I POETI DEL CENTRO ITALIA |
DAL TESTO, pp. 185-192
Nazario Pardini
Toscana
Nazario Pardini è nato nel 1937 ad
Arena Metato in provincia di Pisa, città dove vive alternandola a Torre del
Lago Puccini; laureato in Letterature Comparate e in Storia e
Filosofia è ordinario di Letteratura Italiana, Blogger, critico, collabora
con riviste specializzate e con Guido Miano Editore. Ha pubblicato molti libri
di poesia, racconti, e saggi, tra cui: Foglie di campo. Aghi di pino.
Scaglie di mare (1993), Le voci della sera (1995), Il fatto di
esistere (1996), La vita scampata (1996), L’ultimo respiro dei
gerani (1997), La cenere calda dei falò (1997), Suoni di luci ed
ombre (1998), Gli spazi ristretti del soggiorno (1998), Paesi da
sempre (1999), Alla volta di Lèucade (1999), Radici (2000), Si
aggirava nei boschi una fanciulla (2000), D’Autunno (2001), Le
simulazioni dell’azzurro (2002), Poesie di un anno (2002), Dal
lago al fiume (2005), Canti d’amore (2010), Racconti brevi (2010),
L’azzardo dei confini (2011), Scampoli serali di un venditore di
arazzi (2012), Dicotomie (2013), A colloquio con il mare e con la
vita (2012), I simboli del mito (2013), Lettura di testi di
autori contemporanei 1 (2014), I canti dell’assenza (2015), Letture
critiche dei miei testi 2 (2016), Cantici (2017), Di mare e di
vita (2017), Cronaca di un soggiorno (2018), Lettura di testi di
autori contemporanei 3 (2019), I dintorni della solitudine (2019), I dintorni dell’amore
ricordando Catullo 2019.
È inserito in numerose antologie e
storie della letteratura e hanno scritto di lui numerosi critici.
Ricapitolativo il saggio critico di Floriano Romboli L’azzardo e l’amore. La
ricerca poetica di Nazario Pardini (2018). È fondatore, curatore, e
animatore di “Alla volta di Lèucade”, blog culturale.
La curiosità intellettuale di
Nazario Pardini
di Floriano
Romboli
Nell’opera poetica
di Nazario Pardini fin dall’inizio appare cen-trale il tema della natura che
viene svolto, precisato, valorizzato nei suoi aspetti oggettivi e soggettivi.
Riguardo ai primi,
oltre alla spiccata inclinazione paesistico-de-scrittiva, è da porre in risalto
la tendenza frequente alla obiettiva-zione naturalistica degli stati d’animo,
all’espressione delle situa-zioni sentimentali per il tramite dell’attenzione
assidua e partecipe accordata alla vitalità delle piante, degli animali, degli
elementi. Però i tanti volti della natura agiscono altresì sull’animo del
poeta, ne stimolano e interrogano la soggettività pensosa. (…)
La consapevolezza
dell’essenzialità della competenza tecnico-linguistica, della padronanza
stilistico-metrica e della coerenza ideale traspare chiaramente da questa
riflessione occasionata dalla let-tura delle liriche di Carla Baroni: “La
poesia non è mai rovesciare sul foglio “beceramente” sentimenti debordanti; ma
è piuttosto la grande capacità di saper fasciare quegli impulsi con un dire che
ne costituisca uno scheletro solido, frutto di ricerca stilistica e
tecnico-verbale”.
Eppure nello
scrittore toscano – e proprio in vista di un risul-tato esteticamente pregevole
– è altrettanto viva l’esigenza della schiettezza, della spontaneità e della
sincerità sentimentali, dell’autenticità intellettuale-morale unite al rifiuto
di soffocanti e spurie sovrastrutture ideologistiche (la letteratura
impegnata…), di fiacche costruzioni erudite.
Lo stesso richiamo
alla natura vale una considerazione meta-poetica (“Resta poeta/non andare
via,/assieme filtreremo la cam-pagna,/ tesseremo le trame/ di una storia/ anche
se breve,/ ricca di memoria (…) Resta con me/ in compagnia di un seno/ che alla
fine del giorno tra la bruma/ con te vuole partire per il mare/ove scompare
l’onda/ oltre i confini” (Resta poeta, ne L’ultimo respiro dei gerani,
vv.1-8 e 21-26), che sa farsi altresì ragionamento critico. Se il discorso
lirico è animato innanzitutto dall’aspirazione alla libertà espressiva, Pardini
ne valorizza lo scatto irrazionale (“Non ti mi-schiare né in filosofia/ né
troppo nel sociale, è il raziocinio/ che è il primo impedimento
all’espressione./ Che il sentimento vinca”, Il manifesto semiserio di una
ninfa, in S’aggirava nei boschi una fanciulla, vv.68-71), ma, si è
osservato prima, altrove è disposto a riconoscere l’importante ruolo
disciplinatore e regolativo della cultura e di una ricerca instancabilmente
migliora-tiva.
