Giusy Frisina, collaboratrice di Lèucade |
Giusy Frisina. Percorsi effimeri. Gioacchino Onorati Editore. Canterano (Roma). 2016. Pg. 104
Smarrimento
Io, Principessa
Rinchiusa in sterminate
prigioni di stelle
Scivolata su oscuri pavimenti
di vuoto
Immersa in vasche traboccanti
di pensieri
Ho sperato di ritrovarti
-Principe che ora calpesti,
severo,
la mia Ombra-
Nel tuo mantello di sole puro
Perché ti amo
Perché ti amo
Soltanto per la tua luce
Sta
in questa poesia testuale il succo dolce-amaro di questa plaquette. Proprio
nella andatura semantico-allusiva, nel procedere sinestetico-visivo, nel gioco
affabulante della parola di Giusy Frisina: Principessa, prigioni di stelle,
vuoto, vasche di pensieri, ritrovarti, Ombra, sole, luce. Tante indicazioni per
aprire un discorso ontologico, umano, onirico; per avviarci alla percezione del
vuoto, all’aspirazione alla luce, alle vasche traboccanti di pensieri; per
incontrare il bisogno di sole e di mare; di aperture, di immense aperture, nell’attesa
di vagheggiati ritorni di questa plurale poetessa.
Leggere
la sua poesia significa scavare nelle viscere più profonde dell’umano; nei più
segreti intenti; nella più contrastata e misterica questione dell’essesr-ci. Il
percorso è costituito da un climax ascensionale, da un volo che prendendo il
via dalla terrenità, dai più problematici dilemmi; dai cromatici profumi più invadenti
riesce ad elevarsi a sprazzi di azzurità senza confini; ad amori che sanno
tanto di verticalità, di spiritualità, di ricerca di tutto ciò che può essere
valido per l’approdo ad un’isola che forse non c’è; non esiste: tanti interrogativi
a cui difficile è dare risposte. Questo è il travaglio: una navigazione verso
orizzonti infiniti, desiderati, agognati, di difficile ancoraggio; questo è il nostos tanto umano quanto
dubbioso; tanto terreno quanto plurimo; il mare, schiarito appena da un faro limitato
quanto lo sguardo dei mortali, rappresenta meditazione, indagine, azzardo;
slancio verso mète di improbabile conquista. E’ dalla coscienza della effimera
vicenda che deriva il malum vitae, l’inquietudine, o lo spleen dell’esistere. Sentirsi
soli di fronte a tanta immensità non è poi tanto difficile; sentirsi spersi in
così tanta luce, in così tanto cielo, è fortemente umano, o disumano. Ma la
Poetessa sa trovare nella Poesia la scala per accedere al mistero delle cose;
non diciamo la soluzione che non esiste ma il metodo con cui possiamo avvicinarsi
il più possibile alla verità; al Bello; a quella intima quietudine che proviamo
a ri-leggere noi stessi trasferiti in oggettivazioni verbali tanto calzanti e
equivalenti. E si sa quanto sia difficile trovare un verbo adatto a
cristallizzare pensieri profondi, esistenziali
e sentiti (lei filosofo) come quelli della Nostra. Forse nemmeno lei se ne
accorge ma sta nella sua Poesia densa di epigrammatica intrusione il nocciolo
della ricerca; sta in quella verbalità che condensa tutto il suo malessere; sta nel ritorno, dopo una lunga
fuga in cieli e isole stranianti, in se stessa; è lì che l’anima trova l’alcova
del suo riposo. D’altronde i Percorsi effimeri sono quelli di un essere
che scava dentro sé per trovare il ruolo dell’esistere in questa realtà tanto
labile e passeggera; in questa permanenza fra terra e cielo; fra mare e terra;
fra sole e ombra; fra solitudine e
odissaico ardire; fra abbracci di amori epifanici
e delusioni per fughe imprevedibili. E’ il mare che la Poetessa vagheggia, è l’onda pellegrina che più
rappresenta la sua humanitas, la sua clessidra, il suo vagare; ed è di fronte
all’immensità di cotanto piano che lei immerge il suo essere per dare riposo alle sue inquietudini. Qui la
complessità della sua storia; qui il
riverbero tanto nuovo quanto umanamente ancestrale di un patema che da
soggettivo si fa universale per il suo oggettivo e trasversale messaggio. Squarci, La ricerca interminabile,
Rinascite, Canzoni per Leonard Cohen, sono le sezioni in cui si divide
l’opera: Percorsi effimeri. Un fluire epifanico accompagnato dalla musica
di Cohen; da quella poetica musicalità che da sempre è stata la dea
accompagnatrice dello spirito della Frisina che, vòlto verso mete di memorie
sconosciute, verso altre vite di carta, attimi eterni, o Angeli misteriosi, chiude il suo poema in
cerca di volti da sfiorare:
Dimmi
dove
(…)
Verso le colline
Di una memoria sconosciuta
Verso la luce
Di una ricerca sconfinata
Dove l’amore incontra ancora
Il dolore e la bellezza
Dove il futuro può lasciare
Una fessura di speranza
A una canzone che non sa
finire
E’ quella la direzione
Senza una meta precisa
Per non continuare a
sbagliare.
Nazario
Pardini, 02/01/2017
Una breve poesia di speranza
scritta in questi giorni di disastri:
ANIME
PERSE
Sepolti
sotto la neve
Il
mio cuore ed un guanto
Aspettano
di rinascere
Per
ritrovare il gemello
Perduto
distrattamente…
Non so se accadrà
domani
Ma è
stato il sogno più bello
Grazie a Nazario Pardini del meraviglioso affresco con cui ancora una volta mi commenta. Lui ha il dono di saper cogliere in modo unico il senso e l'essenza di questo mio inquieto pellegrinaggio verso l'Indicibile , Così mi incoraggia a proseguire nella "ricerca interminabile"senza sentirmi sola. Grazie alla sua grande parola.
RispondiEliminaGiusy Frisina