Giorgina Busca Gernetti: Echi
e Sussurri.
L’ultimo ricco e significativo
libro di poesia di Giorgina Busca Gernetti
(64 poesie), dal titolo Echi e
sussurri ( stampato dalle edizioni Polistampa nel
2015), si articola in cinque sezioni ( Fiori della notte, Alba dell’anima,
Seduzioni, Immagini elleniche, il canto di Orfeo) : un arco di emozioni, riflessioni, ricordi,
sentimenti, canti lirici che si inseguono nella memoria, nello spazio
e nel tempo e che muovono dal biografico (in particolare le prime due
sezioni) per allargarsi alla originale
rielaborazione del paesaggio (vicino e lontano, quotidiano e onirico) e del mito greco, fino a culminare
con la meditazione su Orfeo: la eterna poesia. Un vero itinerario spirituale.
Fa
da guida ad esergo di ogni sezione una citazione di poesie di R.M.Rilke:
fascinosa dotta presentazione del libro
che diventa quasi una prova di costruzione strutturale per la colta scrittrice. Accompagnano- le
belle citazioni- tutto l’itinerario,
segnando l’alveo culturale nel quale si muove la sua nuova poesia.
Un
esempio: “Tutto seduce. L’uccello più minuto ..il fiore cerca spazio…e quante
cose non esige il vento?”, posto all’inizio della sezione SEDUZIONI oppure “
Orfeo canta! ..E tutto tacque. Ma anche in quel tacere/ fu nuovo inizio, segno
e metamorfosi”, ad esergo de IL CANTO DI ORFEO.
Già
le prime poesie della raccolta fanno esemplarmente da apripista al mondo e ai
sentimenti della poetessa: la sera, l’inverno gelido, il buio.. : sentimenti
melanconici e desolati che si allargano
via via fino ad includere il tema
esistenziale della fragilità, del dubbio, della solitudine, del silenzio, del tempo inesorabile, fino
l’abisso nero che ci aspetta.
In
questo itinerario c’è l’espressione consapevole
della ricerca conoscitiva dell’autrice, corroborata dalle citazioni
colte (in primis il Foscolo, di Rilke si è detto): “Quando scendi invocata/o cara sera amica…
sulla mia sorte, nel vagar sull’orme/ che
vanno al nulla eterno”, e dallo stile piano, metricamente curato, che ci fa
dotti delle sue letture e frequentazioni
classiche, anche nel gusto della sobrietà, nella scelta privilegiata
dell’endecasillabo, della misura, della
parola controllata, dell’armonia che allontana ogni rischio di enfasi: “Essere
soli. Averne il coraggio,/resistere, serrati dentro a un carcere,/ alle
lusinghe del mondo…”. E via con
citazioni rielaborate e condivise che
accarezzano il cuore di chi frequenta le case dei Poeti: “Solo e pensoso sulla rena d’oro/il mare viola il poeta
contempla…(Il poeta esule), “Riluce il
tremolar della marina/ dinanzi a me…” (Le voci del silenzio), “Per l’antico
tratturo verso valle/-erbal fiume silente-/la
lunga schiera soffice discende…(Nostalgia delle greggi). Difficilissima
operazione quella di mutare in versi la cultura, la conoscenza, la ricerca
metafisica se non si possiedono saggezza
e umiltà, studio e consapevolezza
autocritica. Qui l’operazione è debitamente riuscita.
Lo sguardo si allarga, si
stratifica sfrondando l’inutile e il
contingente per raccogliere con orecchio allenato il particolare, le sfumature,
le voci segrete, i brividi, i misteri e
per elevarsi, elisa ogni interferenza troppo umana, sfuggendo ai baratri
spaventosi dell’umano sentire, ad orizzonti ampi, forse irraggiungibili di
metafisiche meditazioni ( in particolare nelle poesie di Immagini elleniche). La musica e l’armonia,
la spiritualità e la cultura, i colori e i sogni svelano con discrezione il mistero del poeta, il seduttore
musico dell’arcano e del canto orfico.
Una scelta di poesie ad
esempio:
ALBA
DELL’ANIMA
Nel lucore dell’alba
l’anima
lieve si libra nell’aria
–
tenera foglia danzante nel vento –
candida
e pura, dall’ombra mondata
degli
angosciosi tormenti di ieri.
