L'inedito ha vinto il Premio Letterario
"VEDERE OLTRE", PADOVA
Claudio Fiorentini collaboratore di Lèucade |
Dissoluzione
Dicono che la coscienza si dissolva
pochi secondi dopo la morte fisica della persona. Ora, io non so come sarà per
gli altri, ma per me, insomma, sono ancora qui. Quanto durerà non mi è dato
sapere, forse 15, forse 20 minuti, che importa, il tempo è già relativo da
vivi, lo è ancor di più da morti perché si annulla completamente tuffandosi
nell’eternità che, qualora qualcuno non ci avesse pensato, c’era anche prima. Già,
tuffarsi nell’eternità… facile a dirsi, ma provate ad immaginare un tempo senza
prima e senza dopo, non so se mi spiego.
Intanto, finché non mi diluisco
nell’infinito, finché non varco interamente quella soglia e mi è dato vedere il
mondo come se fossi vivo pur essendo morto, questa transizione me la voglio godere.
Ah, che bello, fluttuare leggero, senza quel mal di pancia che negli ultimi
anni mi ha tanto tormentato, senza le fitte dell’ernia del disco, senza quel
dannato riflusso, e senza quel morbo pungente che mi ha mangiato le budella
facendomi un male atroce. Ah, che sollievo guardare giù, vedere il mio corpo
inerte, abbandonato su quel lettino scomodo, ancora attaccato a tubi e sensori,
corpo ora inutile, ma forse mai stato utile se non per i parametri del mondo
che abbandono volentieri.
E pensare che da vivo avevo paura della
morte. Ma come si sta bene qui, mentre mi dissolvo. Mi chiedo solo perché mi è
stato concesso questo tempo supplementare, se è un privilegio solo mio o anche
di altri, ma tanto non posso saperlo, non verrà nessuno a dirmelo ora che è
tutto finito e sto per diluirmi in quel grande brodo dove non esiste l’io, né
per me né per gli altri, dove tutto è tutto e niente.
Intendiamoci, qui non si tratta di
sciogliersi come un gas o come un dado nell’acqua del brodo, né si tratta di
diluirsi come un liquido in un altro liquido… quando dico dissolto e diluito dico
espanso nell’infinito fino ad esser parte dell’infinito o tutto l’infinito. Io questo
processo di espansione lo sto vivendo ora, lentamente, e questa imprevista
lentezza è un dolce momento che fa riconoscere il passaggio dalla dimensione
del tempo alla dimensione del non-tempo, che però comprende tutto, anche il
tempo, e basta così, altrimenti faccio confusione.
Intanto in questa transizione posso permettermi
di dare un ultimo sguardo su quello che lascio. Quindi guardo giù.
Beh, a dire il vero un po’ di gente mi
sembra che ci sia, tutti lì in quel corridoio di ospedale. Lo sapevano che
sarei morto, aspettavano che me ne andassi per scoppiare in lacrime, liberi
dall’oppressione della mia greve presenza. Beh, fa piacere vedervi, cari amici.
Ancora ho qualche minuto, e con voi ci sto volentieri. Del resto la vita appena
finita è stata un po’ anche vostra, e se in qualche modo lascia qualcosa in voi,
allora non è stata del tutto vana. Già, perché se rimane una mia traccia,
significa che la mia anima è realmente esistita, e potrà continuare a esistere,
ma a pezzettini e distribuita tra i vivi, frammentata completamente come quando
si taglia il pane... alcuni prendono una fetta, altri prendono un pezzetto di
crosta, altri le briciole, altri la polvere… ma tutti prendono qualcosa, e
piccolo o grande che sia, e quel frammento anima i vivi, entra a far parte
della grande bellezza che è l’anima di chi rimane. Che piaccia o no.
