Marisa Cossu, collaboratrice di Lèucade |
Per un progetto di “nuova” poesia
“Rifare l’uomo, questo il problema capitale.
Per quelli che credono alla poesia come a un gioco
letterario, che considerano ancora il poeta un estraneo alla vita, uno che sale
di notte le scale della sua torre per speculare il cosmo, diciamo che il tempo
della speculazione è finito. Rifare l’uomo, questo è l’impegno”.
(Salvatore Quasimodo)
Chi sono i poeti? Che cosa è la Poesia?
A che cosa serve la Poesia?
Abbiamo bisogno della Poesia nell’era
tecnologica?
Tali domande non possono trovare
risposta se non dalla definizione di “poesia” nel cui ambito si prospettino sia
la figura, il ruolo e la funzione dei poeti, sia le basi di una “nuova” poesia. Essa deve essere ripensata
in una prospettiva etica capace di sconfiggere la solitudine e
l’incomunicabilità dell’era tecnologica. La poesia deve quindi esplicare una
funzione comunicativa forte ed empatica fuori da schemi precostituiti, ma
strettamente collegata alla tradizione letteraria che i poeti hanno lasciato
all’umanità come segno spirituale, forza della parola e fatto estetico. Molti
critici e poeti hanno dedicato alla poesia affascinanti attribuzioni: atto di
pace, corrimano cui appoggiarsi, atto d’amore, faro, etc.; ma da qualsiasi
angolo la si guardi la poesia resta centrale nella vita umana, anzi ne
costituisce il cuore. Ninnj Di Stefano Busà dice che la poesia “origina dal complesso ingranaggio
cuore-mente”, affermazione che spiega le basi neurobiologiche del substrato
in cui nasce il fatto poetico. La neuro-estetica e le neuroscienze, fissano un
rapporto cervello-psiche ed opera d’arte ora apprezzabile e misurabile mediante
indagini ottenute con strumenti tecnologici sempre più precisi (tac, pec,
etc.). Tali indagini registrano l’attivazione delle zone del cervello deputate
a segnalare le emozioni; infatti, posti di fronte ad un’opera d’arte, si
attivano nel fruitore, zone del cervello in cui i neuroni specchio consentono
di stabilire quali “sintomi” siano costanti in questa relazione. Certo siamo
nel campo di una ricerca avanzata; ma lo stesso Kandisnsky, in “Lo spirituale
nell’Arte”, afferma che “l’artista è il miglior neurologo di se
stesso”. Le risposte alle domande iniziali di questa riflessione, ricercate
da critici e poeti, sia pure in un lavoro che inizia ad essere
interdisciplinare tra scienziati ed
artisti, sono tuttavia vaghe e talvolta confuse: nessuno sa che cos’è la poesia
e, di conseguenza, è quasi impossibile stabilire il ruolo dei poeti, il loro compito.
Dal momento che si riconoscono alla tradizione letteraria i fondamenti e il
lascito incommensurabile dei nostri predecessori, su tale solco è necessario
muoversi per innovare e costruire originali progetti di poesia. Parlo di
progettualità più che di un dannoso correntismo (o manierismo) che finirebbe
per svuotare di senso i pensieri, le parole, le emozioni, cioè i contenuti
cognitivi e spirituali da cui origina la poesia. Spesso leggiamo elenchi di
parole ad effetto in composizioni vuote di comunicazione ed empatia; altre
volte gli autori compongono seguendo i rigidi schemi della metrica
tradizionale, perdendo di vista l’onda delle emozioni, il canto che fluisce
liberamente dall’interiorità; altre volte ancora si cade in un simbolismo
accentuato che non può essere considerato metafora o in un realismo da lista
della spesa, un frammentismo opportunistico. La poesia può essere anche in
tutte queste manifestazioni, così come si ritiene che essa, la bellezza,
l’amore, siano il cuore pulsante della vita; tuttavia, cresce in maniera
esponenziale la produzione poetica in un mondo editoriale consumistico e poco
attento: sui social imperversano poeti
ed autori di ogni tipologia; in modo inversamente proporzionale, scarseggia la
qualità delle proposte concettualmente e stilisticamente fondate. Scrive Paul
Valéry; “il mercato universale ha
prodotto oggi un’arte più ottusa e meno libera”. Ciò avviene perché è
mutata la società, il modo di comunicare, le relazioni interpersonali; si sono
persi punti di ancoraggio, il linguaggio “meticciato”
si è sostituito gradualmente alla lingua italiana e il “sentire” è inaridito
dall’indifferenza, la bruttezza, la bulimia di possesso. Del resto il poeta è “interlocutore privilegiato” e testimone
del suo tempo, quindi non può alterare il rapporto con il pubblico, un rapporto
complesso condizionato da un insieme di fattori storici, socio-culturali,
economici. Tale rapporto si fa via via sempre più sfuggente, a mano a mano che
la società diviene più complessa e“liquida”.
