lunedì 7 settembre 2015

FRANCO CAMPEGIANI: "MOSTRA DELLO SCULTORE GASTONE PRIMON"



Franco Campegiani collaboratore di Lèucade

Terrestrismo

Mostra dello scultore Gastone Primon presso il Museo Civico "Umberto Mastroianni" di Marino (dal 05/09 al 27/09/2015)







La poetica di Gastone Primon è animata da un fuoco distruttore e restauratore nello stesso tempo. C'è un aspetto antiquario, nei suoi impasti materici, che non deve suonare come un rimpianto di stagioni passate, ma come un tentativo di dialogo con le culture più remote dell'umanità per averne nuove spinte vitali nel mondo d'oggi. Il riferimento è ai substrati misterici delle antiche culture mediterranee, legati alla ciclicità della Terra Madre, precedenti allo strappo prodotto dal razionalismo grecoromano con l'innesto di quel processo che ha gradatamente condotto, nei secoli e nei millenni, allo squallore attuale. Ed è con quelle arcaiche culture che l'artista dialoga incessantemente, giacché le sente vive, non morte.
Non è un caso che, nei suoi impasti ceramici, lo scultore estense (romano di adozione) introduca sovente degli elementi archeologici, come a volerli rigenerare nella modernità. L'amore per i Paleoveneti, per l'archeologia, nonché per gli antichi maestri estensi, la cui storia egli conosce come forse nessun altro, va di pari passo con una poetica legata alla terra ed al fuoco, in una parola agli elementi, che lui sente in maniera viscerale, quali antidoti contro i venefici di una cultura millenaria fondata sul desiderio di affrancamento dall'ordine naturale. Tentare di uscire dallo stallo, dall'odierna stagnazione culturale, dal rogo dell'antropocentrismo che viviamo, non può significare altro, infatti, che collegarsi, sia pure inconsciamente, con il cosmocentrismo e con il terrestrismo più arcaici, con quei misteri della Morte-Rinascita che troviamo ad esempio nei culti di Eleusi (Persefone e Core, per intenderci), come pure nel mito dell'Araba Fenice.
Avviene spessissimo che Primon si affidi, per comporre le sue opere, ad elementi e ad oggetti trovati in natura, sia pure là pervenuti da una lunga e consumata consuetudine con la storia e le storie dell'uomo. Egli è letteralmente affascinato dalle culture che vivono di questa osmosi, di questa rete di scambi con la natura, nello sforzo di creare un habitat gradito alla Madre che ci ospita, un alveo naturale in cui stabilire le proprie radici, la propria dimora. Ed è qui che nasce il desiderio di amalgamare, nelle sue opere, reperti archeologici e reliquie fossili con prodotti e scarti della moderna cultura industriale.
Lo scultore è anche pittore materico, ma la sua opera pittorica non è fondata sul colore, bensì sull'assemblaggio e sul collage, dove entra di tutto: cassette della frutta, cartoni pressati, plastica arrotolata, dipinta e poi bruciata. Una tecnica che non deriva dalla pittura, ma dalla lavorazione della ceramica. E' materiale povero, il suo. I tubetti li ha usati in passato, oggi non più. Gli acrilici pure. Predilige i colori lavabili, e poi ama molto bruciare. Utilizza di tutto. La pietra gli piace, ed anche il legno, soprattutto quando, prima di lui, l'ha già lavorato la natura, il fulmine. Ci si soffermi di fronte allo spezzone di tronco fulminato che troviamo in esposizione: sembra un lacerto amputato di un grande animale, una zampa, forse, o un uccello ferito in volo, un trofeo di caccia, un animale macellato. 
L'animalità della natura, la natura pensata e vissuta come un grande animale: un immenso cuore che pulsa, ma soprattutto un'anima, una prorompente intelligenza creativa. C'è, costante, l'idea del riciclaggio, del rimpasto, della rigenerazione; la visione della vita e della morte fuse in un unico respiro. Tutto rientra nel circolo, ed è per questo che l'artista utilizza di tutto nel suo laboratorio creativo. Anche se predilige l'argilla, per la malleabilità e l'immediatezza espressiva. L'argilla, cuore e collante, sangue ed anima di ogni essere del creato.
