Luciano Domenighini. Il giardino dei semplici. TraccePerLaMeta edizioni. 2019
Luciano Domenighini, collaboratore di Lèucade |
Oggi
3 gennaio 2019 mi è giunta la nuova opera di Luciano Domenighini. Silloge fine,
ricercata, anche, sottile, delicata che volge lo sguardo ad una tessitura
ampia, larga, plurale, e signorile, mi si passi il termine, secondo la stile
del Nostro. Signorile nel senso raffinato, subito riconoscibile, dallo stile
unico, dal vestito della domenica, dai comportamenti eleganti. Ictu oculi,
scorrendo le pagine di questa corposa opera, è la molteplicità ispirativa di
Domenighini, a colpirmi, a livello formale e contenutistico. Ci mette da subito
in guardia sulle sue capacità versificatorie, sulle sue competenze rimiche; si
va da versi quinari, a senari, a settenari, a ottonari, a novenari, a
endecasillabi, a versi doppi, a metri barbari, a dimetri e polimetri, a versi
liberi per terminare con i Collages leopardiani. E non è che tale quantità di
note prosodiche abbiano vincolato la cosiddetta ispirazione dell’autore, dacché
la sua forza espressiva si mantiene su livelli di alta spontaneità empatica e
meditativa. Tutto gli viene facile, tutto per lui è semplice e fattibile; la
poesia per lui è presenza, non assenza. Non si può dire di sicuro che si faccia
contaminare da certi sperimentalismi di positura prosastica, dove l’io perde la
sua funzione memoriale e storica. Sembra che l’autore giochi con il lettore,
proponendogli delle narrazioni che si dilatano da una semplicità quasi
cantilenante ad una abundantia verbale che mette in chiaro les connaissances e
l’applicazione, il mestiere ed il lavoro del poeta. L’opera inizia con i
versi Quinari, dove Pene d’amor perdute, e A onor
del vero fino a L’amore il poeta
gioca con quartine di quinari in rima, quartine di quinari a rima alternata,
rime e consonanze su quinari sdruccioli, quartine di quinari rimati sul modo
riflessivo; un lavoro di cesellatura sonora e ritmica, che attira e coinvolge
il lettore portato a spasso da una carrozza che scivola su un suolo vellutato. Segue il capitolo dei Senari
che, introdotto dal Motto confidenziale,
comprende un solo scritto dal titolo Per
amor dei poeti. Anche qui Domenighini si sbizzarrisce con un sonetto di
senari. Poi è la volta dei Settenari che
partendo da La canzone di nessuno si
dilata fino a Reportage: da tre
quartine di settenari a rima alternata, a ottava di settenari, a strofe di
settenari, fino a quartina di settenari a rima alternata di Poetica.
Sette le composizioni del capitolo degli Ottonari, che dal Quinto reggimento alpini si estende a La maggioranza deviante; da quartine di ottonari a rima baciata a
una Ballatella in tre quartine di
ottonari a rima alternata. Tredici le composizioni del capitolo dei Novenari:
da Riepilogo e sintesi a Zelig nessuno: da Quartina di novenari
fino a Quartina rimata di novenari disgiunti con chiusa pucciniana. Per passare
al capitolo degli Endecasillabi, del
verso nobile, austero e armonioso per eccellenza: da Oracolo fino a Rimostranza,
da Collage foscoliano da tre sonetti fino a Quartina di endecasillabi a rime
baciate. Seguono Versi doppi, Metri barbari (saffiche), Dimetri e polimetri,
Versi liberi, e per ultimo Appendice (Collages leopardiani). On doit les lire
ces poésies per rendersi conto della
maestosità del lavoro di Domenighini: ogni metro, ogni tipo, ogni struttura,
ogni assemblage, ogni misura è a lui
familiare. E non è affatto uno sforzo racchiudere i sentimenti, i pensamenti,
le emozioni in tanta varietà prosodica. Il titolo di questa opera è IL GIARDINO DEI SEMPLICI, un titolo che
pare come un monito dell’autore: passeggiare per il giardino della poesia con
scarpe semplici e maneggevoli, leggere e calzabili. Metaforicamente parlando,
esprimesi con parole masticabili lontane
da ogni guizzo di pleonastica intrusione, di complicanza comunicativa. E il
poeta lo fa proponendoci varianti senza mai perdere di mira quello che deve essere il fine del
messaggio: farsi intendere.