Il “miracolo”
dell’arte soddisfa d’altra parte un bisogno radicato nell’animo umano. Nata in
un contesto storico determinato, nella concretezza di una serie di esperienze
ben definite e destinate a dissolversi con il trascorrere del tempo, la
scrittura poetica ambisce a sfidare quest’ultimo, ad andare “oltre”, ad
affermare il proprio diritto a una vita transtorica.
In conclusione mi
piace soffermarmi su alcune tesi critiche so-stenute dal nostro autore, spesso
recensore attento e penetrante. Egli in più di un’occasione ha chiamato gli
elementi della memoria poetica “nuova e reale irrealtà”. Questa definizione,
oltre a signifi-care un’auto-descrizione estetico-culturale, diventa altresì
acquisi-zione di un criterio periodizzante, di un canone di caratterizzazione
storica per artisti degli ultimi anni del Novecento, distanti dagli
sperimentalismi e dalle provocazioni delle avanguardie.
La curiosità
intellettuale restituisce a Nazario Pardini in forme distaccate, criticamente
ragionate, quell’affascinante ambiguità della vita per amore della quale si è
accinto negli anni a un lavoro in versi appassionato, ricco di contributi e di
una rara coerenza.
Mille vite
Come è pieno
quest’albero di
suoni!
Mille vite
nascoste da foglie
gremite sui rami.
Sarà il freddo
a scoprire le penne,
a graffiare ricami
sul cielo
ormai innevato di
candore.
(da L’ultimo
respiro dei gerani, Lineacultura, 1997)
Il tempo
L’eternità
dell’infinito azzanna
il mio pensiero di
vivente. Attorno a me
la visione costante
di cose fittizie
crea un ordine di
tempo in cui s’incastra
il prima e il dopo
della mia esistenza.
Non c’è via d’uscita
da questa realtà
sempre mutevole
verso una soglia
che vada oltre il
presente. A volte
l’inganno
dell’azzurro che tracima
o una qualunque
bellezza che s’impenna
dovunque manifesti
il suo potere
hanno la forza di
darci l’oblio,
di azzerare quel
senso dei limiti umani
fino a renderlo
estraneo al contingente.
È allora che
incoscienti confondiamo
la nostra vita in
mezzo allo splendore
di un angolo che
tanto rassomiglia
all’universo.
Spersi, valicando i confini,
ci annulliamo, anche
se solo un attimo,
in quella sfera che
non tiene il tempo.
Diventiamo tasselli
di un costrutto
che assorbe il tutto
senza nessun limite.
È sufficiente il
mare, il cui orizzonte
rapina; il cielo di
una sera
quando dispone
l’aria per la notte;
o uno squarcio di
terra somigliante
ad un
mistero che ci fa nativi.
Ma poi ritorna il
fiume, il maestrale,
l’onda rumorosa, lo
stormire
di foglie che sanno
d’autunno.
Allora l’anima quasi
dimentica
di questo suo
momento d’ebrietudine
ritorna alla
coscienza del suo esistere.
Dopo la fuga si rifà
tutt’uno
con quel corpo che
sa tanto di mortale.
(da Di mare e di
vita, Macabor Editore, 2017)
Non chiedermi
Non domandarmi cose
a cui è impossibile
poter dare risposte;
non ce n’è.
Che cade il sole
oltre le colline,
che l’alba affaccia
la sua veste chiara
di fanciulla
novizia, o che la luna
gironzola nel cielo
per gli amanti,
è cosa certa. Ne
conosci le leggi.
Ma non chiedermi del
mare e dei confini,
non chiedermi il
perché noi siamo nati,
né perché questa
morte ineluttabile
ci attenda fra le
braccia. Io non so
che cosa vive in
noi, quel mistero
che ci tiene nel
pugno senza darci
motivo di speranza.
Non chiedermi i perché
di questa vita tanto
imperscrutabile,
di un cammino
ridotto a brevi spazi,
di un sentimento che
ci rende tristi,
di una solitudine
che lega
il nostro magro
essere all’esistere.
Non chiedermi perché
davanti al mare
si soffre della
nostra imperfezione,
di una indecifrata
libertà
a cui invano
aspiriamo, inappagati,
di non poter vedere
fino in fondo
quell’isola lontana
ed il suo approdo.
Ti posso dire solo
delle cose
che mi sono vicine e
che hanno un corpo,
ma non dei grandi
spazi e dei tormenti
che provo innanzi a
notti senza fine.
Nemmeno il gran
segreto dell’amore
ti potrei svelare;
all’improvviso
si impossessò di me;
mi rese schiavo,
mi
tramutò l’immagine di un volto
in qualcosa di
eccelso, sovrumano;
il reale non ebbe
più la forza
di farmi ragionare.
Tutto fu
esageratamente
trasformato.
Ti posso solo dire
dell’inquieto
mio essere. Del suo
bramare invano;
del suo microscopico
restare
davanti a un mondo
che non ha ragione
di essere tanto
immenso e così estraneo
al pensiero di un
uomo troppo umano.
(da I dintorni della solitudine, Guido Miano editore, 2019)
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