Quindi guardo giù, e vedo lo zio Petronio
che risponde al cellulare: “sì… ciao… no, aspetta a buttare la pasta, ne ho
ancora per dieci minuti… appena esco ti richiamo. Ciao…”. Più in là c’è Tati Lenza,
bella come un fiore… piange e la sento dire “Come soffro, come soffro, io senza
di lui non sarò più me stessa, come mi mancherà…”, e pensare che non mi hai mai
degnato di uno sguardo. Ma vediamo, c’è anche Malissa, la sensitiva, che dice
“Lo sento, lo sento…. È qui con noi, lo sento… oh come sta bene, oh com’è
bello…”. Sto bene si, perdio. Non credo che ci voglia un sensitivo per capire
che dopo quella malattia la morte è più che un sollievo, ma lasciamo ai vivi le
loro convinzioni, io voglio solo finire il mio giro di saluti e, ovviamente,
devo salutare mia moglie, la cara vecchia Carlina, grigia, piccola e
grassoccia, come piace a me… vorrei dirle che sto daddio, ma lei piange, urla,
si dispera. Buona Carlina, ora provo a dirtelo “Sto daddio”. Lei sembra
accorgersene… ma prega, prega… forse pensa ai miei peccati “Mascalzone”, dice,
e pensa alle mie scappatelle. Ma che ci vuoi fare Carlina? Il corpo è esigente,
e di tanto in tanto, anch’io… A proposito di corpo esigente, vedo la Furlanda,
quella prosperosa impiegata mia vicina di sportello, quante volte ho pensato
di… ehm… ma poi mai! Dietro di lei c’è il capo agenzia, anche lui è venuto in
ospedale, come se avesse saputo in anticipo che era giunta la mia ora oppure…
la Furlanda… e infatti si scambiano un bigliettino “ci vediamo tra venti minuti
all’hotel taldeitali”… Via, via, non se ne può più di questi. Guardo la mia
Carlina, la sento cianciare “andrai all’inferno, sporcaccione… ma che mi viene
da dire, davanti a te morto!” e piange più per se stessa che per me. Ma quale
inferno, Carlina, sono tutte fandonie, la morte non è una replica della vita in
un posto diverso. Da morti non si è più. E lei non mi sente, o forse sì, e giù
a piangere. Ma Carlina, se piangi è per il vuoto che lascio, il tuo è un pianto
egoista, non un’ode a chi muore, perché se mi vedessi, saresti contenta,
altroché. Oppure mi vedi e il tuo è un pianto d’invidia perché io me la spasso
a te ti lascio nei guai?
Ora vado… no… qualcosa mi trattiene: è il
Geppi! Vecchio compagno di bevute. Dai, che presto tocca anche a te, allora ci
sarà da ridere, quando saremo coscienze disperse come faremo a ritrovarci?
Tutti diranno “Adesso saranno insieme ad ubriacarsi all’inferno” e invece
semplicemente non saremo più, le nostre identità saranno diffuse, le nostre
coscienze disperse, saremo un tutt’uno con l’universo, un punto nero in mezzo
all’eternità. Altroché condanne al rogo eterno, altroché castigo divino: qui è
una pacchia da non dire, vedrai Geppi. Lo guardo, non piange, però sembra
triste. Tira fuori dal taschino una boccetta di grappa, la chiamavamo l’elisir
di lunga vita, dicevamo che è roba da far resuscitare i morti, lui non beve, mi
si avvicina, cioè, si avvicina alle mie spoglie mortali, me ne offre un po’, non
funziona! Caro Geppi, tu sei l’unico a non piangere lacrime di rimpianto e circostanza,
con questo gesto limpido mi fai venire voglia di guardare su, perché la vita ce
la siamo bevuta tutta, noi due. Le cose belle e brutte con te diventavano un
motivo per dire “E chi se ne frega!”, come ora che e guardo su, lì c’è
l’immensità, e il mondo non è più mondo, sono libero, anzi, non sono più nulla…
Qualcuno ancora mi chiama, guardo giù,
è mia moglie, eh… discute con il becchino, protesta per il prezzo, più in là
c’è uno strozzino che la aspetta al varco, di debiti ne avevamo già tanti, ora
aggiungici anche le spese del funerale… mi verrebbe da dirle di lasciarli
stare, che un corpo non serve a niente, che quello che conta è l’amore che ci
siamo dati, ma non mi sente. E io che sono morto da una ventina di minuti, già
mi sono reso conto che la cosa migliore che può capitare nella vita è propriomorire.
La morte dona utilità alla vita. A che serve vivere se non si muore?
È vero, ho vissuto una vita grama,
banale, semplice, una vita senza grandi slanci, ma da vivo non mi sarei mai
separato dalla vita, e poi ho amato la mia Carlina, anche se facevamo scintille.
Senza di lei sarei stato incapace di andare avanti, diamine! Ma che dico,
perché incapace? Allora forse l’amore è solo convenienza, allora sì, merito
l’inferno! Ma l’inferno, il paradiso, e tutte quelle menate lì sono invenzioni
terrene, non esistono se non nel’immaginario collettivo. Dove mi trovo ora la Terra
non esiste, o meglio, esiste ma non è altro che un granello di polvere nel
respiro dell’Universo e noi diventiamo energia pura per un battito di palpebre
dell’eternità.
Sono sempre più dissolto, sempre più
leggero, sono così sparso che già comincio a coprire dall’Europa all’Australia
con il mio manto. Una coscienza si sparge come una nube e sempre di più, ma non
è un gas, sarebbe troppo facile: la
coscienza si sparge nell’infinito e diventa infinito. Come spiegare? Passare
dal finito all’infinito non è come passare dal limitato all’illimitato, o forse
c’è anche quello, ma non solo. Vedi, pensa che un fuoco d’artificio esplode, e
ciò che prima fu un fuoco, in un attimo diventa mille scintille che si spargono
diventando una sfera luminosa di scintille fino a spegnersi definitivamente.
