giovedì 22 agosto 2019

MARIA GRAZIA FERRARIS: COMMENTO A "POESIA E ERMENEUTICA" DI ROSSELLA CERNIGLIA"


COMMENTO DI MARIA GRAZIA FERRARIS A "POESIA ED ERMENEUTICA" DI ROSSELLA CERNIGLIA, DEL 22/08/2019

Maria Grazia Ferraris,
collaboratrice di Lèucade

L’ampia preparazione filosofica di R. Cerniglia è la chiave di lettura che fa da guida a questo saggio dal titolo ben problematico ed intrigante, di grande pregnanza storica- Poesia ed ermeneutica-.
E cominciamo dal primo termine in discussione- Poesia- di cui la C. espressamente dice: “Si è sempre discusso intorno ad una possibile definizione della poesia, sulla sua scaturigine e sul valore da assegnare ad essa. Ma è difficile trovare risposte soddisfacenti a tali quesiti.”
Ben detto – la POESIA rimane un mistero.- E distinguendola dalla conoscenza scientifica aggiunge: “ La poesia, al contrario, vuole andare al cuore della realtà, nell'anima delle cose, vuole sondarne le zone d’ombra, il mistero che il mondo racchiude nelle sue profondità, l’intima essenza dell'esistente, il suo fondamento e il suo senso più proprio. Forse è un tentativo: l’anima dell’uomo che avvicina l’anima del mondo e viceversa; e in questo tentativo vi è corrispondenza, vi è analogia, e da qui scaturisce quel senso panico che è la comunione col Tutto. In questo tentativo la ragione non ci appare disumanata, semplice struttura mentale invariabilmente presente in tutti gli uomini, ma fusione di individualità ed universalità, ragione che si colora del nostro sentire e della nostra anima.”
Mi fermo su questa condivisione ricca di implicazioni e non mi addentro nelle sue successive riflessioni più filosofiche (“Solo L'Essere, in quanto Illimitato, Infinito, Perfetto, Eterno, non tende a niente, Egli è il «motore immobile» secondo la definizione aristotelica…”) , che richiederebbero un approfondimento filosofico, e sottolineo invece il secondo aspetto dell’argomentazione: l’Ermeneutica o arte dell’interpretazione, che la C. asserisce essere “solamente avvicinabile per gradi,” …essendo   “l’unità monadica dell’haecceitas umana, accostabile più o meno intimamente, mai prendibile”, ponendo   in tale argomentazione in evidenza i limiti che il soggettivo pone entrando nell’interpretazione della parola poetica, evocando la tesi di Martin Heidegger che ha mostrato il radicale l’intreccio tra esistenza umana, linguaggio e storicità e riflessione gnoseologica, ma sottolineando nel contempo “piuttosto il limite che contrassegna la monadicità di una condizione”, per cui “l’essere, che può essere compreso, è il linguaggio”, e il mondo si dischiude nel linguaggio con cui l’essere coincide.
A me pare che leggere un testo altrui, avvicinare un’opera, significa cercare qualcosa che sollecita attivamente l’interprete, perché quel testo a cui si avvicina con rispetto ed emozione in un qualche modo gli appartiene e ricostruisce in modo personale la domanda originaria di cui l’opera è risposta, oltre le intenzioni dell’autore/artista stesso; e tale affascinante dinamica regola l’incontro tra le soggettività che negoziano tra loro la verità, significa anche che la comprensione avviene in un punto mediano tra l’oggettività di ciò che è dato, comunicato e la soggettività del lettore presente e partecipe.
Sono nondimeno consapevole che ogni interpretazione presuppone un fondo impenetrabile, opaco, non esauribile di interesse che rinvia alla dimensione psicologica personale e collettiva (memoria-narratività-testimonianza-rappresentazione storica) piuttosto che una interferenza o contaminazione.

Maria Grazia Ferraris



1 commento:

  1. Ringrazio, intanto, infinitamente, Maria Grazia Ferraris, per il suo profondo brillante commento, pieno di spunti di approfondimento ulteriori.
    Alcuni concetti forse non sono stata in grado di esprimerli compiutamente, o potrebbero essere errati già nel loro assunto, nel loro punto di partenza. Sostanzialmente volevo legare per analogia l'inconoscibilità del divino, all'inconoscibilità dell'essenza individuale, dove appunto risiede l'essenza del divino in noi. Wittgenstein traduce questa irriducibilità col termine di “solipsismo linguistico”, cioè nel fatto che attraverso il linguaggio non possiamo veramente comunicare i nostri contenuti emotivi e ciò che è intimamente legato in maniera ineffabile tra corpo ed anima. Come dire che posso parlare del mio mal di testa, ma non fare in modo che l'altro provi il mio stesso mal di testa attraverso le mie parole, attraverso la mia descrizione di esso. Affermando quel che ho scritto, intendevo riferirmi a questa dimensione che rimane tutta mia, alla quale l'altro non può assolutamente accedere se non per vaga approssimazione, non penetrare del tutto come non può penetrare la divina essenza dell'Essere, di Dio. Essa può essere solamente “avvicinata” per gradi, ma mai compresa del tutto, come si dà, secondo Heidegger, per l'essenza divina, il Verbo divino. E la Poesia è intimamente intrisa non solo di pensiero, ma del “sentire” individuale, strettamente legati come lo sono misteriosamente corpo ed anima. Perciò, qualcosa inevitabilmente rimane insondabile nell'ermeneutica, e il sostituire nell'interpretazione, a questa parte mancante di conoscenza la nostra soggettività di interpreti, è un abuso - inevitabile abuso!- ma è tale, è contaminazione dell'assoluta individualità dell'altro, del poeta, della propria assoluta singolarità che è simile, in questo,solo alla monade Dio.

    Rossella Cerniglia

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