Questo stupendo
saggio di Nazario Pardini mi ha stregato, così come mi aveva stregato "Le
ali della notte" dopo averne affrontato la lettura. Sono racconti sospesi
tra mistero e realtà, facendone percepire la stretta interdipendenza, in
funzione provvidenziale. Interiorità ed esteriorità si rincorrono perennemente
tra di loro, ed è in questo reciproco cercarsi che si gioca la partita
dell'armonia. Credo sia questo il cuore della poetica e della visione del mondo
di Sonia Giovannetti, scrittrice che invita a prendere contatto con quanto di
più elementare e profondo risiede nel gorgo interiore: quella sorgente di
saggezza abbagliante pronta a guidarci verso i verdi pascoli, spesso confusa
con la spocchiosa coscienza che sempre discrimina, conducendoci a sfracellarci
sui dirupi.
Gli orizzonti della
coscienza sono ristretti all'ambito razionale, mentre quelli della saggezza
sono immensamente più ampi e travalicano i confini della ragione affondando nei
territori sconfinati del mistero. Il grande richiamo del mare, che la
scrittrice sente e racconta in pagine ricche di fascino, sta qui. Il mare è,
metaforicamente, il mistero, il gorgo profondo da cui la vita viene, l'abisso
incomprensibile, ma sempre amorevole, che vuole la nostra felicità, liberandoci
dalle pastoie e dagli steccati che noi stessi ci costruiamo nel piano della
vita collettiva. E' sempre e comunque di rinascita interiore che Sonia parla e
scrive; di un'umanità smarrita nei labirinti esistenziali, che gradatamente
torna all'ovile di se stessa, nella propria armonia, nella propria saggezza
elementare. E qui mi piace citare il seguente passo dal libro:
"Non capivo,
allora, che non sono i ruoli a darci il senso della vita. Anzi, soprattutto
quando non scelti, sono proprio i ruoli a impedircelo, a metterci addosso una
divisa, un abito artefatto e uguale a tanti altri, una maschera che ci rende
anonimi, inautentici, che ci estirpa l'anima... Ci vuole coraggio a uscire dai
condizionamenti, bisogna sforzarsi. E il coraggio, ora posso dirlo, va trovato
sempre. I malintesi vanno dissipati, le intenzioni dichiarate e così le
aspettative, i desideri, il possibile e l'impossibile... Il mare ha una voce
tutta sua, semplice da capire, che dice: " Ogni volta che arriva il giorno,
mettiti davanti allo specchio, punta gli occhi nei tuoi e chiediti chi sei.
Vedrai come è difficile mentirsi scrutando bene il proprio sguardo. Allora
continua a guardarti e prendi in mano la tua vita. Tuffati nell'onda senza
futuro che è la vita".
Lo specchio, l'alter
ego, la dualità. C'è sempre il rovescio della medaglia, in ogni situazione. C'è
sempre un aldilà, e sta qui la salvezza, in questa possibilità di guardare il
mondo da un'altra angolazione. Così il nero evoca il bianco, l'estate l'inverno,
il maschile il femminile, e via dicendo. Così il bene ed il male si alternano,
avvinghiandosi tra di loro, in un comune progetto di armonia. Concetto, questo,
espresso molto bene in quel racconto dove la scrittrice invita, per superare i
traumi dolorosi, a guardare nel passato, alla ricerca delle cose belle che la
vita ci ha comunque e gratuitamente dato in dono. Ecco la fede: una fede non
fideistica, fondata sul plagio dell'"ipse dixit", ma costruita sulla
propria macerazione interiore.
E' la fede di chi si
affida alle parole di Todorov ("la bellezza salverà il mondo"),
"di chi si aggrappa alla poesia e alla bellezza del vivere, credendo che
alcuni di noi, dentro, hanno un mondo che non si spegne e io lo so che, pur se
a volte non c'è poesia nel mondo, negli incontri, nelle esperienze, ce la farò
con altri - non pochi per fortuna - a cambiare e salvare qualcosa". Ma
tutto questo senza proclami roboanti, perché "le persone belle ti
attraversano con i loro silenzi e non si ha bisogno di parlare". "Una
delle cose più rischiose tra due persone che non si vogliono capire è
parlare", perché "le parole, come spesso accade, non sono fedeli alle
intenzioni... mentre lo slancio che conta viene dalle cose che si sentono prima
delle parole". "Il linguaggio non sa esprimere la Verità; ne è anzi
una maschera, o un ostaggio". Per questo probabilmente Wittgenstein ha
detto: "Ciò di cui non si può essere certi, è meglio tacere".
C'è tuttavia un
altro tipo di linguaggio, quello della poesia, che è autentico e profondamente radicato
nel vero: "Uso la parola per ascoltarmi, per viaggiare nel mio dentro e
farlo uscire fuori, allo scoperto. La poesia diventa così il tempo interiore
che riesce ad esprimersi... Si, la poesia ha bisogno di silenzio per nascere,
per essere ascoltata". E una parola che nasca dal tacere del mondo,
andando a pescare nelle acque del silenzio e del vuoto mentale, nomina per la
prima volta il mondo, per cui non può non essere vera. Se il tacere è figlio
dell'incertezza, esso è anche padre della certezza che viene dal mistero. Il
vero artista crea nel silenzio della propria festa interiore. E giustamente
Sonia dice che scrivere è "come fare un dolce e poi mangiarlo... Non è
importante che qualcun altro legga il mio impasto. Mi basto in questi momenti,
mi basta che rimanga nell'aria quello stesso ardore che dal forno si espande
nella cucina. E poi, certo, dopo lo lascerò volare".
Franco Campegiani
Con gratitudine accolgo lo straordinario saggio che Franco Campegiani ha dedicato al mio libro.
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