Carla Baroni: Il segreto di Dafne. Blu di Prussia Editrice. Piacenza. 2015. Pg. 72 |
Carla
Baroni sa rendere tutto il suo pathos con estrema naturalezza, senza mai cadere nel sentimentalismo decadente, né nel
discorso tragicamente eccessivo. Ed il
suo poetare ampio e nutrito di un verbo ricco e appassionato ci giunge con
immediatezza. Lo stesso spartito fatto di note cucite fra loro da continui
enjambement, ripetuti in maniera quasi ossessiva, denota la necessità di
raccontare, di dare sfogo e apertura ad un’anima rigonfia che vuole liberarsi,
gettando sul foglio i suoi ingorghi. Ma è sempre la robustezza del metro, la
stabilità degli argini a contenere quel fiume in piena nel suo alveo,
impedendogli esondazioni a sommergere
campi ricchi di humus. La poesia della Baroni si fa sempre più poesia/arte,
quanto più la realtà si trasforma in immagine, in sentimenti rivisitati. Quanto
più gli avvenimenti della vita si spogliano della loro cruda realtà, e si
alimentano di un terriccio fertile a far crescere fiori unici ed intensi per
colori e profumi. E i colori e i profumi sono dovuti anche a quelle figure
stilistiche impiegate con spontanea generosità in una amalgama di accorgimenti
etimo-fonici e guizzi poetico-intuitivi. Un mio vecchio professore diceva: “"Se
sventuratamente vi avventurate nella poesia, vi sconsiglio di registrare la realtà;
prima vivetela, poi immaginatela, e se riaffiora, lavorate e provate a farne
poesia ". E la
Baroni ha covato la sua storia ora reale, ora traslata, ora mitica in
un’anima disposta a raffinarne e a
smussarne le sporgenze graffianti, tanto
che il suo dolore si è tradotto in monito
per tutti noi: vivere la vita come il bene più grande che ci è dato. Un bene
grande, forse, proprio perché contiene la morte.
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