti in cui la raccolta è suddivisa. In ordine di
successione: “il Buio è un viaggio nelle asperità e nelle contraddizioni della
nostra storia in cui (il poeta) rievoca il dramma della Prima guerra mondiale,
rende omaggio alla lotta partigiana, denuncia la perdita di valori e approda ai
giorni nostri soffermandosi sulle ingiustizie della società e schierandosi
dalla parte dei più umili e degli indifesi”; “la Farfalla apre all’intimismo
(senza cadere nelle trappole degli ‘ismi’) in una dimensione temporale sospesa,
che perde il dato concreto e lo trasfigura nella dimensione lirica e
a-temporale. La poesia predilige un tono più pacato e riflessivo […] Fin
nell’approccio di alcune figure femminili, viatico per un’elaborazione
personale della poetica degli affetti”.
Non è mia abitudine prolungarmi nelle
citazioni; ho ritenuto opportuno tuttavia farlo, nella fattispecie, sia perché
trovo molto appropriato il discorso riportato in bandella sia perché lo stesso
mi offre il destro per riallacciarmi all’incipit del mio intervento. Sostenevo,
appunto, che quelle ali, pur prive delle tinte sfavillanti, di cui in natura
sono dotate, affascinano ancora di più in quanto spingono a non fermarsi alle
apparenze, a cogliere l’essenza di quelle luminescenti pigmentazioni che tanto
incuriosivano la fantasia del bambino che era ed è in noi. Lasciatemi dire che
questa presentazione perderebbe gran parte del suo significato se non fossimo
convinti (autore compreso) che penetrare nell’anima della poesia non può
realizzarsi altrimenti che vedendo le cose ‘in bianco e nero’: soltanto così, apprezzarne
ogni colore diviene davvero possibile.
Non nel complicare ciò che è semplice ma
nel semplificare ciò che è complesso sta il segreto.
E Stefanini ci riesce entrando umilmente
in confidenza con se stesso, registrando in queste pagine le rivelazioni più
intime della propria musa. Ecco perché l’effigie aiuta; favorisce la visione e
la corretta comprensione sia delle tenebre che della luce. L’ala nera della
farfalla simboleggia il Buio, ossia quel mannello di poesie con le quali prende
vita la raccolta. Si tratta di testi che affondano il dito nella ferita sempre
aperta e sanguinante, non disdegnando di trasferirsi dall’amara ironia alla
altrettanto pungente e dolorosa presa in carico degli errori e delle malefatte.
Da Accoglienza:
“Profugo, vien qui che ti raccatto / non fa servizio a domicilio / il
ristorante Italia / devi venire qui / lasciar la casa, il campo all’aggressore
/ devi morire in mare se va male / farti spogliar di tutto se va bene… / Portare
aiuto a te nel tuo paese? / No, c’è la guerra, siamo pacifisti / trova un
accordo…unisci le fazioni… / stendi un tappeto blu…e forse l’ONU…”, dove il
sarcasmo è un pugno nello stomaco di tutto l’Occidente; a Lungo (nome di battaglia di Sergio Stefanini), il partigiano che
viene ringraziato per “non aver fuggito / gli orrori della guerra”, “per quella
libertà ormai scontata / tirata ovunque a coprir le vergogne”, che ha lo stesso
nome del cagnolino “portato dall’inferno” che un giorno morse Paolo
attaccandogli un po’ di quella rabbia, di quell’indignazione; alla chiusa
dell’originale lirica dedicata a Salgado: “Con te ovunque ultimo mi feci / fra
gli ultimi del mondo, / quelli senza colori addosso, / quelli dell’impietoso
bianco e nero”, che, quasi incredibilmente, conferma la necessità di farsi
piccoli per contenere l’incommensurabile, di non vivere a colori (oggi sarebbe
meglio dire in HD) per aggrapparsi a quelle ali.
E a proposito di ali, spostiamo
l’attenzione sull’ala bianca, emblema della seconda parte della silloge: quella
che si distende nel lirismo e trova consolazione nell’amore in tutte le sue
manifestazioni, foriere di aspettative per un futuro migliore e più sano.