Bell’immagine, solo che invece di spegnersi, l’esplosione, con le sue scintille,
si espande all’infinito. Immaginalo, ecco: questa è la morte.
Ma ancora un attimo, un ultimo pensiero
per Carlina, la lascio in un mare di guai, e intanto vago nella non-dimensione…
mi sento quasi in colpa a lasciarla lì mentre io me la spasso a dovere. Queste
sono le ingiustizie della morte! Mi consola pensare che capiterà anche a lei e,
quando sarà, qualcun altro rimmarrà nei guai mentre lei si diluirà
nell’infinito. Carlina, non piangere, vedrai che tutto si risolverà, abbiamo
fatto tante cose insieme, siamo stati bene, no? Per il bene che ti voglio, non
ti disperare Carlina… sarò con te ancora, per sempre, sono aria, respirami,
tieni l’aria dentro… non buttarmi fuori… tienimi dentro… così… ma porc…!
Proprio adesso dovevi starnutire?
Altroché fuochi d’artificio. Ma sai che
ti dico, al diavolo tutti. Io non posso più farci niente, sono morto, sono
felice, e non ci sono più. Lascio mia moglie che si arrabbia con il becchino,
il direttore a letto con la Furlanda, lo zio Petronio che si mangia i
tortellini al ragù, Malissa che pronuncia frasi incomprensibili con voce
maschile, Tati Lenza che si rifà il trucco e pensa a sé, il Geppi che se la
beve senza di me e tanti altri che si sbattono per sbarcare il lunario,
sfidando la morte ogni giorno che passa, senza sapere che la vita sarà sempre solo
un groviglio di legacci, e la morte un tornare al brodo primordiale.
Ma ci rivedremo tutti, prima o poi, fusi
nel grande tutto che è solo l’Uno!
E mentre smetto di guardare giù e sento
di coprire tutto il cosmo, saluto la vita e i suoi mentre, i suoi momenti d’inferno, i suoi momenti di paradiso.
Senza rimpianti perché una volta morti, cari miei, ci si diluisce nell’infinito,
si è felici e… si è fuori dai giochi!
Claudio Fiorentini
Complimenti. Godibilissima dall'inizio alla fine!
RispondiEliminanella sua fantastica e ironica narrazione il racconto comunica un clima di serenità nell'affrontare l'ultimo passaggio, che facciamo fatica a dire morte. Dimentichiamo che tutto ciò che nasce muore, e non vale a nulla dire con il poeta "meglio sarebbe non essere mai nati". Ovvio, siamo nati e ci tocca morire. Di sicuro l'ipotesi dello scioglimento nel "brodo" universale è affascinante. Si realizzerebbe quella fratellanza e comunione che in terra stenta a realizzarsi, quando non sia addirittura impossibile da realizzare. Mille volte meglio del muto cenere ammutolito per sempre nel non-essere sotto qualunque dimensione. Il salto della Fede che ci prospetta altro non è da tutti. Osso duro la resurrezione dei corpi, ma il ritrovarsi nell'Uno già basterebbe. Grazie Claudio di averci parlato di cose seriedivertendoci. Adriana Pedicini (3 posto libro edito nello stesso concorso)
RispondiEliminaCaro Claudio, in questo bel racconto hai imboccato sin da subito la strada della narrazione sciolta e godibile. La penna, per coì dire, guidata dai tuoi pensieri sereni, consapevoli di quel che è la vita e di quel che può essere la morte, ci descrive uno sguardo verso il basso, verso quel che è stato, senza rimpianti, poichè alla fine non possiamo essere nulla di più di quel che siamo o di quel che siamo stati. E in fondo l' Inferno o il Paradiso possono essere proprio qui, sulla Terra e forse, la Morte, potrebbe essere veramente così come tu l'hai descritta... Meriteremmo forse qualcosa di più brutto? Non lo credo nemmeno io..
RispondiEliminaRoberto
Credo che sia capitato a tutti di provare a "vedere oltre" il momento della fine, a immaginare gli stati d'animo di coloro che restano... Claudio con stile calviniano e , a tratti, pirandelliano, vola tra le ipocrisie, le miserie, i luoghi comuni e i pochi autentici dolori... Sa divertire , ma anche indurre a riflettere. Il suo racconto non può dirsi umoristico. E' originale, giocato sul registro della satira, ma malinconico, come sanno esserlo la vita e la morte. Un cammeo!
RispondiEliminaMaria Rizzi