Sandro Angelucci, collaboratore di Lèucade |
I
dintorni dell’amore ricordando Catullo,
s’intitola il secondo volume di un’opera iniziata con I dintorni della solitudine. Si, perché si tratta di adiacenze, di
vicinanze sia nelle pagine dell’uno che dell’altro testo; e sarà bene, fin da
subito, intendersi sul significato da attribuire al termine: sono paraggi,
luoghi limitrofi quelli considerati, e già la scelta semantica lascia
trasparire una accorta circospezione da parte del poeta nell’appressamento a
temi che investono l’emotività del più profondo sentire.
Voglio dire che Pardini sa bene che i
“terreni” sono impervi da attraversare e si rifa’ alla metafora del fiume, come
si legge nell’incipit della Lettera ad
una amica mai conosciuta, che precede i versi e che riporto per maggiore
chiarificazione:
“E’ proprio vero, il fiume scorre,
portandosi dietro ciottoli, acque chiare, torbide, detriti, piene, e bonacce. E
tutto va a finire in un mare immenso, infinito. Avrà funzione catartica quel
mare, che all’apparenza pare chiaro e brillante, poeticamente tanto vicino
all’eterno? Potrà purificare tutto? La portata del fiume è pesante. Pesante
quanto la nostra memoria. E a chi l’affideremo quel grande patrimonio che tutti
ci portiamo dietro […]”.
Domande esistenziali che riguardano il
destino finale dell’uomo, che l’uomo si è sempre posto nonostante il dilagare
di un materialismo che sembra disinteressarsene ma con le quali, prima o poi
dovrà fare i conti; domande che parrebbero non avere risposte ed invece trovano
conferma “in tutto ciò che di terreno ci circonda”.
“[…] Ma torniamo al grande fiume -
prosegue la lettera - Cara mia, il fiume sta per fluire nel suo grande mare.
Spero solo che si tratti di un’acqua non troppo salata né troppo sporca […] E
spero, anche, ritornando a terra, che il mondo cambi in meglio […] I giovani
hanno bisogno di essere compresi e di essere aiutati. Se lo devono mettere in
capo i nostri politici […]”.
Ho voluto insistere sulla missiva
introduttiva in quanto, nella stessa, sono contenuti gli elementi che
caratterizzano tutte e tre le sezioni del libro.
Nella prima - esplicitamente di
catulliana memoria - Delia (la Lesbia pardiniana) viene invitata a prendere
“poche cose” e, solo con quelle, a seguire il Nostro “là / dove la fine / ci ha
fatto la promessa / di riscoprirci ancora.”: come dire che nulla di superfluo
serve all’amore, ed è proprio in virtù della sua essenzialità che possiamo
davvero riappropriarci del mistero di noi stessi.
Allo stesso modo in cui il poeta latino
esorta la propria amata: “Vivamus, mea Lesbia, atque amemus / rumoresque senum
severiorum / omnes unius aestimemus assis. / (….) / Dein mille altera, dein
secunda centum, / deinde usque altera mille, deinde centum.” (“Viviamo, mia
Lesbia, viviamo e amiamo! / E schiamazzi e prediche di brontoloni / vecchi,
stimiamoli meno d’un quattrino. / (….) / Oh mille baciami volte e poi cento, /
mille ancor baciami volte e poi cento, / mille altre baciami volte e poi
cento!”). Altro esempio che accomuna la sensibilità dei due poeti sono i
celebri versi catulliani: “Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris. /
Nescio, sed fieri sentio et excrucior.” (“Odio ed amo. Perché lo faccia, mi
chiedi forse. / Non lo so, ma sento che succede e mi struggo.”), dove il
tormento interiore è causato da sentimenti opposti ma non per questo parimenti
e correttamente riconducibili al dissidio interiore che l’essere umano
inevitabilmente si trova a vivere quando è innamorato: è proprio
nell’espressione più alta degli stati d’animo che si rivela l’aspetto
dicotomico e duale dell’esperienza esistenziale.
Di
vita, di mare e di amore - la seconda sezione - trasla e universalizza
l’amore: qui Pardini ci, e si, esalta nell’esternazione di un sentire che va
ben oltre i limiti del rapporto uomo-donna contemplando l’assoluto della
bellezza naturale: “E noi ti demmo morte / senza nemmeno piangere, immemori /
dei riti tramandati dai pagani / pietosi per i cicli della vita”. Le tre
insuperabili liriche di apertura trasmettono, di nuovo, e ancor più icasticamente,
la lacerazione sofferta dall’animo per le ferite inferte dalle nostre “lame
affilate” al cuore della Madre.
Il volume si chiude con il Canzoniere pagano: una crestomazia di
sonetti nei quali m’è parso rinvenire il desiderio del poeta di “dare ordine” -
per così dire - all’alternanza che tanto caratterizza le prime due parti. Mi
spiego: è come se in lui si placasse quel dissidio, quel tormento ineludibile;
come se - sulla carta - la penna scivolasse dolcemente verso la catarsi.
E mi piace tornare all’allegoria iniziale
del fiume che sfocia in mare: forse - meglio: certamente - l’amore umano altro
non vuole che riunirsi all’amore universale “lasciando in esso -
pascolianamente - un palpito nuovo, eterno, suo.”