Nei primi decenni del secolo XX, alla crisi dei regimi liberali corrispose un
generale disorientamento ideologico. Alla perdita di identità molti letterati
ed artisti reagiscono accentuando la propria diversità. Si prediligono
linguaggi aggressivi tendenti a sottolineare
l’eccezionalità dell’esperienza artistica. All’opposto, intellettuali
organici al potere aderiscono al momento storico. Nel secondo dopoguerra, il
poeta si fa carico di una coscientizzazione del linguaggio poetico: dopo gli
orrori dello sterminio di intere popolazioni, dopo il decadimento
dell’umanesimo, dopo la totale disumanizzazione, è ancora possibile che la
poesia viva?
Mi
piace citare Theodor W. Adorno:
“Il dolore incessante
ha tanto diritto di esprimersi quanto il martirizzato di urlare. Perciò forse è
falso aver detto che dopo Auschwitz non si può più scrivere una poesia … L’Arte
che non è più affatto possibile se non riflessa, cioè presa se non come
problema, deve da sé rinunciare alla serenità. E la costringono innanzitutto
gli avvenimenti più recenti, il dire che dopo Auschwitz non si possono più
scrivere poesie non ha validità assoluta, è però certo che dopo Auschwitz,
poiché esso è stato e resta possibile per un tempo imprevedibile, non ci si può
più immaginare un’arte serena”.
Ammesso che la poesia alberghi ancora nel mondo
tecnologico, paradossalmente caratterizzato da scarsa comunicazione e da grande
solitudine, dobbiamo riflettere sui motivi dell’esperienza creativa del
pensiero e del linguaggio che viene universalmente considerata necessaria
perché connaturata all’essenza dell’uomo. La parola riacquista un senso solo
nella chiarezza del suo valore semantico, se aderisce al cuore di chi la
compone in versi o in prosa, di chi la pronuncia per nominare cose, persone,
istituzioni, cioè se sa volare oltre la presenza dell’oggetto, facendosi essa
stessa oggetto, per carpire tutte le sfumature che colorano la vita e fanno
intravedere in modo profetico lo sconosciuto fine verso cui si corre senza
tregua. La Poesia, come l’essere, si cela dietro un velo in attesa di essere
scoperta ed amata spingendo verso una perpetua ricerca cognitiva e spirituale
oltre che estetica e linguistica. La fortuna goduta dall’opera di Dante è
dovuta alla sua forza di incidere nell’immaginario collettivo, comunicando
parole e figurazioni ancora presenti nella tradizione contemporanea. Come ha
sostenuto G. Contini nel suo saggio “Un’interpretazione di Dante, 1965”,
è segno della sua “traducibilità” da un
sistema culturale ad un altro, da un sistema poetico ad un altro. Ci insegna
che ogni epoca letteraria appartiene ad una tradizione linguistica e culturale
da riconoscere come propria e a cui rifarsi. Da dove ripartire perché la poesia
del nostro tempo sia aderente ai valori fondamentali umani? Il Prof. Domenici in uno dei suoi
saggi “La poesia tra etica
ed estetica”, sostiene che un progetto di nuova poesia nel tempo
della crisi non può trascurare alcuni elementi cardini che consistono: “1) nell’alterità, ossia l’apertura all’altro per
dirla con Levinàs, e al proprio tempo; 2) nella forza della parola poetica e
del linguaggio; 3) nell’autentica espressione e trasfigurazione della
condizione esistenziale umana”. Da questi punti essenzialmente
umanistici, ma anche da tutta la poesia del ‘900, deve venir fuori la poesia dell’era
tecnologica, una poesia che lenisca il dolore, voli alta con parole
comprensibili e oneste e accosti l’uomo alla bellezza, lo spinga ad andare “più in là”; una poesia capace di
comunicare “il sentire”, che scovi nell’uomo e nel poeta quella semplice
classicità che incidendo sulle coscienze, attiva sentimenti di amicizia e
condivisione. Oltre ad una poesia in versi
libera affidata alla modulazione musicale delle parole e del verso,
esiste oggi una poesia neo-umanistica, anche formulata in modo classico con
l’uso della metrica, la cui conoscenza
unita allo studio della tradizione
letteraria, possa ancora contenere ed esprimere il linguaggio del nostro tempo.
