Intervista
A
CARLA BARONI
A CURA DI
NAZARIO PARDINI
N. P.: Quali sono le occasioni della vita che più hanno inciso sulla
sua produzione letteraria? quanto di autobiografico c’è nelle sue opere? lei
pensa che ci sia differenza fra poesia lirica e poesia di impegno; o pensa che
la poesia, essendo un’espressione diretta dell’anima, sia sempre lirica
qualsiasi argomento tratti?
C. B.: Ho cominciato a scrivere “poesie” a tredici
anni per un compito a casa assegnatomi dall'insegnante e che consisteva nel
comporre qualcosa in endecasillabi, settenari e decasillabi. Poiché ritengo sia
impossibile imparare la metrica con un unica lezione fui aiutata, anzi
sostituita, da mia madre – la più brava madre del liceo secondo Bruno
Cavallini, zio di Vittorio Sgarbi – che mi confezionò tre deliziosi testi che,
naturalmente, ebbero molto successo. Per emulazione mi misi a redigere quei
pensierini che ora chiamano poesie (ecco il perché delle virgolette più sopra),
i quali, per la freschezza dei contenuti, incontrarono una certa fortuna nel
salotto letterario degli amici che frequentavamo quotidianamente e fui
incoraggiata a proseguire. Anche mia madre si rimise a scrivere con quella
musicalità perfetta che la contraddistingue e così pian piano assorbii da lei
le regole della metrica.
Quando la melodia ti entra dentro
diventa una vera e propria forma mentis, un'ossessione che ti
suggerisce all'improvviso frasi inconsuete e armoniose al tempo stesso senza
alcun apparente stimolo esteriore. E allora, il più delle volte, costruisco,
sull'onda di quei primi versi, tutta la lirica spesso inventando situazioni che
non esistono perché il poeta è uno scrittore come un altro e crea. Se
non fosse così non esisterebbero la Divina Commedia, i poemi epici, le
tragedie di Shakespeare e così via. Certo qualcosa di autobiografico talvolta
traspare in quanto è sempre il vissuto la linfa di cui si nutre la parola. Ma
poi sono l'immaginazione, la fantasia, l'onirico che si fanno strada nel
tessuto del testo. Ecco perché le poesie dì impegno non sono nelle mie corde
anche se nel mio repertorio ne esiste qualcuna composta solo per i concorsi
letterari che costituiscono l'unico mezzo per farsi conoscere – si fa per dire
– al di fuori della cerchia delle proprie mura. Ma questo è tutto un discorso a
parte.
N. P.: Essendo uno degli interpreti principali della poesia e della
cultura contemporanea, la sua poetica è in gran parte nota attraverso le
innumerevoli recensioni, prefazioni, e note critiche che la riguardano. Ce la
vuole illustrare lei direttamente?
C. B.: Se devo essere sincera non ho mai dato
molta importanza alla critica forse perché, non essendo io assurta ad alte
vette, ho sempre pensato che le lodi che mi venivano tributate fossero in parte
il frutto di amicizia e simpatia piuttosto che di un vero e proprio
apprezzamento nei confronti della mia penna. Ho sentito critici locali lodare
con la stessa intensità poeti quasi analfabeti e quindi rimango piuttosto
neutrale anche quando ricevo espressioni di stima molto lusinghiere. Ed inoltre
molte volte ho avuto la sensazione di non essere stata assolutamente capita.
Poco male se ho suscitato nel lettore una qualche emozione.
La mia poesia è difficile, piena
di metafore e sottintesi dove la parola è spesso piegata alla musicalità che ne
ritengo una componente essenziale: anche le costruzioni soggiacciono a queste
forzature dovute alla costante applicazione degli accenti su determinate
sillabe. Mi piace giocare con le parole, cercare accostamenti inconsueti,
procedere a strati celando talvolta nell'ironia qualche sentimento più
profondo. Il resto lo lascio al lettore, alla sua capacità di scavare sotto la
crosta dell'apparenza.
N. P.: Quali sono le letture a cui di solito si dedica e quale il libro
che più le ha suscitato interesse? e quindi predilige? perché?
C. B.: Attualmente sono quasi esclusivamente i
libri di poesia che occupano il mio tempo libero: me ne arrivano a valanghe,
non so più dove metterli ma tra essi qualcosa di buono e stimolante si trova
sempre. Nelle nostre province italiane vivono poeti semisconosciuti che valgono
molto di più di quelli in auge. Noi siamo un popolo di poeti che scrive molto e
legge assai meno se l'opera dello stesso Luzi è nota a pochissimi. Ed a
proposito di Luzi ho sempre immaginato l'amarezza che deve avere provato quando
fu candidato al Nobel insieme alla Merini: quale abisso fra i due!
