L'IGNOTO DI NAZARIO PARDINI
Marco dei Ferrari, collaboratore di Lèucade |
Il ricamo verseggiato in questo
itinerario naturalistico di Nazario Pardini è un significativo richiamo
all'ignoto di noi stessi, ora e poi, scorrendo la apparenza della conoscenza.
Tutto è ignoto per il Poeta: dall'apparato cosmico (il cielo, la luna) ai
campi, alle piume, ai rami, ai nidi, ai
passeri di febbraio. Febbraio mese immobile ma solo in
apparenza, perché prelude al movimento stagionale della rinascita con la
mimosa, la ginestra, il colore dei fiori e l'attesa coglie Nazario nella solitudine
soggettiva di un calpestìo sul vuoto di una campagna in sonno e sulla nudità di
un prato.
E l'ignoto si disvela in progressione
quale speranza di promesse: fino all'estate... l'ignoto è la trasformazione del
poetare elaborato interiormente dalla nostalgia di un tempo inesorabilmente
perduto ma paradossalmente rielaborato e rivissuto nel focolare di una sera,
con la corsa scalza tra le vigne e la scoperta di un nido che rievoca il
perpetuarsi della vita. Sorpresa di stupore che il Poeta malinconico non sembra
di ritrovare nell'oggi, sia quale elaborazione di processi naturali, sia come passionalità
di sentimenti amorosi avvincenti.
Affidarsi all'ignoto, all'inconsapevole
totalizzante virtualità di una realtà sfuggente, sempre più fino a trascinarsi
al mare sembra essere l'unica certezza della creatività circolare nel ritorno
in se stesso in un flusso e riflusso di un memorare nostalgico, esaltante e
rassicurante. Ma il memorare confligge con l'ignoto mistero che assedia il
“verso”, l'intuizione dell'immaginoso ricamo, il raffinato esporsi nell'esporre
sensazioni, illusioni, conferme e abbandoni tipici della sensibilità analitica
profonda e insondabile di un Poeta come Nazario Pardini. Un poeta che vive ora
per allora attraversando il futuro quale riproposizione senza limiti del suo
finalistico interpretarsi per "interpretare" terra cielo e mare nella
loro dialettica di immensità più intensa.
Dove sfocia e conduce l'ignoto se non
nel fiume verso l'ineffabilità di un mare che il Poeta riconduce all'ancora di
un consolidato equilibrio di temi, conflitti, luci e ombre, scoramenti e
illusioni con la speranza di ricucire il “progetto” artistico esistenziale che
solo poetando può concepirsi?
Marco
dei Ferrari
Ignoto verso il mare
Il cielo è terso e il bianco della luna
quasi inneva i miei campi. I passerotti
rapinano il tepore delle piume
sui rami che sperano dal cielo
nuove buttate da donare ai nidi.
È febbraio. Non vedi per i campi
traccia di paesani; tutto è fermo.
Persino lo svolare
attende l’ora calda. Mi soffermo
sul prato più vicino a casa mia,
calpesto il suolo,
e il piede batte fesso sul tostato.
Ma è il mese che si avvia
a prometterci speranze; la mimosa
staglia il suo giallo sopra la campagna
e ricorda il colore di ginestra
che gonfierà l’estate. A te mi dono
mese di nostalgie! Di quando a sera
ci si accostava al fuoco con un animo
già pronto ad incontrare primavera:
il piede scalzo, le corse fra le vigne,
la sorpresa di un nido tra i filari.
E ti rivivo,
seppur la mia speranza
non cova rami in fiore;
e anche se negli spasimi
di due colombi sopra la grondaia
me la ricordo lesta,
ora è la voglia d’altro
che mi riporta a un fiume
e mi trascina ignoto verso il mare.
Ho già commentato a suo tempo la lirica di N. Pardini e ne riporto il testo: -Il silenzio del paesaggio tardo invernale, l’immobilità della natura di febbraio in attesa: il mese che porta con sé la nostalgia, i ricordi che segnano la distanza, la semplicità chiara e terribile, epifanica del loro apparire. È un silenzio esteriore ed interiore che circonda il poeta, ( “tutto è fermo”) in esso è immersa l’ultima parola poetica polifonica e le movenze lente di vita, baluginanti e profonde di N. Pardini, sono flessuose e naturali. Silenzi pensosi, suoni opachi, fessi, colori smorti, in attesa dei gialli luminosi di mimose e ginestre future: un contrasto che non è agonico, un duello che diventa nel ricordo vita, danza, osmosi, accettazione, nel trapasso delle immagini del perire in una musica più vasta, un perpetuarsi di quel rapporto eterno con la natura, soggetto a costante metamorfosi.
RispondiEliminaLa poesia non conclude, e non può: sta al lettore cercarne il messaggio con rispetto e sospensione d’animo (“ora è la voglia d’altro/ che mi riporta a un fiume/ e mi trascina ignoto verso il mare”).
Il senso ultimo, senza sovrapposizioni né enfasi. - Anche la mia chiusa di commento non conclude, infatti rimanda ad altro, vale a dire a una riflessione sulla nuova stagione poetica che P. sta affrontando e che si evince dalla lettura completa della sua ultima pubblicazione, I dintorni dell’amore. Ma M. dei Ferrari col suo acuto commento mi pungola, con questa sua lettura…quasi psicanalitica (“l’ignoto di noi stessi…la rielaborazione del tempo perduto e rivissuto” ) di valore anche teorico-poetico, scoprendo e svelandoci una nuova dimensione pardiniana: “l'unica certezza della creatività circolare nel ritorno in se stesso in un flusso e riflusso di un memorare nostalgico, esaltante e rassicurante” che è nel mistero della nascita del verso poetico. …
Anche la sua conclusione rimane nondimeno interlocutoria: dove conduce quell’ignoto percepito …forse a una nuova speranza, quella “di ricucire il “progetto” artistico esistenziale che solo poetando può concepirsi? Quell’avverbio dubitativo “forse” che io volutamente uso, rileggendo il testo, rimane per me l’aspetto più prezioso del mistero della poesia.