Umberto Cerio collaboratore di Lèucade |
Pasquale Balestriere collaboratore di Lèucade |
Per “ULTIMO CANTO PER IL PADRE”
di
Pasquale Balestriere
Ventidue
endecasillabi, quasi sempre perfetti (voglio dire di classica fattura)
ricordano e riassumono i molti canti dedicati dal poeta al padre. Ad un padre
presente, sempre, in una lirica dove, sul pentagramma dei ricordi, vive un
presente, dove alcune metafore segnano la vita vera e le sue alterne vicende.
Il ritmo è incalzante con -mi pare di contare- almeno otto versi dove
l’enjambement possa far fluire pensiero immagini e profondo sentire, con
qualche breve sosta per consentire di raccogliere e controllare le emozioni. Le
metafore usate quanto basta con sicura
parsimonia ma con certezza di risultati, ci consegnano luce e “tenebre” e “ricerca” (di) un porto vero
/ dove prove d’approdi, di conati / falliti sempre d’una piuma ….”. E’, in fondo, questa, posta in un incipit deciso e
controllato (ma nello stesso tempo straripante), contenuto e autenticamente
ricca di pathos, una metafora ed una ricerca che alla fine gli (e ci) assicura
con certezza un esito, un approdo. Balestriere ci ha abituati ad un linguaggio
e ad una parola senza fronzoli, ma profondamente precisa ed esaustiva, senza
mai solleticare nel lettore una effimera ed inutile adesione accattivante.
L’essenza del dettato del poeta di Barano d’Ischia si dipana nella verità che
vuole comunicare con immediatezza, senza strizzare l’occhio per sollecitare
superficiale consenso. Le sue parole, il suo verbum tende sempre al vero che
sente nascergli dentro e che ci comunica con semplicità e schiettezza,
scoprendo, talvolta, una quasi infantile maraviglia: “… Rivedono gli occhi / (o credono) del grano il verde mare / e viti
appese a sinuose colline / sotto
cieli d’infanzia -azzurri dunque-, / solerti al ruzzo passeri e fringuelli,…“.
E’ qui l’adesione, direi immediata e incondizionata, al mondo del padre (“il tuo volto giocondo alla fatica”) che gli ha trasmesso amore
profondo per i campi e la natura piena di sole. Altrove (Il sogno della luce, VI) aveva scritto: “E ti ricordo, padre, in questo suono / d’ampie campane, poco / prima
che chirurgici ferri offendano / i miei occhi ….”. Ora chiude questo canto
un ricordo che è anche quasi una promessa:” Ed
ora… sappi, padre, / che questo tumido lacerto
…. serba anche il pianto del distacco
/ celato per pudore dai tuoi occhi, / quando partii nel vento della vigna”.
Quel “padre” più volte reiterato,
vuole sottolineare anche la sacertà della vita (nel passaggio padre-figlio)
dell’uomo immerso nel valore, nel calore e nell’amore della terra comune.
Umberto
Cerio
Ultimo
canto per il padre
Vorrei parlarti, padre, in questa notte
da questa nave che batte a fatica
le tenebre e ricerca un porto vero
dopo prove d’approdi, di conati
falliti sempre d’una piuma. Intanto
scorre il vento sull’èquore increspato,
grida un sottile silenzio, uccellino
di cristallo: perciò trabocca ancora
fiume di canto dagli argini della
memoria, note tristi che ravviva
l’arpa del cuore. Rivedono gli occhi
( o credono ) del grano il verde mare
e viti appese a sinuose colline
sotto cieli d’infanzia -azzurri, dunque-,
solerti al ruzzo passeri e fringuelli,
il tuo volto giocondo alla fatica.
Ed ora, d’oltre il cielo, sappi, padre,
che questo tumido lacerto detto
cuore serba anche il pianto del distacco
celato per pudore dai tuoi occhi,
quando partii, nel vento della vigna:
perenne graffio, padre, acre dolore.
