Commento di Francesco De Caria alla poesia
L’attimo
che è già ieri
di
Lino D’Amico
La
meditazione sulla consistenza dell’esistere si fa, nei versi di Lino D’Amico,
mano a mano che l’età avanza, che il fisico si fa più fragile, vieppiù matura e
profonda, ricca di eco – dovute a letture, certo, ma anche dell’affinarsi della
sensibilità personale – di opere della tradizione letteraria, dai lirici greci
al Carducci, all’Ungaretti, rimandi impliciti, che elevano la sua poesia da un
esercizio puramente ricreativo a speculazione assai seria sul senso
dell’esistere, di fronte alle debolezze dell’età avanzata, della salute e del
fisico sempre più stanco.
Da
Mimnermo nel VI sec. aC a Cicerone e Seneca e giù giù sino al Carducci, a Montale,
a Cardarelli la vecchiaia è insieme regret
sullo sfiorire del fisico, sull’indebolirsi delle forze e delle facoltà, e
nello stesso tempo dolce contemplazione della vita, ormai uscita dai marosi
della giovinezza, della passione, dell’impegno in prima persona, considerazione
degli ardori della giovinezza come calore
di fiamma lontana, per dirla col foscoliano Didimo Chierico.
L’età
avanzata è nei versi del D’Amico autunno con
tutti i suoi tepori e le sue dolcezze e non già gelido inverno; fra l’altro è
recentissima la pubblicazione del volume del “savio” di Bose, il priore Enzo
Bianchi, dal titolo La vita e i giorni, nel
quale – di fronte al dilagare ad un giovanilismo sovente goffo, ad una paura di
invecchiare – si esaltano le dolcezze dell’età avanzata, proprio perché agli
affanni, ai timori, ai pressanti impegni dell’età giovanile e matura, si
sostituiscono il tempo e la pazienza che consentono di contemplare – e quindi
di gustare – attimo per attimo i “fiori” molteplici che la vecchiaia offre,
prima di tutto il tempo dilatato, la saggezza e il distacco opportuni per
valutare con equilibrio le situazioni.
L’età
avanzata consente di assaporare – ripensando alla lunga esistenza vissuta – le
memorie piacevoli che hanno il profumo dei petali delle rose poste a seccare
fra le pagine dei diari e dei libri o nei bacili di vetro collocati poi nelle
sale a profumare delicatamente l’ambiente.
Così il D’Amico ricorre alla sinestesia –
strumento espressivo assai diffuso nel Novecento – tra sensazione visiva, i
colori delle foglie ingiallite con forti screziature rosse, uditiva – il
fruscio e lo scricchiolio delle foglie secchie calpestate – olfattiva – gli
odori del bosco e dell’aria frizzante delle albe e dei tramonti autunnali,
tutte metafore del dialogo sommesso dell’anima carica di ricordi coi
trapassati, che in quegli scricchiolii improvvisi, nei suoni tenui del
frusciare delle foglie, delle voci attenuate dalle distanze si manifesta con
particolare suggestione, come parole sommesse di un dialogo fra anime e vivi
che solamente un orecchio allenato ai silenzi può cogliere: e quel silenzio non
si conquista che mettendo la sordina alle passioni squillanti.
Si
canta dunque il conquistato senso del confine che, invece di rendere l’angoscia
della precarietà, rende anzi prezioso ogni attimo, proprio per il contrasto con
la fredda ombra che incombe, trasformando la banalità del vivere quotidiano
nella pregnanza del vivere attimi senza
età, riscattati cioè dalla caducità e fatti risorgere nella prospettiva
dell’eternità.
Dunque
una poesia – che dal Novecento ha attinto il disfarsi della cadenza e della
metrica - di straordinaria maturità di
sentire e capace del miracolo della trasformazione della contingenza in sprazzi
d’infinito, che esprime insieme serenità e malinconia, percorse da una raggiunta
saggezza.
Francesco De Caria Torino - 5/10/ 2019
L’attimo che è già ieri
C’è un profumo d’autunno
che stropiccia l’aria
mentre svapora la bruma
nell’alba che scivola via.
A confortare una malinconia,
memorie di attimi senza età
bevono nel calice del tempo
il nettare di soffusi silenzi.
La quiete di quei silenzi
corre verso un altrove ignoto,
sussurro di un mistero
che vola con le ali dell’oblio.
Bave di luci ramate
annunciano,
timide, l’abbraccio
dell’aurora
in un fruscio che è già ieri,
ricordo, ormai, di un eco dispersa
Complimenti vivissimi a Francesco De Caria, che non ho l'onore di conoscere, per la profonda esegesi della lirica dell'amico fraterno Lino. Ha sondato tutti gli aspetti innovativi, sinestetici, malinconici e tesi alla speranza, che connotano i versi dell'Autore. Ha colto anche il non detto, il sussurrato tra le righe, l'incanto inconsapevole. Eh, sì, in quanto molti poeti sanno andare oltre ciò che scrivono, sanno trasmettere emozioni non espresse tramite la varietà inesausta e 'straordinaria maturità del sentire'. Sono grata al critico che ha dato il giusto valore all'umiltà di questo Poeta umile e dolcissimo. Un saluto affettuoso a entrambi.
RispondiEliminaMaria Rizzi
Vi prego di scusarmi per i refusi: per la varietà inesausta e 'la straordinaria maturità del sentire'.
RispondiEliminaPer aver dato il giusto valore a questo Poeta umile e dolcissimo