Sandro Angelucci
DAL TESTO
E NOI TI DEMMO MORTE
E noi ti demmo morte
con lame affilate nei fianchi
con strumenti devastanti
proprio nei giorni lucidi dell’estate
quando anche i sassi chiamano il sole
e lo invocano le zolle come specchi.
Ti demmo morte
e ne facemmo festa
zuppandoci assatanati nel tuo sangue
dopo avere frantumato le campagne
e ridotto in poltiglia le buttate
che brindavano allegre col maestrale.
E noi ti demmo morte
senza nemmeno piangere, immemori
dei riti tramandati dai pagani
pietosi per i cicli della vita.
E tu amica ci apristi le braccia
quando su noi calò l’ultimo sole.
Si ruzzola e si rimbalza in due nella corrente turbolenta del fiume della vita, per giungere alla foce, nel mare misterioso e sconfinato dell'Essere, senza sapere dove andrà a finire "quel grande patrimonio che tutti ci portiamo dietro". Stupenda metafora dell'essenzialità e della complessità del sentimento amoroso. Si uno in due, o due in uno: sta qui l'acuta intuizione critica di Sandro Angelucci, che ringrazio, su di una poetica - quella pardiniana - che sempre si rinnova e non smette mai di stupire noi lettori. Spero di potermi procurare quanto prima questi nuovi "dintorni" pardiniani, immersi nel fiume immortale dell'amore sotto il segno del grande nume catulliano.
RispondiEliminaFranco Campegiani
Grazie Franco per la tua considerazione, sempre presente e attenta. Si, è così che ho interpretato il viaggio del fiume pardiniano: un cammino che nulla tralascia e tutto trasporta fino alla foce nel mare dell'Essere.
EliminaSandro Angelucci
I commenti possono solo sembrare atti di presunzione dopo una lettura come quella di Sandro. Lettura che, com'è nelle sue corde', crea empatia assoluta con il testo dell'Autore. In questo caso la simbiosi nasce con l'Opera di Nazario, "I dintorni dell'amore", che dà risalto alla completezza di un Poeta che ha alle spalle un tirocinio precoce e una vocazione che non ha mai conosciuto vacillamenti. Non ho letto quest'Opera che sembra essere il proseguo dell'altra, ma Sandro possiede il Dono di scrivere analisi che conducono sulle orme degli Autori. Tre sezioni, in crescendo e in armonia con l'amore inteso come sentimento di 'catulliana memoria' per la donna, esaltata in tante circostanze da Nazario, quasi come mito cosmico, staccato dalla concretezza quotidiana e proiettato sullo schermo grandioso dell'anima. Una seconda sezione che tende a universalizzare l'amore, a renderlo patria interiore, seme di ogni radice. Bellissimo il cantico al mare, simbolo della natura nella sua totalità. La vita e la natura madre - benigna non rispettata da noi figli anima la terza parte di questo capolavoro e la lirica postata ne è esempio sublime.
RispondiElimina"E noi ti demmo morte
senza nemmeno piangere, immemori
dei riti tramandati dai pagani
pietosi per i cicli della vita".
E' ben manifesto il carattere solitario che si riversa all'esterno, ma fa pensare anche a un naufragio nel nostro stesso sangue. La chiusa è un gioiello pardiniano: l'amore vince sul dolore, sui nostri errori, la natura come vera madre ci accoglie comunque luminosa nel suo grembo. La musica è altissima, come sempre. Laddove la metrica è pensiero, ispirazione, non tecnicismo si eleva altissima e riempie i sensi, le stanze del cuore, i desideri.
Ringrazio l'amico fraterno Sandro per avermi concesso di accedere umilmente a tanto Dono e il nostro Nume Tutelare, trapezista di sentimenti e di magie.
Maria Rizzi
E grazie anche a te, Maria.
EliminaA me piace scrivere sull'opera in primis e sull'autore conseguentemente cercando di coinvolgere il lettore attraverso le mie impressioni.
Forse la critica ufficiale è altro ma io questo so fare
Sandro Angelucci
Grazie Sandro Angelucci, il tuo commento mi ha fatto ritrovare il senso una poesia di Pardini che già mi aveva colpito in passato."E noi ti demmo morte"...una ferita che l'umanità infligge a se stessa quando si separa dalla sua origine di bellezza e amore di cui la natura stessa l'ha dotata...come non pensare ai teatri di violenza di questi giorni nel mondo?Come è possibile però, mi chiedo, misericordia per tanta crudeltà verso chi è inerme?
RispondiEliminaGrazie Giusy.
RispondiEliminaIn quanto alla misericordia io credo che sia necessario distinguere: ci sono due tipi di compassione, quella che nasce dall'empatia (la piétas latina per intenderci) e quella (sciaguratamente arida e vuota) dell'uomo dei nostri tempi, che, smarrito il bandolo della matassa, non sa più colloquiare con se stesso, con il suo io interiore.
Ovviamente è un percorso difficilissimo nella babele che ci circonda ma non credo ci siano altre vie d'uscita: è la natura l'esempio da seguire!
Sandro Angelucci