Nel 1942 nel pieno della seconda
guerra mondiale il poeta Paul Éluard, pseudonimo
di Eugène Émile Paul Grindel scrive la seguente celeberrima poesia, di cui per
sintesi riporto le prime e le ultime due strofe :
libertà
Sui miei quaderni di scolaro
Sui miei banchi e sugli alberi
Sulla sabbia e sulla neve
Io scrivo il tuo nome
Sui miei banchi e sugli alberi
Sulla sabbia e sulla neve
Io scrivo il tuo nome
Su tutte le
pagine lette
Su tutte le
pagine bianche
Pietra sangue carta cenere
Io scrivo il tuo nome
Pietra sangue carta cenere
Io scrivo il tuo nome
…
Sul rinnovato vigore
Sullo scomparso pericolo
Sulla speranza senza ricordo
Io scrivo il tuo nome
Sullo scomparso pericolo
Sulla speranza senza ricordo
Io scrivo il tuo nome
E per la forza di una parola
Io ricomincio la mia vita
Sono nato per conoscerti
Per nominarti
Libertà.
Io ricomincio la mia vita
Sono nato per conoscerti
Per nominarti
Libertà.
Esponente del surrealismo. Non ha mai abbandonato le battaglie, partito
volontario nel 1914 nonostante la sua tisi gli permettesse di non combattere,
inserito nella resistenza al Nazismo, non ha mai risparmiato le proprie forze
in battaglie di ogni tipo. Condividendo o meno le battaglie che lui ha vissuto
si può dire che egli fosse un uomo di pace? Credo di sì. Perché il messaggio che
riceviamo da questa poesia è certamente un messaggio di pace. La pace che è
implicita nella nostra ricerca di felicità. Penso che aggregarsi attorno
all’arte è un messaggio di pace. Per questo il manifesto “Il Bandolo” è
importante: perché chiarisce che l’arte è una cosa tremendamente seria è una
cosa necessaria a una società. È una cosa che può restituire la pace quando non
c’è, che può ridare un senso alle cose quando non lo si trova, che può trovare
l’uscita da una crisi quando gli economisti brancolano nel buio. Parafrasando
un aforisma che gira molto in questi tempi direi che la letteratura è una cosa
troppo seria per lasciarla ai professionisti della materia. Intendo gli editori
ma soprattutto intendo quegli autori che iniziano a scrivere dopo aver scoperto
che Joanne Rowling nel 2011 è una delle 10 persone più ricche del Regno Unito.
Se all’editore è consentita una pretesa di guadagno purtroppo all’autore non
può essere data questa certezza. Non solo ma la ressa creata da una prospettiva
di un guadagno e di una fama “facili” non fa altro che confondere le acque
rendere più difficile l’emersione di una produzione di qualità. Così a causa
del volume di manoscritti che vortica nelle poste italiane le case editrici si
trincerano dietro linee Maginot di lettori introvabili e misteriosi. Chi le può
biasimare? Lo smaltimento della carta è un problema che rischia di mandare in
crisi anche migliori case editrici. In Italia ci sono 3 milioni di persone che
scrivono poesie. Facciamo un gioco: mettiamo in fila tutte queste poesie. Assegniamo,
la stima è sicuramente per difetto, una trentina di liriche per uno con la
lunghezza media di 50 versi. I versi, siamo in Italia e non potremmo fare altro,
li consideriamo endecasillabi una media di, stime sempre per difetto, 25
lettere più gli spazi diciamo mediamente 35 battute per una decina di centimetri
(l’ermetismo purtroppo qui è passato come acqua). Quindi facciamo un’operazione
3.000.000 × 30 uguale 30 milioni, questi poi vanno moltiplicati per i 50 versi
e siamo a 1.500.000.000 × 10 cm che fanno 15 miliardi di centimetri che per
equivalenza sono 150.000 kilometri, un nastrino che fa il giro della terra per
quasi quattro volte (l’equatore misura 40.074 km circa). Se aggrovigliano tutto
viene una palla di carta grossa quanto la stupidità di chi crede che fare della
letteratura sia un modo per fare soldi. E noi in fondo cerchiamo il bandolo di
questa matassa per recuperare quei nastrini di carta che valgono sentimenti,
bellezza, scoperta di senso, ma sono pochi e a conti fatti non credo ci si
arrivi neanche a farne uno che unisca Catania con Milano.
