Giannicola
Ceccarossi. Quando il tempo verrà fragile
come la luna. Ibiskos Ulivieri. Empoli. 2019
Ho avuto la fortuna e il
piacere di leggere gran parte della copiosa produzione letteraria di Giannicola
Ceccarossi, autore versatile, polivalente che fa della vita una fonte
cristallina e costante della ispirazione. La sua anima è in continua
trasfusione in poesie che reificano sentimenti, riflessioni, meditazioni
sull’oggi e sul domani, sul quando e il dove, sull’hic ed il nunc di questo
nostro esistere, dove la natura si fa personificazione obiettiva degli stati
d’animo nel dipingere con cromatiche tinte gli abbrivi emotivi della partizione
poematica e dove il riverbero del sole, oggettivazione del suo mondo plurale, si lega alla sensibilità e alla maestria
nel forgiare versi di tanta significanza comunicativa; di tanta simbologia
panica. Due le parti di questa silloge: Quando
il tempo verrà fragile come la luna (titolo dell’opera), e Solo su questo lido Chissà se mai rivedrò il
mare. La plaquette affronta quelle che sono le tematiche della nostra
vicenda esistenziale: “Il cielo/ I colori/ Dove sono i suoi colori?...”.
Interrogativi che l’uomo si pone sull’essere e l’esistere che non trovano
risposte esaurienti; tutto fugge, tutto è in bilico, tutto sta a rappresentare
la nostra impotenza di esseri terreni di
fronte al tutto che ci circonda; di
fronte alla profondità del nostro pathos. “Ma è così arida la mia solitudine!”.
Questo ne deriva: una pesante solitudine dinanzi alla complessità del fatto di esser-ci.
Interrogativi: “Li vedrò ancora quei colori?”. Porsi davanti all’oracolare
tentativo di sfrascare il domani è un rischio che determina mistero e
malessere; malum vitae; splenetiche emozioni che ci turbano e ci inquietano.
Questa la chiave di lettura principale. Il rifugiarsi in foglie d’oro di
stagioni ultimative è per il poeta il sistema di fuggire dai suoi psicologici
giochi: “e mentre il sole/si nasconde alle nubi/ un soffio di garbino mi
accarezza” “Ora guardo il riverbero del sole/ e il mio cuore è una foglia d’oro/
fra mille sterpi di rugiada”. Ma non è che il poeta voglia darci una semplice
narrazione bucolica, dacché è proprio in quei giochi di luce e di
ombra che concretizza gli input esistenziali. Natura medicatrix, dunque. Ma
anche natura loquace, simbolica, oggettivante, fortemente antropizzata.
“Aspetteremo che fasci di comete/ non offuschino più i nostri occhi”.
L’offuscamento, la risoluzione, il redde rationem fanno parte della vita come
la vita stessa è un tragitto elargito da
Thanatos: “Oggi mi trovo oltre le stagioni/ con dita rugose/ e un solo
desiderio/ Che finisca in fretta!”. Meditazioni, inquietudini, memoriale,
esistenza, solitudine... sono i motivi ispiratori di questa polivalente
plaquette: “E siamo sempre più soli!”. L’animo si turba di fronte
all’irreparabile, ma sa trovare anche la serenità davanti alle pretese della
sorte: “ Quando il tempo verrà/ fragile come la luna/ non ci sarà fortunale/ né
gocce di grandine...”. Riferimenti di forte antropizzazione in questa poesia
eponima che spalanca sguardi verso l’irreparabile, verso il traguardo ultimo
della vicenda umana. Una poesia totale, quindi, questa di Giannicola che tocca
ogni àmbito del vivere, e del morire; ogni pensamento sul fatto che esistiamo
in uno stato di forte precarietà. Sprazzi d’anima in una versificazione verticale e di sapore sabiano
quanto alla forma: apodittica, conclusiva dove spesso la sola parola assume
pieno valore significante: verbo giusto in verso giusto. Lo spettro si amplia
ai valori dell’home, delle radici: della madre: “Il mio cuore è con te!/ Madre madre mia per sempre”. La solitudine ed
il mare occupano un posto rilevante nella seconda parte della silloge: “Solo su
questo lido Chissà se mai rivedrò il mare”. Quell’infinito orizzonte che sta a
significare lo slancio di ogni mortale verso l’inarrivabile; oltre i limiti in
cui è racchiusa la nostra vicenda. E
scrive il poeta: “E c’è tanta malinconia!”. “È un ruscello che scorre il
cuore...”. “Perché ricordare/ se poi nulla porterò dietro?”. Sembra che un certo
pessimismo faccia da leitmotiv nel corso della storia. Ma il poeta alfine trova
nell’amore e nei valori della vita un
motivo valido da renderne prezioso il cammino; e agguantando emotivamente la
sua vicenda ne fa una sacra narrazione: “La mia mano stringe ancora la tua”,
“Poi all’improvviso/ un tuo sorriso/ Era già mattino/ e respiravo altri sogni”.
Chi dice che il poeta non trovi proprio nel sogno una compensazione alle
sottrazioni umane.
Nazario Pardini
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