Luigi De Rosa: La
grande poesia di Gianni Rescigno. Genesi Editrice. Torino. 2016. Pag. 188. €
14.00
Recensione di N. Pardini, in ricordo
Gianni Rescigno: Sulla
bocca del vento. Il Convivio. Castiglione di Sicilia. 2013. Pp. 136
Alleggerire
il peso della vita per trasferirlo in cielo
Un lavoro di
diacronica complessità poetica, di rielaborazione intimistica, e di grande
impegno strutturale, questo di Gianni Rescigno. Diversi rivoli confluiscono in
un unico fiume che, scorrevole, armonico e cristallino, ben protetto da argini
solidi, sfocia in un mare d’amore e di speranza. Un’Antologia poetica che
rivela, in una successione di momenti espressivi, continuità d’intenti, di
esperienze umane, e di tecniche prosodiche. Un’Antologia che riunisce piecès
tratte da cinque sillogi che sanno trovare la loro unicità, la loro voce
unisona, monocorde sia per tecnica che per ricerca poetica. É proprio la forza
lirica di Rescigno, il suo stilema a mantenere il poiein su livelli di alto
spessore etimo-fonico, linguistico-figurativo. E non di rado sia il verbo che
la sintassi subiscono dilatazioni, e originali violenze creative per
accompagnare quantità emotive che sgomitano per uscire: “Ci consegniamo
muti/ al cammino dei sogni”, “La luce odorava d’umidore”, “Gonfio di spine/
ingrosso mare nello sguardo”, “e una mano amica che ti poggia/ sull’omero
parole d’amore non dette”, “Sono filo d’erba/ sula bocca del vento”.
Ad
arricchire l’opera, a renderla più preziosa, a livello filologico e
linguistico, la traduzione in francese, testo a fronte, per mano di due
autorevoli scrittori, quali Paul Courget e Jean Sarroméa. Traduzione che denota
uno sforzo non indifferente. E rendere in altra lingua l’originalità dello
stile di Rescigno non è certamente cosa semplice. Comunque, considerando che la
lingua d’oltralpe contiene già innate, nel suo substrato, grazia e armonia, e
che tali peculiarità non sono secondarie nella cifra espressiva del Nostro,
credo che questa lingua aiuti, non poco, il compito del traduttore. Ma si
devono pur mettere in evidenza, obiettivamente parlando, le difficoltà verso
cui si va incontro, dovendo rendere a livello etimo-fonico, tecnico-metrico, e
più ancora emotivo-creativo, il messaggio originale. Visto che, non di rado,
l’autore ricorre a forzature sintattiche volte ad assecondare le richieste del
sentire. E che non sempre è facile reperire parole e sintagmi che accostino
tanto patrimonio umano.
E tanti
sarebbero gli esempi cui ricorrere, e su cui riflettere per evidenziare
l’importanza della disputa critico-lettreraria sulla resa delle traduzioni.
Cosa che si accentua, naturalmente, trattandosi di poesia. Dovendo questa dire
dell’autore con un linguaggio più conciso, più immediato e più folto di pointes allusivo-creative.
In questo caso, non si vuole sminuire affatto il lavoro del traduttore, che
riconosciamo il più possibilmente vicino agli intenti
contenutistico-formali del Nostro. Ma non mi voglio dilungare oltre,
scendendo nei particolari.
Ma,
per tornare al nocciolo della questione Rescigno, sono molteplici le occasioni
poetiche di questa Antologia; e la scelta è oculata, quasi tematica, direi, e
basata sui principi estetici e vicissitudinali di un modo di pensare, e di
sentire, che spesso è turbato dalla coscienza di una fine. Tutto ritorna al
poeta, al suo pensiero. Niente è solo descrittivo. Tutto contribuisce ad
esaltare la sua intimità. Ed il linguaggio si fa di un allegorismo pronto ad
ampliare il messaggio. Si spazia dal realismo quotidiano, alla malia del sogno;
dalla caducità dell’esistere, a un memoriale di grande intensità emotiva; da
questioni prettamente terrene, ad altre di valore escatologico; dal patema di
essere mortali, alla fuga da tale ristrettezza. E non di rado il poeta fa
sentire il bisogno di una spiritualità che vada oltre il contingente:
Dacci oggi la
speranza
come ce l’hai
data ieri
(…)
fino
all’ultima sera
quando te la
rimetteremo
per sempre
nelle mani. (Pp. 15).