La poesia è l’habitat ideale della lingua coniugata all’immaginazione che in un
processo interiore, dal “guardare
dall’interno”( Semir Zeki), consente l’empatia tra l’artista,
la propria opera e tra essa e il fruitore. Così la poesia si fa conoscenza e
come dice Octavio Paz (premio Nobel 1990) , “È operazione capace di cambiare il mondo. Attività
poetica rivoluzionaria per natura, esercizio spirituale, metodo di liberazione
interiore”. La “letteratura
dell’assenza”, come fu chiamato il rifugio degli intellettuali
fuori dai problemi sociali, l’evasione pura, l’Aventino della letteratura, non
si addice ai poeti, non è una forma di solitudine ma di aristocratico rifiuto.
Perciò, nel secondo dopoguerra fioriscono una letteratura e una poesia attente
ai problemi sociali. Molte sono le esperienze estreme. Ma tutta l’innovazione
muove “dalla svolta linguistica” già
iniziata nella seconda metà dell’ottocento in tutti i settori dei linguaggi
dell’arte nel segno di una rottura epocale con la tradizione. A parere di molti
critici “la svolta” fu
l’input del rinnovamento sviluppatosi nel ‘900. Questa continuità ancora oggi è un ancoraggio alla meravigliosa
tradizione culturale del nostro Paese che recepisce la novità e le influenze
europee nel seno di una riflessione accorata su tutta la poesia giunta fino a
noi. Giorgio Linguaglossa, in “Critica
della ragione sufficiente” affronta il problema della costruzione di un “grande progetto” per
giungere alla formulazione di una nuova ontologia estetica (NOE) con la
proposta di una ripartenza da Pasolini e Montale, da dove “essi avevano lasciato la spugna” . Le
poetiche del ‘900 possono essere
considerate come una nuova metratura in cui collocare l’arte come “verità raggiunta o istituita”. L’arretratezza della poesia italiana è forse dovuta agli schematismi culturali dei
poeti, alla cultura dominante e alla perdita delle ragioni per cui al
linguaggio della nostra epoca non si è ancora riusciti a coniugare un nuovo
pensiero poetico. La crisi consiste
proprio nel tracciato spesso insuperabile di un confine netto da cui muovere o
da cui prendere le distanze. Nazario Pardini, nella nota critica all’opera
”Negazioni” di Edda Conte, esclude che la poetica dell’Autrice possa essere
letta in funzione della NOE, ma piuttosto come ricerca di innovazione nella
presenza più vicina e sonora delle cose e quindi della vita. Scrive il Pardini:
“Oggigiorno c’è una nuova
tendenza poetico - letteraria che cerca
di farsi spazio, ma destinata a sparire presto come i tanti sperimentalismi che
hanno giocato un ruolo marginale nella cultura dell’altro secolo”. Oggi la
tirannia del mercato non è meno attrattiva dei rifugi del passato e i poeti si
muovono in uno spiccato individualismo che esprime il malessere di ciascuno in
situazioni di intensa soggettività alla ricerca del nuovo. Da questo
atteggiamento si può immaginare l’approdo ad un atto di conoscenza e di amore.”Solo chi ama conosce”, scrive
E. Morante, e su queste basi cognitive e
di aderenza al linguaggio vivo, di amore
per la vita, si può configurare la nuova poesia. Il carattere dialogico
della parola poetica contiene in sé la
volontà di aprire all’altro per condurlo alla riflessione, trasmettergli il
valore della bellezza espresso da ogni sentimento poetico onesto e vero. “Non vi è una particella di vita che non abbia
poesia all’interno di essa” (G. Flaubert).