Pasquale Balestriere
È emozionante questo canto d’amore e di nostalgia per il padre di P. Balestriere, tocca le corde più intime dei nostri affetti, delle nostre “assenze”, delle nostre felicità perdute o disconosciute. Sottolinea le fragilità di ogni figlio, consapevole o no, eternamente insufficiente di fronte alla perdita, il “porto vero” cui vorremmo tendere e che ci spinge a tentare e ritentare, invano, l’approdo. Rimane il ricordo terrestre, ma carico di sacralità, la memoria arginante: grano, viti, colline, vento, cieli d’infanzia…pianto, fatica..
RispondiEliminaIl pudore è la Musa che assiste alle prove poetiche del Poeta, un pudore controllato che si declina e misura nei richiami classici, nel ritmo elegiaco,nella versificazione sapiente nel non esibito sentimento
Una poesia bellissima e toccante.
RispondiEliminaSono molto grato a Maria Grazia Ferraris per il suo commento che rivela acutezza esegetica e perspicacia critica, ben note peraltro ai lettori di questo blog.
RispondiEliminaE grazie anche all'anonimo, telegrafico commentatore.
Pasquale Balestriere
Aggiungo un pubblico e affettuoso ringraziamento agli amici Nazario Pardini e Umberto Cerio (ai quali peraltro ho manifestato la mia gratitudine in privato): al primo, per l'ospitalità, come al solito, generosa; al secondo per l'eccellente presentazione.
RispondiEliminaPasquale Balestriere
La natura, quella umana di figlio, e quella del paesaggio di colline e vigneti, e l'Arte poetica di Pasquale Balestriere, si combinano magicamente. Poesia colta la sua, quella di uno che ha tanto assaporato le parole in virtù degli studi classici, legato alla propria terra da una armoniosa catena, ed è il padre, come afferma il bravo Umberto Cerio, “che gli ha trasmesso amore profondo per i campi e la natura piena di sole.” In tutto questo amore il poeta specchia la sua vita, sempre “alla ricerca di un porto vero”, e il ricordo mai sopito del padre rende chiaro il percorso ancora da compiere. Questa è la forza del poeta che sfocia in commozione intensa e vera.
RispondiEliminaUbaldo de Robertis
Che piacere ritrovarti qui, caro Ubaldo! E grazie per la tua nota saggia, puntuale e profonda.
RispondiEliminaPasquale Balestriere
Un canto commovente e puro, in cui le note esaltano un puntuale, profondo sentimento per la figura paterna, contraltare ad una magia della parola che trasmette la memoria, non rarefatta, ma emozionante e sincera che sembra percorrere il viaggio della vita in solitudine. L'atmosfera è quella agreste, dove i vigneti e i campi carezzati dal sole, fanno da testimonianza a vincoli sacri, in cerca "di un porto sicuro". Poesia alta, che rispecchia la magia di un rapporto filiale tra i più forti, un verso sapiente e maturo che si avvale di una sacralità mai esibita, ma guidata e sommessa, quasi preghiera che recita la bellezza dei tempi andati con profonda ed accorata nostalgia: vigne, grano, campi arati, passeri e fringuelli sono metafore di un amarcord che ne rivela l'intrinseca commozione. Un bel testo, pienamente risolto con felici immagini poetiche.
RispondiEliminaNinnj Di Stefano Busà
Accolgo con molto piacere questo intervento di Ninnj Di Stefano Busà, che ho recentemente rivista e con la quale mi è stato gradito discutere di letteratura e dintorni.
RispondiEliminaIl suo commento incide in profondità e dice con chiarezza le doti critiche di chi l'ha redatto.
Grazie Ninnj!
Pasquale Balestriere
Avevo letto immediatamente, non appena pubblicati, sia la poesia di Pasquale, sia l'ottima presentazione di Umberto, e mi ero ripromesso di intervenire con un commento. Lo faccio adesso, con ritardo, e me ne scuso, ma Pasquale conosce i miei impegni di agricoltore (come io conosco i suoi) e sa che ora mi trovo in piena vendemmia (come forse anche lui). Condivido i punti essenziali con cui Cerio commenta l'"Ultimo canto per il padre": l'impianto classicheggiante; la ricchezza metaforica, in un linguaggio comunque asciutto e senza fronzoli, semplice e schietto, che comunica "una quasi infantile maraviglia"; e poi l'"amore profondo per i campi e la natura piena di sole", trasmesso dal padre al figlio, unitamente alla "sacertà della vita". Vorrei, da parte mia, evidenziare il verso che ritengo centrale in questo canto modernissimo (e proprio per questo classicheggiante) di Balestriere: "il tuo volto giocondo alla fatica". Sta qui, in questa armonia stupenda dei contrari, la lezione di vita che il padre contadino impartisce al figlio contadino, nel silenzio più assoluto, senza bisogno di salire in cattedra e insegnare.