A dominare su
tutto, alfine, è questo motivo che fa da cucitura all’intera opera. E spicca un
credo consapevole e determinato a produrre speranze pronte a vincere dolorose
sottrazioni. Un credo che porta l’autore a staccarsi dalle cose, o meglio, a
trasferirsi, zeppo di questioni esistenziali, oltre le questioni stesse. Pur
carico di voci di mare, di estensioni di terra, di vini e di pozzi, di autunni
morenti, di strade di sole, o di colline dormienti, il Nostro riesce a far
leggero questo peso, volando verso cieli che sanno tanto di fede e di azzurro:
Dell’angelo
ognuno sentiva
l’orma della
mano sulla spalla.
L’aria di
scirocco si calmava.
Diventava
respiro di silenzio. (Pp. 13).
Sei punto
d’arrivo o Luce.
Felicità e
infinito.
Silenzio e
Dio. (Pp. 131).
Ma è nella
terra che Rescigno zuppa la sua essenza vitale. É nel miracolo dei suoi colori,
delle sue forme, dei suoi profumi che si sperde e si annulla con un processo di
metamorfosi spirituale di grande impatto panico-lirico. Persino l’idea di
morte, che tanto l’assilla, si azzera al primo palpito del giorno:
La prima
parola del giorno il vento.
E se ne vanno
i morti dal pensiero. (Pp. 129).
Non hanno
casa i poeti.
Vegliano il
sonno del sole,
seduti sotto
il cielo. (Pp. 119).
É in questi
giochi naturalistici che riesce a trovare l’alimento indispensabile per dare
vigoria visiva alla sua anima. Perché:
Siamo mare
aria terra
viaggi di
pensiero
cuori delusi
affacciati
alla finestra
della notte.
Per prendere
forza dalla vita
le rubiamo
gli occhi. (Pp. 45).
E il
memoriale ha doppia faccia; assume un significato di dicotomico aspetto: da un
lato di sofferenza per assenze e sottrazioni, dall’altro di conforto, di
riavvicinamento a persone care, a momenti gioiosi, a episodi basilari del
vivere e dell’esserci. D’altronde il Nostro sa che la vita è fuggevole, che
l’attimo è fugace, e che siamo fili d’erba in preda alla intemperie, in uno
spazio di luci ed ombre di effimera durata:
… ed è mio
l’esilio d’un grillo
confinato
dall’estate
su un ramo
sfrondato
a cantare
l’ultimo dolore d’autunno.
Entro senza
accorgermene straniero
nel silenzio
di un’altra stagione. (Pp. 11).
mi manca il
tepore delle tue ginocchia
la terra
sterminata della speranza
su cui
lasciavi andare a larga
mano il
magico seme della vita. (Pp. 75).
Mi pare
d’annusare il tuo profumo
nel ricordo.
Dove si nascondeva
la cicala lo
raccoglievano
passando i
tuoi panni. (Pp. 93).
Escono con
fluidità ed energia sonora quei grovigli interiori decantati nel tempo.
Vogliosi di rivivere. Di riprendere i loro corpi negli orizzonti marini, nelle
distese dei campi, o nel solatìo delle vigne; coscienti, anche, che nei cieli,
solo nell’immensità dei cieli ci sono:
supermercati
di fiori
e tutti i
giorni le anime
se ne
inghirlandano il capo.
Si festeggia
il compleanno
di ogni
profumo. (Pp. 81).
Sì!, questo è
Rescigno, questo è il suo mondo e questa è la sua poesia. Una versificazione
che abbraccia ogni ambito dell’animo umano. E anche se il suo discorso appare
spesso terreno, troppo terreno e anche se si aggrappa con slanci spirituali
all’oltre, pur tuttavia, è il profondo senso della sacralità della vita a fare
della sua arte un poema edificante. Tanto è vero che sente questo bisogno
continuo di ripescare il passato, di riattualizzarlo, quasi per annullarsi, e
riprendere fiato dopo una corsa senza respiro; sì!, per annullarsi in stormi di
primavere:
Quando sei
arrivato al traguardo
e t’accorgi
che la vita
è stata una
corsa senza respiro
vorresti che
ti ripassassero sul capo
tutti gli
stormi delle primavere
per poterne
ascoltare le voci
e vederne i
lanci in picchiata.
Nazario Pardini 21/02/2013
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