Luca Giordano
Luca carissimo,
RispondiEliminatocchi il tasto più importante e, a mio umile avviso più dolente che si è toccato nella seconda riunione per parlare del Manifesto al Polmone Pulsante: la capacità dell'autore di mettersi in discussione. In molti asservano che occorre partire da lì. Dalla presa di coscienza dei propri limiti. E avevano ragione. Non esisterebbe lo sfacelo di cui parli se ognuno prima di dirsi pronto a pubblicare... e ancor prima a scrivere, ovviamente... dimostrasse capacità autocritiche. Purtroppo il dato di fatto reale è che tale attitudine non è una prerogativa della maggior parte dei sedicenti poeti o scrittori. Sai bene che in virtù dell'opportunità che ci viene data di presentare moltissimi libri, abbiamo modo di valutare lo spessore delle Opere che gli editori medio - piccoli fanno circolare. E, senza alcuna pretesa di essere in grado di 'giudicare' gli altri, ti rendi conto, come la sottoscritta e come tutti coloro che collaborano con noi, che esistono libri lontani anni - luce dal lirismo e dalla letteratura. Gli autori non solo non ne sono consapevoli, ma spesso ritengono di non essere stati abbastanza valorizzati dagli editori e si lamentano se non perseguono risultati nelle partecipazioni ai Premi letterari. Esiste la capacità di misurare i propri limiti? Il Bandolo è una splendida forma di provocazione, ma in questo specifico settore il cammino da compiere è davvero impervio. L'Umanesimo
credo che inizi proprio dall'umiltà. Questa dote è appannaggio di coloro che valgono. Sembra un ossimoro, invece è una verità. Si uscirà dal dedalo della carta da riciclare, per riuscire a dare il giusto valore alle opere di coloro che spesso scrivono e si nascondono, come Lorena Turri o Patrizia Bruggi? Perdonatemi, ma oso citare due persone che conosciamo, che scrivono in modo superbo e non fanno assolutamente nulla per uscire da buio. Occorre stanarle... e, per fortuna, con Lorena è accaduto. Il presenzialismo regala ad alcuni 'sognatori' - consentitemi di chiamarli così -, una sorta di fama illusoria. Si vendono da soli, sfruttando il potere dei social network e riescono a convincersi e, quel che è peggio a convincere, di aver concepito capolavori. Difficile parlarle di autocritica di fronte a fenomeni tanto diffusi. Io voglio credere in un futuro che dia risposte valide al Manifesto, che dia senso al termine 'meritocrazia' e consenta di leggere
Opere che rendano preziosa la carta. Non credo si possa chiedere agli editori, a tutti Editori, di diventare selettivi, ma nel campo dell'Arte la mercificazione ha un sapore amaro. Dovremmo provare a fare tutti, con onestà un'esame di coscienza e a rimboccarci le maniche per dare un senso al tanto inflazionato Umanesimo! Mi scuso per lo sfogo e... io Sogno... posso analizzare la realtà, ma non smettere di sognare!