RispondiEliminaFranco Campegiani
Grazie, caro Franco, del tuo commento. Sei stato perspicace e profondo nello "svelare" quel verso che rischia di passare quasi inosservato dopo quel "trionfo" della natura. Sì, mio padre era così: paziente, ottimista, laborioso, fiducioso, positivo. E, come dici tu, ha insegnato senza bisogno di parole e di cattedre.
RispondiEliminaMa ancora mi punge il cuore il suo pianto silenzioso in una piccola vigna non lontana da casa -il capo poggiato su una spalliera di viti- dopo aver saputo che il giorno successivo sarei partito militare. Ultrasettantenne piangeva, senza essersi accorto di me. Commosso, tornai indietro, chiamai da lontano. Mi venne incontro sorridendo...
A questo fatto alludono gli ultimi quattro versi della lirica.
Buona vendemmia, Franco. E grazie ancora per il tuo acuto intervento
Pasquale
Giunto con notevolissimo (ma incolpevole) ritardo alla “chiama” per questa stupenda lirica di Pasquale Balestriere (mi scuserà l’amico Franco Campegiani se non gli lascio la “soddisfazione” di chiudere, almeno per ora, il cerchio degli interventi…), trovo del tutto puntuali e circostanziati tutti i contributi critici, a cominciare ovviamente da quello introduttivo di Umberto Cerio, che da par suo ha dissertato sugli aspetti stilistici e sostanziali di “Ultimo canto per il padre”.
RispondiEliminaPosso per mio conto aggiungere che in questo struggente canto dalle atmosfere campestri, appartenute ad una civiltà contadina ormai quasi del tutto sparita (“Rivedono gli occhi / ( o credono ) del grano il verde mare /e viti appese a sinuose colline”), Pasquale Balestriere compie un onirico viaggio nella memoria, alla ricerca di quegli affetti familiari ormai definitivamente consegnati all’archivio dei ricordi. Un invisibile filo di Arianna guida la sua “nave” alla “ricerca di un porto vero”, quello cioè sicuro e lungamente desiderato dell’abbraccio paterno. Si tratta di una sorta di risarcimento postumo, di un debito d’amore finalmente onorato nei confronti di chi, il “volto giocondo alla fatica”, nascondeva “il pianto del distacco” per la partenza del figlio “nel vento della vigna: / perenne graffio, padre, acre dolore”.
Un debito d’amore, dunque, per quella lacerante sofferenza procurata, seppure involontariamente, al padre. Ma il “nostos” sottende anche, credo, un inconfessato senso di colpa per quel “pianto”, ferita ancora aperta non solo nel cuore del padre, ma anche in quello del poeta, che con questo “approdo” sembra voler chiedere perdono al genitore e rassicurarlo, lui in interminabile ed estenuante attesa, e così certificare la saldezza di un amore filiale inossidabile e, appunto, tenace come i tralci di quelle vigne così care e amate. E mentre finalmente il poeta si scioglie nel liberatorio abbraccio paterno, mi piace immaginarlo (e mi pare di sentirlo) pronunciare le parole per troppo tempo (e per pudore) non dette: - Eccomi. Sono tornato per sempre -
Umberto Vicaretti
Emozionato per la qualità e l'acutezza del commento che, con discrezione, entra nella realtà più profonda di questo testo poetico e dell'esperienza affettiva che lo trama e totalmente intride, ringrazio vivamente l'amico Umberto Vicaretti, ancor di più perché il suo intervento, che si connota per sensibilità esegetica e critica, è giunto inaspettato. E, per questo, molto gradito.
RispondiEliminaAncora grazie, Umberto!
Pasquale Balestriere