Sandro Angelucci, collaboratore di Lèucade |
Quando? Quando è avvenuta l’eruzione?
È
questa la prima domanda che viene da porsi dopo la lettura della poesia di De
Robertis; prima e non ultima – ovviamente – vista l’intensità e la profondità
dello scavo che i versi proposti richiedono.
È
passato talmente tanto tempo da quel momento, dall’esplosione della energia sotterranea, con la quale la parola
si è manifestata all’uomo, dalle “eruzioni dell’anima inondata”, che ne abbiamo perso memoria.
Non
sapevamo – come quei lapilli – dove saremmo andati; i “contrasti”, le
“collisioni”, i “colori” che, allitterando, ci avrebbero portato melodie e
disarmonie della vita. Non sapevamo; e dai giù a raschiare “la pelle ferita”
con la speranza di rinvenire qualcosa che lenisse il dolore.
Certo:
“abissale”, perché no: anche “rattristante”, ma sempre pronto a tenderci la
mano il mistero della poesia.
Sandro
Angelucci
Quanto tempo è trascorso?
Quanto tempo è trascorso?
Indurisce il verso
sul foglio.
I basalti si consolidano
in superficie.
Non so dove stiamo andando-
si domandano in uscita dalle
viscere
del vulcano.-
I bordi dei fuochi
carbonizzano parole,
interrogazioni.
Riluce
la notte, breve
più di chiunque altra
fuoriuscita volgare:
ceneri
lapilli
vapori
eruzioni dell'anima inondata
contrasti
collisioni
colori
Vivido lo strigile a raschiare
la pelle ferita, sul profondo.
Il corpo esanime
corrotto
avvizzito.
Così abissale era? e così
rattristante?
La poesia?
Ubaldo de Robertis
La poesia di Ubaldo è una tipica poesia "raffreddata", messa in frigorifero. Voglio dire che la poesia che parla di se stessa ha come tema il raffreddamento delle parole dopo l'eruzione dal vulcano ("lo sterminator vesevo" di Leopardi, "La ginestra'). Le parole si devono condensare e raffreddare per poter essere comunicate, questo è maggiormente evidente in poesia, meno nel linguaggio di tutti i giorni, quel «parlato» che è stato imbalsamato da certe scuole letterarie degli ultimi decenni in Italia.
RispondiEliminaIn realtà, il parlato è già stato messo in frigorifero dalle decine di migliaia di emittenti linguistiche che ci attraversano e ci tormentano ogni giorno, ed è diventato una utopia, una rondine. Ma, si sa che una rondine non fa primavera, e il «parlato» si è volatilizzato, se ne è andato chissà dove. In realtà, ciascuno il «parlato» se lo deve andare a cercare e a trovare dentro di sé, dentro le proprie profondissime scaturigini. Chi non è in grado di fare questo scandaglio non può accedere alla Musa, la quale, scontrosa e irriguardosa, se ne sta alla larga dalle parole ipocrite e saccenti dei poeti laureati. La Musa non ama la laurea e le ipotiposi da teatro...
"Quando affronto in poesia certi temi sto ben attento che non diventi un puro atto esibizionistico. Con tutto ciò che accade e che storicamente ho visto accadere nel mondo sarebbe un controsenso cantarsi addosso.
RispondiEliminaIl raffreddamento come condizione essenziale perché la poesia possa donare aperture di senso.
“Più ch’egli si raffredda, più diventa abile a trattare gli uomini e se stesso- scriveva Leopardi, che invitava a raffreddare l'animo con la riflessione.
Non so se posso interpretare le parole di Giorgio Linguaglossa in questa luce.
Dalla esemplare Lettura di Sandro Angelucci e da una comunicazione privata di Nazario Pardini posso dedurre che sono riuscito a conservare forza, carica emotiva, insomma a comunicare la realtà, con tale raffreddamento verbale, senza intaccare la vitalità dei versi."
Ubaldo de Robertis
Ti ringrazio vivamente, caro Ubaldo, per l'apprezzamento della mia lettura. E' una poesia - la tua - che merita attenta riflessione.
EliminaIn quanto al "raffreddamento" - di cui parla Giorgio - qui, è davvero un'apertura di senso.
E sai perché? Perché hai saputo mantenere vitali i versi? Perché hai cercato il "parlato", e lo hai trovato, "dentro di te", "dentro le (tue) profondissime scaturigini" (ancora Linguaglossa).
Grazie,
Sandro Angelucci
Trovo molto stimolante (come sempre, del resto) questa riflessione di Sandro Angelucci. "Quanto tempo è trascorso", di Ubaldo de Robertis, è una poesia sulla poesia, una poesia sulle origini e sui destini della poesia, che non poteva non incontrare i favori di un critico, a sua volta poeta, come Sandro. Da dove viene la poesia, se non da un vulcano interiore ed abissale, totalmente sconosciuto? Indubbiamente le parole che fuoriescono dal magma ribollente si raffreddano sulla pagina come i lapilli, le ceneri, i vapori di una colata lavica che precipita a valle. Ha ragione Giorgio Linguaglossa nel dire che il linguaggio (scritto o parlato) è lettera morta al di fuori della furiosa e incontenibile esplosione, ma è inevitabile che le parole eruttate sul foglio, come le pennellate del pittore o i colpi di scalpello, si congelino diventando materiale da biblioteca o da museo. Questa tuttavia sembra essere l'unica via per poter comunicare, per far si che i "basalti" di cui parla Ubaldo tornino ad essere lapilli incandescenti nel profondo di altri esseri umani, affinché scaturiscano nuove eruzioni. I poeti laureati giocano a dadi con le pietre raffreddate a valle. Quelli non laureati (o che comunque prescindono dalle lauree, pur avendole) riportano le pietre nel cratere, bruciandosi le mani e ferendosi la pelle. Soltanto così, come dice Sandro, sarà "sempre pronto a tenderci la mano il mistero della poesia".
RispondiEliminaFranco Campegiani
Nutro grande rispetto, stima ammirazione per Franco Campegiani che sa svelare sempre precisamente anche le cose più complesse e sottintese, considerare in termini di poesia e di filosofia quelle importanti manifestazioni che soltanto l'arte sa promuovere. Ciò che più ammiro in lui è l'atteggiamento esclusivamente intellettuale e sensibile che gli fa riporre grande fiducia nell'essere umano sempre ché sia rispettoso della Natura e non distolga l'attenzione dai veri e profondi valori della vita.
EliminaUbaldo de Robertis
Flavio Almerighi ha inviato il seguente commento al mio indirizzo di posta elettronica:
RispondiElimina“Ogni volta che qualcuno propone e si occupa della poetica di Ubaldo De Robertis, sono contento perché leggerlo è ampliare la propria visione prospettica. L’esperienza professionale lo ha portato a osservare l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo da un punto di osservazione privilegiato che echeggia in molta di questa buona poesia. Grazie a lui il lettore può scoprire mondi di cui nemmeno sospettava l’esistenza; bella poesia destinata a non invecchiare. Grazie”- Flavio Almerighi.