Fresca
rugiada sull’erba, sui rami
dei
meli in fiore, dei mandorli e peschi,
tutto
ristora, disseta, risveglia,
rafforza
e fiero vigore v’infonde
per
la lotta del vivere.
Rugiada
scende limpida nell’anima
–
puro lavacro in sacrosanto rito –
e
pace effonde, luce più serena,
intima
forza ad affrontare il giorno
senza
tetri timori.
La mia pianura
Amara nostalgia della mia terra
piana,
per vaste lande senza limiti,
senz’orizzonte
certo, mai immobile
per
essere raggiunto dallo sguardo.
Sconfinata
pianura dell’Emilia
distesa al sole, invasa dalla nebbia,
lambita
dal maestoso lento fiume
con
silente carezza alla sua sponda.
Dorata
dalle spighe di frumento
-musica
serenante delle reste
ondeggianti
nel vento carezzevole-
quando
l’estate viene a offrire doni.
Mare
di spighe, di vigneti ed alberi
di
frutti variopinti, profumati,
gioielli
di bellezza inimitabile.
Senza
mai fine la pianura fertile.
Con
lei mi fondo, anch’io senza orizzonte
certo,
ben definito, teso l’animo
all’infinito
vago, irraggiungibile,
unica
meta per il mio vagare.
TYRRHENUS
Il dio Tirreno m’accoglie paterno
tra
le sue sacre braccia cristalline.
Ecco
di nuovo i pesci a me d’intorno
guizzanti
senza tèma
del
corpo mio di terrestre creatura.
Nel
giorno torrido della Canicola
improvvisa
una gelida corrente
per
donarmi frescura m’accarezza
nell’azzurro
tepore dell’abbraccio
di
Tirreno divino.
Acqua,
mia amica limpida e fedele,
eccomi
nel tuo grembo
più
sicura e serena che tra gli uomini
sulla
terra, creature indifferenti,
incuranti
di chi vive tra loro.
Nel
tuo grembo materno, acqua, ritrovo
il
caldo affetto troppo raramente
goduto
per gli abbracci degli umani
nella
mia triste infanzia solitaria,
muta
di luce e amore.
IL PIANTO DI ORFEO
Che fare solo, dove mai andare
dove
mai trascinarsi senza lei,
due
volte a lui rapita, amata sposa?
Fredda,
già navigava nella lieve
piccola
barca stigia verso l’Ade.
Orfeo
si lamentò per sette mesi
sotto
una aerea rupe presso l’onda
del
solitario Strìmone, negli antri
gelidi,
con la lira e il triste canto
tigri
ammansendo e trascinando querce
con
l’angosciante, arcana sua poesia
di
sciamano che incanta e smuove pietre.
Come
dolente un usignuolo piange
nell’ombra
fitta d’un frondoso pioppo
i
figli suoi perduti, ancora implumi,
rapiti
da un crudele zappatore
che
li scoprì nel nido, i becchi aperti
in
attesa del cibo e della madre;
essa
piange la notte sul suo ramo,
di
giorno il canto doloroso e il pianto
rinnova
e riempie ogni luogo dintorno
di
lamenti, così l’affranto Orfeo,
della
lira le corde accarezzando,
canta
dolente una mesta poesia.
L’ETERNO CANTO DI ORFEO
Ovunque è poesia. Ovunque guardi
con
animo commosso ed occhio attento
al
più piccolo fiore tra le pietre
sbocciato
a stento, ma con vital forza
d’aprirsi
un varco, d’innalzarsi al cielo,
c’è
poesia fiorente intorno ai petali
come
intenso profumo in primavera.
Orfeo
risorto, non mai morto Orfeo.
Perenne
il canto suo nella natura,
nel
cielo, nelle stelle, nella luna
piena,
calante, oppure nuova e tacita
nella
valle, o crescente sopra i colli
come
sottile falce all’orizzonte.
Ovunque è poesia. Eterno è
Orfeo.
*
M.Grazia Ferraris
Un commosso ringraziamento alla bravissima Maria Grazia Ferraris per la sensibile, profonda, acuta, empatica e colta lettura del mio libro di poesia "Echi e sussurri".
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