Molteplici le questioni esistenziali affrontate
nell’opera, intendimenti affidati a
versi di armonica andatura, dacché l’armonia è uno dei punti focali della
poetica del Nostro:
Dal
tema dell’amore:
Rintocca
facile
Campana
l’ore,
nel
cuore gracile
geme
un dolore
(...)
A
quello del vero
Non
son poi tanto
queste
poesie,
un
poco incanto,
un
po’ bugie.
Serve
a qualcuno
La
verità?
Tanto
nessuno
Le
leggerà.
Da
L’Ode a Lorena
Lorena
Glicine
Poetessa
principe
Sempre
partecipe,
Che
fai difficile
Il
carme facile,
Tu
dal tuo vertice
Ci
punti l’indice.
(...)
A
Per l’amor dei poeti
(...)
Cantar
la maceria
D’un
povero cuore
Non
è cosa seria...
(...)
Da
la fugacità della vita (Album di famiglia)
Di
questi eroici amori,
di
quelle care vite,
altro
non più che poche
sparse
foto ingiallite.
Al
senso della fine (L’ultima canzone)
(...)
L’orgoglio
di esser stati,
Silenzi
di carezze
E
odor di gelsomini
Nel
vento della sera...
Dove
il poeta con un po’ di malinconia affronta il discorso del redde rationem
concedendosi a tinte di lirismo, a sprazzi di malinconia.
Dal
tema del sogno
Mi
molce lusinghiero
L’effluvio
dei rosai.
Il
solo mondo vero
È
quello che sognai.
Alla
dedica alla donna amata (Alla donna che amo)
Sarò
pure poco e indegno,
pure
il mondo è dentro me;
nel
mio cuore porto un segno
che
vorrei donare a te.
(...)
Dal
tema delle speranze (Speranze)
(...)
Che
celano adesso le porte
Che
immote depresso io scorgo?
Speranze,
di là della morte,
M’arridono
ignote nel gorgo.
Fino
a Il tramonto degli ideali
(...)
Quel
Dio che nell’oggi m’infonde
Ragione
del tempo che fu.
E
il dì che la mente confonde
S’appressa...
E poi ... nulla più
Tutti
i tasti dell’umana vicenda vengono toccati con leggerezza e onestà
intellettuale; con partecipazione emotiva, per cui difficile non è ricostruire
la filosofia o il pensiero poetico o il rapporto con la società o lo splenetico
abbandono del poeta al fatto di esistere; al mestiere di vivere. E lo fa con
eleganza senza inveire né intonare peana contro chi che sia. Il suo è un
complesso pensiero esistenziale affidato ad una poesia fluente e spigliata,
frutto di un certosino lavoro da giocoliere di verbi e di rime.
Ma
mi piace chiudere con un argomento che senz’altro sta a cuore al poeta:
La
terra delle madri:
Dove
il tema delle radici affonda la lama nella polpa: quella della
madre e quella della Patria:
Non
si sceglie una madre
Non
si sceglie una Patria
Perché
c’erano prima di noi.
(...)
E
poi verrà tutta la vita
Coi
manifesti e le fanfare
E
l’anima schiava d’amore.
Sì,
l’anima schiava d’amore. Così mi piace chiudere questo mio scritto.