Tra i poeti il primo che amai e
lessi e rilessi fu il Pascoli, poi venne D'Annunzio, Gozzano, Saba, il nostro
Corrado Govoni, Luzi, Cardarelli, Garcia Lorca, la Spaziani per quel gioiellino
di Giovanna D'Arco, Quasimodo per le traduzioni dal greco. Ho letto molti altri
poeti noti e meno noti preferendo sempre quelli di area neolatina perché le
buone traduzioni riescono a rispettare la musicalità dei versi originari.
Coloro che però mettono in moto il mio cervello come un robot rimangono Luzi
(il primo Luzi , quello della Barca o del Quaderno gotico
per intenderci), Lorca e Libero de Libero (scoperto solo recentemente) per quel
poco di oscuro ed onirico e talvolta surreale che c'è nei loro testi. Mi piace
anche la lezione dell'ermetismo per l'ambiguità che ne è derivata.
N. P.: Fino a che punto le letture di altri autori possono contaminare
uno stile di uno scrittore? e se sì, in che modo?
C. B.: Si dice volgarmente che si è quello che si
mangia, tuttavia magari fossi anche solo una brutta copia di uno degli autori
nominati precedentemente! Mi diverte, ma talvolta mi infastidisce, sentire, nei
commenti che vengono fatti alle liriche nei premi letterari, che un poeta è
montaliano solo perché ha usato una parola qualsiasi di una lirica dello
scrittore genovese, neanche uno stilema particolare che lo caratterizzi.
Montale non è stato citato da me a caso in quanto il poverino è quello preso
più di mira dai critici per far sfoggio di cultura. È come se si dicesse che la
Merini è dantesca o manzoniana in quanto adopera la parola spiro e,
ahimè, non per esigenze di metrica. Certo ogni lettura anche di prosa è alimento
per la nostra mente ma il tentativo di essere originali, diversi da tutti gli
altri credo sia l'obiettivo primario di ogni scrittore che si rispetti.
Purtroppo le clonazioni involontarie o volontarie sono all'ordine del giorno.
N. P.: Che cosa pensa della poesia innovatrice, quella che tenta
sperimentalismi linguistici? quella che si contrappone e rifiuta ogni ritorno al passato? o, per meglio
intenderci, quella che si contrappone ad un uso costante dell’endecasillabo, o
a misure dettate da una rigida metrica?
C. B.: Mi piacciono gli esperimenti linguistici
intesi come accostamenti bizzarri, come utilizzo di parole azzardate non comuni
prese a prestito da altri linguaggi, l'ossimorico contrasto di molti vocaboli.
Ma mi fermo qui: non amo la sequela di parole difficili adoperate solo per
stupire, lo stravolgimento delle regole della punteggiatura e il raccontino
dove si va a capo quando si vuole non rispettando le pause che le scansioni
imporrebbero. Per intenderci se in un verso l'ultimo termine è del si
deve fare uno stacco e non legarlo con il successivo rendendo così assai ardua
e problematica la recitazione.
Per la forma asserisco sempre la
validità dell'uso, anche se non rigido, della metrica tanto più che è molto
difficile fare dei buon endecasillabi: non è da tutti. Mi lascia molto
perplessa la pretesa musicalità interna di certi testi percepita solo da chi ne
è l'autore. Non so quale fine avrebbe fatto l'Iliade, tanto per fare un
esempio, senza alcun ritmo ad aiutare la memoria.
N. P.: Cosa pensa dell’editoria italiana? di questa tendenza a
partorire antologie frutto di selezioni di Case Editrici? di questi
innumerevoli Premi Letterari disseminati per tutto il territorio nazionale?
C. B.: Non facciamoci illusioni: una casa editrice
è un'azienda come un'altra e deve produrre profitti. I mecenati non esistono
più. La poesia non vende: la Spaziani ebbe un successo stratosferico con La
traversata dell'oasi. Se ne fecero due edizioni da mille copie ciascuna che
andarono esaurite e perciò si arrivò ad una terza che però non fu completamente
venduta. Con questi numeri si coprono appena le spese. Un romanzo, per essere
credibile, deve avere almeno decuplicata la quantità dei lettori.
Così la piccola editoria campa
sulla vanagloria degli autori non conosciuti costretti a pagarsi il proprio libro e pubblica di tutto
senza correggere una sola virgola di quanto viene loro proposto. Talvolta
questi editori improvvisati non hanno neppure la cultura e la competenza per
apportare modifiche. Il benessere economico ha creato così molti scrittori
senza arte né parte: farsi stampare un libro costituisce un elemento aggiunto e
neppure troppo costoso del proprio status symbol come l'esibire
un gioiello o una pelliccia.