Maria Rizzi
D'accordo con te, Luca, che sulla scorta di Eluard sostieni il valore della libertà. Una libertà che certamente non equivale all'arbitrio, se posta in stretta relazione con la pace (e con l'arte messaggera di pace), come tu fai. Ogni libertà deve avere dei limiti, per non ledere le altrui libertà. Non mi riferisco, dicendo questo, alle norme che giustamente si devono stabilire ed imporre nella vita sociale, ma ad un codice di valori interiori profondi, secondo il quale la vera libertà è quella che non approfitta della libertà. Non si deve confondere la libertà con il capriccio e con l'arbitrio, ma per far ciò occorre esercitarsi nell'autocritica. Bisogna in altre parole porsi in discussione di fronte a se stessi. Di autocritica parla Maria Rizzi, con riferimento alla scrittura, per tenere a bada il narcisismo degli scrittori. Condivido questo pensiero, che è tra i cardini del Manifesto ("Il Bandolo") di cui sono anch'io firmatario, ma ritengo che l'autocritica possa e debba venire estesa ad ogni aspetto della vita. Non può esserci rinnovamento civile, morale, sociale, se non si superano i limiti oramai evidenti del pensiero critico che ha dominato la scena culturale nei secoli e nei millenni che ci hanno preceduto. Il pensiero critico deve essere superato nel pensiero autocritico. E' questo il rinnovamento dei valori che si deve proporre e su cui occorre lavorare. Bisogna imparare ad essere meno critici e molto più autocritici per migliorare realmente le condizioni della cultura e del vivere sociale. Le disfunzioni nel sistema di produzione dell'arte, di cui parliamo noi de "Il Bandolo", non sono altro che il sintomo di quel malessere che deriva dalla presunzione smodata degli scrittori e degli artisti che pensano di potersi lecitamente esprimere in maniera arbitraria. E' su questa presunzione, in fondo, che fanno leva le mafie editoriali.
RispondiEliminaFranco Campegiani
Mi aggiungo anch’io ai commentatori di questo bellissimo intervento, con due considerazioni.
RispondiEliminaLa prima considerazione, sul danno che fa l’editoria facile alla lettarura e alla cultura in generale. Infatti, potendo l’autore trovare un editore (quasi sempre pagando), se non addirittura potendo pubblicare in proprio (grazie ai supporti tecnologici che facilitano il lavoro), questo autore, convinto di aver scritto un capolavoro, difficilmente troverà un contraddittorio e difficilmente si metterà in discussione.
Credo che gli editori debbano tornare a dire, di tanto in tanto, un sano e meritato “NO”, chiaramente motivandolo.
L’autore soffrirà, ma se la sua tempra e la sua volontà sono veramente degne dell'obiettivo che si è prefissato, saprà ricominciare daccapo! Questo fa parte dell’autocritica, saper accettare le critiche e i rifiuti e saper crescere con questi (spesso meritati e raramente immeritati) “NO”. A molti autori ostinati è anche capitato di dover pagare per avere un giudizio critico, un no “motivato”, che può solo far bene, e che fa crescere.
I romanzi forse vanno scritti una volta, ma poi vanno riscritti due o tre volte prima di andare in stampa.
Una poesia deve maturare come il buon vino, e va levigata fino a quando la sua vibrazione sia libera dall’illusione del momento.
Un bel quadro va dipinti e distrutto, ridipinto e bruciato… tra dieci tele se ne salva una…
Fino a quando esisterà l’editoria facile, il narcisismo dell’autore giocherà una battaglia, che si risolverà sempre a suo vantaggio, contro l’autocritica, e l’ostinazione necessaria al concepimento dell’Opera rimarrà in ombra.
La seconda considerazione, su quanto scrittori ed editori contribuiscono alla deforestazione dell’Amazzonia. Ci rendiamo conto dello spreco?
Pubblicare meno, e pubblicare meglio, questa dovrebbe essere la missione degli editori oggi, per poter tornare a promuovere cultura. Tornare a vendere libri e non servizi editoriali, concentrarsi su opere di qualità e smetterla di soddisfare l’ego dello scrittore che difficilmente passerà alla storia, ma che farà da tappo al capolavoro che, in un sistema di promozione dell’arte come quello che conosciamo, non ha la visibilità che merita.
Claudio Fiorentini
Benissimo Claudio. Anche gli editori, come gli autori, dovrebbero fare autocritica.
RispondiEliminaFranco Campegiani