Così, ci vengono incontro versi
armoniosi, che intendono contrapporsi ai precedenti sfidandoli sul piano della
tenerezza piuttosto che del disprezzo, su quello dell’accoglienza e non
dell’aggressività; in sintesi: sulla sincerità e non sulla menzogna.
C’è una poesia – tra le appartenenti alla
sezione – che riassume quanto poc’anzi asserito con una chiarezza ed una
semplicità disarmanti. A costo di esagerare (o essere ripetitivo) voglio darne
lettura integrale (forse nessun’altra composizione rispecchia tanto fedelmente
l’anima dell’autore): “Fra tutte le cose / già scritte per te / e dette e
pensate / mi manca qualcosa… / Qualcosa che dica / insieme che t’amo / ma t’ama
anche il mare / il cielo ed il prato / il fiume e la terra / che calchi
discreta / con piede leggero, / che dica che l’aria / che scende dal monte / ti
spettina e t’ama. / Allora ti dico / qualcosa di nuovo / d’antico e bambino /
ti dico sei bella, / al mondo sei bella.”.
Propongo di riflettere sui versi
conclusivi e di considerarli un’epifania: pensiamoci bene: il poeta è alla
ricerca di parole assolute, che sappiano dire più di quanto è nelle sue stesse
possibilità; e alla fine le trova, le incontra dove non possono che abitare.
Sono parole antiche e bambine, le uniche davvero nuove, davvero diverse: le
sole capaci di contenere, di comprendere (anche in senso intellettivo) l’amore
universale. Sono queste risorse le forze che vengono messe in campo nelle
liriche fondanti la frazione finale del libro: ricorrendo alla genuinità, Paolo
si oppone all’artificio, camminando lungo sentieri familiari evita i campi
minati, raccogliendo erbe salutari tenta di non farsi avvelenare.
Non resisto, non posso fare a meno di
citare ancora (fortuna che ho detto che non è mia abitudine: perdonatemi);
casca proprio a pennello Tutti i colori
del si (pag. 45): “Quando segnavano i mesi l’età / una parola sola sulle
labbra: ‘si’ che risuonava ‘ti’ tra i denti nuovi. // …. // Ora sei grande (due
anni fra poco) / ora fai lunghi discorsi… /…. / sai dire ‘stop’, sai dire
‘basta’ e ‘No’ // Ma il linguaggio del ‘si’ / con tutti i suoi colori / non lo
scordare mai piccina mia. / Ad ogni pié sospinto servirà.”.
Molto rodariano qui Stefanini ma, anche,
impensierito, preoccupato per il futuro dell’Umanità. In ogni caso questa è la
sua replica: una reazione ferma, risoluta alla barbarie; che non consiste nel
mero e sterile antagonismo al male ma nella vera condanna dello stesso,
imprescindibile – per essere costruttiva – dalla piena consapevolezza della sua
presenza nel mondo.
Tengo moltissimo al concetto, e
desidererei fosse correttamente interpretato; non soltanto per ciò che concerne
il mio punto di vista ma perché possa giovare all’approfondimento – mi auguro –
del Buio e la Farfalla. Si rende
ancora necessario il ricorso all’immagine di copertina: questa volta, però,
concentrandoci sugli sfondi. Come diversamente potrebbero risaltare queste ali
se non mettendole a contrasto? Una constatazione semplice, che affonda le
radici nel Tao: un archetipo sempre attuale. La raccolta si fa notare per
coerenza ed organicità: se non ci fosse interazione, il Buio sarebbe destinato
a restare tale e la Farfalla non riuscirebbe a volare.
La bellezza del libro si sintetizza in
una sola parola: speranza; perché nasce dal bisogno di armonizzare non da
quello di rivaleggiare. Dato, questo, confortato anche sul piano formale – e
concludo – dalle lusinghiere parole di Roberto Pazzi: “…un gioco efficace di
allitterazioni e assonanze che riconduce il verso alle antiche affinità originarie
col canto.”. Sono d’accordo: è voglia di cantare, la
poesia di Paolo Stefanini.