Alcune di queste case editrici,
con prezzi molto più elevati della media, hanno le mani in pasta in qualche
piccolo premio letterario e ricompensano così i propri clienti anche se talune
pretendono addirittura la metà delle vincite
Nelle grandi case editrici non si
entra neanche se si è scritto la Divina Commedia. Ho sempre apprezzato Bassani
più come uomo che per la sua opera: è stato lui a far emergere Tomasi di
Lampedusa dopo che il Gattopardo era stato respinto più volte dagli editori.
Non credo che tale chiusura al
nuovo sia un fenomeno moderno ma probabilmente con il tempo si è andato
accentuando: solo le conoscenze e il gossip possono fare entrare in uno di
questi templi della carta stampata. Tanto più per la poesia che è prodotto di
immagine e non rende. Non è il merito che viene premiato ma quello che può
portare più facilmente proventi. Le barzellette di Totti sono certamente più
vendute delle Bucoliche, tuttavia non sarebbe così se il noto calciatore fosse
solo un onesto impiegato. Ecco la fama o meglio la popolarità: quanti oggi
conoscerebbero, anche solo di nome, Dino Campana se non fosse legato al lato B
della Bellucci?L'editoria la sfrutta o la crea ma prima dell'uscita del libro e
anche questo costa e non poco: non ci sono più i librai che consigliano un buon
romanzo o una buona silloge, solo commessi anonimi che consultano il computer
per avere notizie su quanto loro chiedi.
E poi in Italia non esiste
capacità di critica soprattutto a livello spicciolo: il comune mortale non osa
dire “questo non mi piace” se c'è un commento favorevole al riguardo, ha paura
di essere disapprovato, di essere considerato un ignorante. C'è un conformismo
imperante che i mass media alimentano ma questo avviene per tutto ciò che è commerciabile. Così, nel campo della
poesia, il più bistrattato di tutti, hanno ottenuto il plauso opere di poco
rilievo di autori che, a loro volta, sono diventati critici imponendo quel
degrado nel settore in nome di uno sperimentalismo che non esiste ma che è
invece solo scarsa dimestichezza con le regole. Troppo dura, dietrologa? Forse.
La mia età ha solo questo grande pregio: di poter dire tutto quello che sembra
giusto senza soffrire per le smentite.
N. P.: Certamente sarà legata ad una sua opera in particolare. Ne
parli, riferendosi più ai momenti d’ispirazione, ai tempi di scrittura, alla
scelta lessicale, alla revisione, più che ai contenuti. Che pensa della
funzione del memoriale in un’opera di un poeta? e alla funzione della realtà
nei confronti di un’analisi interiore?
C. B.: Ho piccole opere scritte di getto e altre la
cui gestazione è durata anni. Credo che le prime siano le migliori, più
fresche, più spontanee senza sovrastrutture che ne alterino l'equilibrio. Le
critiche favorevoli mi hanno reso maggiormente responsabile e non oso più dare
alle stampe qualcosa che non abbia meditato a lungo. Quando si tiene qualche
cosa per troppo tempo nel cassetto viene naturale il tentativo di renderla
migliore, limando, modificando, aggiungendo: tuttavia lasciare decantare
l'opera aiuta a individuare gli errori e le ripetizione di cui, di primo
acchito, non ci si era accorti.
N. P.: Cosa pensa della nostra Letteratura Contemporanea? raffrontata magari con quelle straniere? e dei grandi Premi Letterari tipo il Campiello, il Rèpaci…?
e del rapporto fra poesia e società? fino a che punto l’interesse per
la poesia può incidere su questo disorientamento morale (ammesso che lei veda
questo disorientamento)? o pensa che ci voglia ben altro di fronte ad una
carente cultura politica per questi problemi?
C. B.: Non so che cosa avvenga negli altri Stati,
se un manoscritto sia veramente letto e non respinto subito al mittente con la
consueta formula: Spiacenti ma la nostra Casa editrice ha già impegni di
pubblicazione per oltre due anni.
Non sono esperta dei grandi premi
letterari ma ritengo che i piccoli editori abbiano poca vela di fronte a quelli
più paludati e dotati di mezzi. Non vorrei essere maligna e parlo assolutamente
senza alcuna cognizione di causa ma la massima antichissima del do ut des che
viene applicata in tanti campi della vita di tutti giorni perché non dovrebbe
valere anche in qualche altra occasione più futile?
La generale scarsa cultura
umanistica del nostro Paese favorisce qualsiasi abuso specialmente nel settore
della poesia: ma tutto questo andrebbe inserito in un discorso molto più ampio
tale da coinvolgere scuola, insegnanti ed Università.
Grazie per la sua disponibilità.
26/06/2012Nazario Pardini
Una parola ferma e schietta, anche quando si tratta di dire che, oggi nessuno fa niente per niente. Giusto quindi pensare che le case editrici facciano il loro lavoro...spiegato dalla dott.a Baroni in questa intervista di Pardini? Penso di si. Per il momento.
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