Nazario Pardini
RICEVO E PUBBLICO
RispondiEliminaLa mente di chi legge fa a volte salti particolari, a modo suo...questo mi è successo leggendo “ Il giardino dei semplici”, di Luciano Domenighini , silloge poetica di rara bellezza. Leggevo poesie e pensavo :” dev'essere un gran medico!” e perchè pensavo questo dell'amico poeta, critico e, giustappunto medico? Perchè dalla lettura di questi versi esce un'anima pulita, buona, chiara, comprensiva!..come avrei potuto non fare un'istintiva associazione passando da
Lidia Guerrieri (segue)
CONTINUA
RispondiEliminaDomenighini poeta a Domenighini medico di fronte a considerazioni del genere “ ciascun poeta è un viaggiatore alato, anche il più acerbo, anche il più sgangherato che la Musa perdona se il suo cuore è sincero, se il suo canto risuona per le strade del vero” ? C'è una tale umana comprensione per tutti, una tale tenera pietas in questi versi, specie se li paragoniamo all'atteggiamento superbo di gente che circola nell'”ambiente” e che guarda più o meno tutti dall'alto, che la considerazione mi è venuta spontanea. Mi si chiedesse di definire questo poeta in due parole lo definirei come un “ uomo che ama “ perchè l'amore traspare da tutta la silloge, perchè per lui rinunciare ad amare , scelta che in nome di quel supremo bene che è la libertà è possibile fare, è tuttavia sempre un peccato (“ esser stati lontani, non aver corrisposto fu libertà e delitto”) e perchè il suo amore non è solo per la sua donna o per la famiglia o per gli amici, ma per l'umanità intera in quanto “ siamo tutti dei diversi...tutti rom, tutti dispersi” , tutti fratelli che “ Cristo giusto e condannato “ guarda dall'alto della Sua croce. Amore e libertà fanno binomio: sia nel rapporto umano che nel rapporto uomo-Dio perchè se Dio stabilisce per noi certe prove ( “ al nume la sua volontà”) l'uomo ha il potere della libera scelta ( “ all'uomo la sua libertà”) e il dono della libertà è grande per Domenighini: basta leggere i pochi, bellissimi versi di “ Poca brigata, vita beata” dove avvince il felice accostamento di “ fior di solitudine ( lo stare soli -che non è l'essere soli- : ritagliarsi momenti in cui, rispondendo ad un bisogno profondo e comune a tutti, ci guardiamo un po' dentro e meglio intorno) e , soprattutto, l'incantevole immagine dell'allodola ( già di per sé simbolo di libero volo) resa con la magica accoppiata “ festosa beatitudine” : felicità suprema, gioia innocente e limpida. Una poesia scritta da mano esperta quella di Domenighini: un lessico che attinge e alla semplicità del quotidiano ed alla preziosità della parola dotta e rara, ma comunque sempre nell'ambito di un eloquio misurato ed euritmico, una metrica che abbraccia formule rimiche varie, che spazia dal novenario pascoliano, al senario, dall'ottonario, al settenario, ai versi doppi e, naturalmente all'endecasillabo talvolta sposato armoniosamente a metri diversi, il tutto impostato in quartine, sonetti minori, ballate ed altro. Nè mancano lavori che prendono lo spunto da versi noti di Carducci, Pascoli, che il nostro rielabora con perizia, sensibilità e fantasia, quasi dotti divertissements così come certi “giochi “ di allitterazioni e bisticci, di insistenze sulla sdrucciola finale , di alternanze di sdrucciole e tronche.
La poesia di Domenighini è poesia che rifugge da esternazione di eccessi: come composta è la forma, così composta è l'espressione del sentimento : l'esperienza ha posto le cose in una dimensione equilibrata, sì che l'amore per la donna in lui non è la passione travolgente e, diciamocelo pure, talvolta poco realistica di cui ci parla certa poesia, ma la solida, tranquilla, reale, concreta, confortante certezza che dopo l'arrivederci di stasera, ci sarà il ritrovarsi di domani. Pure, è l'amore la radice di tutto...come dice il Poeta, “ in fine non resta alla vita / che un cesto di gesti d'amore.” Una visione serena, e direi perfettamente cristiana: quel che conta è avere amato. Che resterà di tanto aver lottato, sperato? La vita è una lotta “ si nasce indifesi” e di tutto il nostro darci da fare, anche dell'affannarsi di chi insegue chissà quale gloria, non resteranno che “ voci fugaci in cortile”. E' chiaro e forte questo senso di fugacità, ma è talmente limpida e tranquilla la maniera di Domenighini di guardare tutto, anche l'ultima soglia, che non ne proviamo angoscia; solo la lieve malinconia che viene dalla fine di un sogno.
Lidia Guerrieri