Sandro
Angelucci
Paolo
Stefanini. Il
Buio e la Farfalla. Giovane Holden Ed.
Viareggio. 2016.
Pp. 56. € 12,00
Un poeta autentico, Paolo Stefanini. Un poeta silenzioso, straordinariamente ricco di "humanitas", di "pietas", di ironia, di sdegno civico... e di tanto altro. Ero presente (anche in qualità di relatore) all'incontro svoltosi in Roma, presso l'Enoteca letteraria di Via Quattro Fontane, e sono vivamente grato a Sandro per avermi dato l'opportunità di conoscerlo. Sono rimasto colpito e attratto da quella "reazione ferma, risoluta alla barbarie" di cui il critico parla, "che non consiste nel mero e sterile antagonismo al male ma nella vera condanna dello stesso... dalla piena consapevolezza della sua presenza nel mondo".
RispondiEliminaFranco Campegiani
Vorrei tanto conoscere il titolo della splendida dichiarazione d’amore che Paolo Stefanini riserva alla sua donna. Sono certa che aggiungerebbe bellezza alla bellezza. Leggo e la rileggo la poesia e non, come a volte accade, per riuscire a cogliere il senso di ogni parola.
RispondiEliminaQui, grazie alla limpidezza del verso e alla semplicità (almeno apparente e di certo voluta) del contenuto, la comprensione non può che essere immediata. Ho usato il termine apparente, riferito alla semplicità del contenuto, perché in realtà, questa “forma d’amore” non è così scontata e facile.
Ecco l’amore vero, sano e salvifico perché totalmente svincolato dall'idea, ormai spaventosamente diffusa del possesso. L’amore da cui si può ripartire, con speranza. Ecco perché leggo e rileggo con meraviglia questo canto (quanta melodia nei versi!) a più voci, quella del mare, del “cielo ed il prato”, del “fiume e la terra” e dell’aria dal monte a dire la bellezza dell’amore assoluto e universale. Lo stesso amore che il poeta nutre verso la magnificenza della natura.
E Sandro Angelucci non poteva non cogliere l’autenticità e il valore di questi versi. Mi complimento anche con lui per questa sua convincente presentazione che ancora una volta è poesia nella poesia. Trovo acuto e originale il percorso del suo pensiero costruito partendo dalla bellissima immagine di copertina, dal bianco e nero delle ali, dell’esistenza piena, in bilico armonico tra opposti.
Annalisa Rodeghiero
Chi conosce Paolo Stefanini non può che riscontrare quanto gli somigli ciò che scrive e come lo scrive. Io che mi considero, e ne vado orgogliosa, un'amica del Poeta , posso facilmente riconoscere e apprezzare nella silloge "Il buio e la farfalla" tutto il pensiero, la forza del dire senza ritrosie o infingimenti, la figura di uomo leale e sincero , dotato di spirito e gentilezza, di cultura e di humour. La sua poesia, priva di inutili orpelli o tecnicismi vari, risulta sempre molto ricca di contenuti.
RispondiEliminaAmmirevole ed esauriente anche la presentazione del critico.
Edda Conte.
Ed è stato a Roma Paolo Stefanini, ospite dell'Enoteca Letteraria, presentato da i nostri due colossi: Franco Campegiani e Sandro Angelucciì. Lo hanno conosciuto e apprezzato in tanti e io ho avuto la gioia di vedere le foto, di ascoltare i racconti e di leggere questa recensione commovente dell'amico e ottimo critico letterario Sandro. Mi ha condotto attraverso la poetica di Paolo, nel suo viaggio verso i colori, verso una vita che restituisca i valori genuini e dignitosi. La lettura dei versi mi ha inchiodata. Ero in ogni parola, nelle immagini di raso di questo Artista puro, che scrive per amore. Ero nei suoi ricordi, che sentivo miei, di ogni mio affetto... che avvertivo universali e salvifici. Lo ringrazio in ritardo. E spero di aver modo di incontrarlo presto. Grazie per tanta immensa umiltà. E grazie ai miei amici che hanno dato, come sempre, rilievo alla sua Arte!
RispondiEliminaMaria Rizzi