Testi
consultati:
·
V. De Caprio, S. Giovanardi: “I testi della letteratura italiana”
Ed.
Einaudi Scuola 1993
·
B. Missana: “Verso una nuova critica d’arte”
Ed.
Sentieri Meridiani 2013
·
G. Linguaglossa: “Critica della ragione sufficiente”
Ed.
Progetto Cultura 2003
Grazie, Professore, per l'accoglienza su " Lèucade" del mio semplice contributo alla discussione intorno alla Poesia. Davvero onorata.
RispondiEliminaHo già espresso “in nuce”, qualche tempo fa, nel commento alla lirica delicatissima “La fanciulla” di Francesco Casuscelli quale sia la mia idea di POESIA. La POESIA, come dice lo stesso Casuscelli, è un'amante silenziosa che ci mette a nudo prendendoci l'anima. È difficile resisterle in quanto ci cambia la vita, ci fa vedere in modo diverso le cose, ci fa trasformare le parole da semplici vocaboli in note musicali. Non sempre dà gioia perché non sempre si riesce ad esprimere, secondo i suoi canoni, quello che lei ci ispira, ma quando il testo ci soddisfa è festa grande, è catarsi completa, è un bagno dell'anima nel Lete che ci fa dimenticare le avversità quotidiane. La POESIA è soprattutto per chi la scrive, non per chi la legge. Ossia, spiegandomi meglio, è la confessione del nostro “io” di fronte a noi stessi, non importa se piacerà o non piacerà agli altri, se gli altri traviseranno quello che abbiamo scritto, infine se ci saranno degli altri. È la nostra cura contro “il male oscuro”: si noti come molti poeti hanno avuto vite travagliate. Per questo detesto quelle poesie artificiose con vocaboli strani o peggio obsoleti che non fanno parte del nostro linguaggio quotidiano ma intrigati nel tessuto del verso non per necessità di metrica o di rima ma solo per fare sfoggio di una cultura che non c'è: speme, spiro…
RispondiEliminaUn altro punto che sarebbe da toccare è che la poesia non deve essere necessariamente autobiografica – come qualcuno ostinatamente crede – anche se riflette sempre una parte di noi, e non deve “emozionare” dove per molti questo vocabolo significa versare calde e abbondanti lacrime. Anche La vispa Teresa è per me una bellissima poesia ancor più nella versione ritoccata di Trilussa.
Spero che ne venga fuori un dibattito costruttivo a cui io interverrò nuovamente qualora non condivida in toto le idee di qualche altro partecipante.
Carla Baroni
La mia nota critica si è limitata a tracciare un percorso storico letterario delle esperienze che configurano l'espressione poetica nel tempo, con particolare sguardo alle dinamiche del nostro tempo. Si cerca di comprendere dove vada la poesia contemporanea, dove possano essere ricercate quelle costanti che ci facciano comprendere il senso della poesia è la sua funzione. Grazie cara amica ,per l'interessante commento.
EliminaImmagino che tutti, più o meno, condividano l'idea che poesia è creatività e che si diviene creativi quando si attinge a valori universali. Le differenziazioni intervengono quando si affronta la definizione del concetto di universale. Che sia necessario superare la sfera del soggettivo è più o meno condiviso da tutti, così come tutti, più o meno, condividono l'idea che superare il soggettivo non significa sprofondare nell'oggettivo, giacché questo non è che la riprova dell'esistenza di quello. Gli "oggetti" non sono le "cose", ed è nella "cosità", nel dominio terrificante delle "cose" (apoteosi del Nulla) che taluni vedono l'unica possibile negazione dell'Io. Personalmente non condivido questo assunto, dacché ridimensionare le pretese dell'Ego è possibile in un modo soltanto: facendo spazio all'Alterego spirituale che ci vive dentro, depositario (lui si) dei valori, dei "nostri" valori universali. E' lì, e non altrove, la patria della creatività e della poesia, patria che un tempo veniva definita "la Musa".
RispondiEliminaFranco Campegiani
Condivido pienamente le argomentazioni di Franco Campeggiano. Si potrebbe discutere per giorni intorno ai concetti espressi in tutti i commenti letti fino ad ora. Vasta è la poesia! Un immenso mare in cui ciascuno intravede unvapprodo. Grazie.
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