Ed è questo, se vogliamo, uno sviluppo della poetica del ready-made, dell'oggetto trovato, tanto cara al Dadaismo, con la sua polemica nei confronti della tecnologia e del consumismo industriale che alimenta l'effimero. Una polemica, quella dadaista (comune anche alla Pop Art), nei confronti della consumazione vorticosa delle cose imposta dai modelli della cultura attuale, che Primon riconduce tuttavia nei binari autenticamente metamorfici del creato. Uno sperimentalismo non effimero, perché non ricalca i modelli usa e getta della cultura industriale. E' il morire e rinascere, il rinnovarsi festoso ed angoscioso della vita.
La velocità di Primon non è più quella del Futurismo, tutta proiettata in avanti, verso le conquiste di quel progresso tecnologico che stiamo scoprendo responsabile di guasti difficilmente risanabili. L'artista, dalla sensibilità acutamente contemporanea, coltiva un rapporto di odio-amore nei confronti della cultura scientifico-tecnologica. Da un lato ne subisce il fascino ed è catturato dalla sua spinta innovatrice, mentre dall'altro ne avverte i pericoli e si proietta all'indietro, cercando nelle ere archeologiche e geologiche addirittura. Una velocità, un movimento a trecentosessanta gradi, capace di assimilare il futuro più avanzato con il passato più remoto. Un leitmotiv, d'altro canto, caro all'intero avanguardismo storico, contrassegnato da primitivismo e avvenirismo nello stesso tempo (basti pensare a Picasso). E' l'eterna avventura dell'energia vitale, che si fa mortale per potersi rigenerare in continuazione.
Inevitabile il confronto con i grandi Maestri dell’Informale (Burri e Fontana principalmente). Un confronto da cui non possono che emergere le particolarissime peculiarità del Maestro estense. Dove, infatti, Burri non fa che evidenziare i processi degenerativi della materia, la sua generale consunzione, il suo ridursi graduale a polvere e a terriccio informe, Primon tende a cogliere l’azione proteiforme e metamorfica della natura, il suo distruggersi per rigenerarsi in continuazione. Confronto assai più calzante può essere fatto con Fontana, anche per l’amore espressamente dichiarato da Primon per questo grande esponente dell’Informale.
C’è tuttavia da evidenziare la differente tipologia artistica primoniana, che non è tesa a registrare la glaciale spazialità, bensì il ribollire tellurico, ctonio. E potremmo dire anche cosmico, se per cosmos potessimo finalmente intendere non più un ordine avulso e distaccato dal mondo, ma un ordine convulso e intrinseco al mondo stesso, radicato nel caos magmatico e incandescente delle cose, nel pane lievitante del creato, nei processi generativi-degenerativi del pianeta e del cosmo in cui viviamo. E’ la ciclicità metamorfica della vita ciò che l’artista evoca in queste lacerazioni e in questi strappi, potremmo dire in questi parti, da cui germina in continuazione l’urlo rinnovato della vita.


Franco Campegiani



1 commento:

  1. Una mostra di grande interesse e straordinaria vitalità. Anche se le terrecotte sono il pezzo forte e i dipinti sono i maggiori poli di attrazione della mostra, i pezzi di legno bruciati, tagliati e violentati dai fulmini, prlano, urlano e attraggono il visitatore come una poesia della terra colta a frammenti. Sono un grido d'albero: dolore, orrore, paura e immobilità, un attimo congelato in quel gesto che si ribella alla tempesta e che esprime la dignità del Creato!
    Bella mostra!
    Claudio Fiorentini

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