Vivo Napoli di corsa
Sono
per un quarto napoletana. E, lo confesso, è proprio il mio quarto predominante.
Quella parte che tante volte si è persa nei vicoli dei Quartieri Spagnoli,
respirando un’aria che sapeva di casa. Quegli odori, sprigionati dalle finestre
aperte, quei rumori sottili, che si mutano in grida dai davanzali allegri, i
sorrisi aperti, le bocche dei bambini,
piene di sorrisi e di sfogliatelle, le mani che gesticolano, i motorini
truccati, le statuette di Totò, sanno di casa, sì. Sempre. Ricordo l’odore che
esce dalle botteghe degli antiquari del centro, il fascino disordinato
dell’ospedale delle bambole e l’eleganza sublime emanata da Posillipo. E
ancora, la pizza di via dei Tribunali, la funicolare che mi ha sempre messa di
buon umore, lo sciabordio delle onde, che, quando ti avvicini, ti parla. Come
se ti conoscesse da sempre, anche se tu, quell’acqua, non l’avevi mai toccata.
Napoli è sogno e magia, Napoli è ferro e pietra grezza, erba nella calce,
Natale anche ad agosto. Napoli è il caffè al Gambrinus, ma anche quello della bettola di periferia, preparato
da Antonio ormai da settant’anni. Sì,
Napoli è questo. Sussurro e grida, schiaffo e carezza. Napoli è la sua gente.
Che cambia e non la cambia. Ma che, poi, alla fine, cambia te.
E
leggere Napoli in un libro che si snoda lungo le strade di quella che io
definisco “la città che vive” per me è un’esperienza sensoriale. Una di quelle
che assapori, respiri, accarezzi, ascolti, guardi, per poi ricominciare ancora,
ancora e ancora. Non ti stanchi mai di Napoli. Perché se la conosci ti entra
dentro, si attacca al cuore e non ti lascia più. Si aggrappa in maniera
particolare. Lo fa raccontandoti la sua storia di città dolce e disperata,
densa di canti e piena di guai. Una città che ti fa ridere, a volte commuovere,
e ogni tanto disperare. Lo fa staccandoti un pezzettino di cuore e fissandone uno più grande, rosso e vibrante come il sugo
che sobbolle nella pentola della signora del vicoletto Scassacocchi. Così,
quando si va via, il cuore è più grande, più pieno, pesante. E sei un po’
napoletano anche tu, perché è inevitabile che sia così. Franco De Luca, questa
sua Napoli, questa nostra Napoli, ce la mostra in tutta la sua magnificenza,
condensando sapientemente storia, folclore, luci e ombre, consegnandoci un
testo che non è solo narrativa, ma è anche poesia.
Una
poesia particolare, fatta di narrazione e immagini, lungo
la quale si snodano vicende che si susseguono durante splendide giornate
trascorse a correre e a raccontarsi. A vivere, insomma. I protagonisti non sono, in realtà, i
personaggi che l’Autore ci presenta, ma è proprio Napoli, che scorre tra le pagine del romanzo e tra i passi di
Luciano, Gennaro, Ernesto e Luca. I quattro decidono che per un anno intero si
ritroveranno, ogni domenica, per scoprire la propria città correndo. E così, la
loro vita viene dipinta come un acquerello. Si conoscono caratteri, forza e
debolezze, fragilità e abitudini. Si incrociano nuovi amori, si fa il bilancio
della propria vita e si entra nelle vicende rappresentate, facendo
inevitabilmente il tifo per loro. E mentre si corre per i vicoli, per il
lungomare o nei parchi, si impara qualcosa, dai segreti della biblioteca
dell’università Federico II, alle statuine di San Gregorio Armeno, fino a
conoscere nuovi personaggi che hanno fatto la storia della città, rendendola
ciò che è oggi. È quella Napoli mostrata da un napoletano vero.
La
struttura narrativa è densa ed estremamente interessante. Il libro si legge e
si guarda. In ogni pagina è inevitabile soffermarsi sulle immagini del
fotografo Ettore Cestari, dense e colorate, che rappresentano uno scenario, o
magari un particolare raccontato. E così, non serve immaginare la storia
narrata, ma la si può scorrere, per un momento davanti agli occhi, per poi
proseguire la lettura, inseguendo i quattro, che continuano a correre, con fare
indifferente. O forse no, magari, se guardiamo bene le pagine, possiamo
scorgerli mentre ci osservano, sorridendoci e invitandoci a seguirli, per
godere anche noi della brezza di una domenica mattina qualunque, ma in fondo
sempre speciale. L’insegnamento è proprio questo: trovare qualcosa di magico
nell’ordinario, perché ogni giorno può essere inaspettatamente straordinario e
ogni angolo della città può nascondere sorprese inattese. Basta guardare il
mondo con altri occhi, o magari indossando tuta e scarpe da ginnastica. In
fondo, basta Vivere Napoli di corsa. O, se siete pigri, lentamente. Sarà
comunque magia.
-
Perché hai pensato di raccontare la tua città
in questo modo così originale, attraverso uno svolgimento testuale/
fotografico?
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Chi sono davvero i quattro - anzi, cinque-
protagonisti del libro?
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Gli aneddoti narrati nel libro sono davvero
singolari e interessanti. Pensi che sia Napoli a rendere peculiari le vicende o
credi che siano le storie (e la storia) a dipingere la città?
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Ma tu, davvero alle sette di domenica mattina,
con la pioggia o il vento, rinunci al tepore e all’ozio per andare a correre?
Un famoso detto napoletano, non recita forse: “U cchiù doce d’ ‘a vita è ‘u ddurmì”?
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